Ci sono luoghi in cui la Storia passa e poi ripassa. Pensiamo per esempio a Custoza con le battaglie della prima e terza Guerra di Indipendenza. Il Monte Grappa con la Prima Guerra Mondiale e poi la Resistenza. Il Passo Zagradan sopra Caporetto, storica porta di accesso dagli imperi centrali alla Repubblica Serenissima e poi testimone della disfatta di Caporetto con lo sfondamento nemico…

Fiumi, ponti, passi, monti se ne stanno lì, testimoni della Storia dell’uomo e delle sue sciagurate guerreggianti iniziative. Eh, sì, a pensarci bene è la geografia che fa la Storia.
Bezzecca è uno di questi posti. Si trova nelle vicinanze del Lago di Ledro, una dozzina di chilometri ad Ovest di Riva del Garda. Una comoda via di accesso da Ovest verso Trento. Lo sapeva Garibaldi nel 1866 e lo sapeva anche il Regio Esercito nel 1915. La vittoriosa incursione di Garibaldi si arrestò poi col famoso “Obbedisco”. Chissà come l’avrebbe presa il Tenente Colonnello Marco Cossovich caduto a Bezzecca il 21 luglio 1866, pochi giorni prima, al Comando del nono Reggimento dei Volontari Garibaldini, “patriota veneziano già dei Mille” (come si legge su un cippo commemorativo).

L’importante è credere in quello che si fa…

La Storia bussa nuovamente a Bezzecca poco dopo l’entrata in guerra nel 1915. Gli Austroungarici sfollano i civili dalla Valle del Chiese e dalle Giudicarie e con un abile arretramento tattico si piazzano sulle alture e iniziano a predisporre le difese di seconda e terza linea. Gli Italiani avanzano baldanzosi, ma poi si trovano la strada sbarrata da un micidiale fuoco dall’alto.

E così iniziano a scavare

La collinetta nella parte Nord di Bezzecca viene trasformata in un’imprendibile roccaforte. Si entra e si percorre la Galleria Lamarmora con i camminamenti, gli osservatori, le piazzole e le feritoie da fucileria e sembra non finisca mai.
Genio Zappatori più Bersaglieri: il menù indigesto per il nemico è servito.
Non riuscirà mai più a riprendersi la valle. Questa è la Storia che ha bussato e poi ribussato a Bezzecca. Nella prima domenica d’autunno ho fatto un bel giro intorno al Lago di Ledro con un proficuo incontro di cui racconterò in un altro articolo.
Sono poi entrato da Bezzecca nella Val Concei e con una breve escursione son salito al Rifugio Nino Pernici.

Nino Pernici era un volontario nativo di Riva del Garda arruolatosi nelle file del Regio Esercito e caduto sul Fronte isontino nel 1916. Il rifugio è adagiato nel verde a 1600 metri, sulla Bocca di Trat. Intorno si possono ancora scorgere le vestigia degli appostamenti e delle difese austroungariche. Trincee e caverne di ricovero, osservatori e piazzole di artiglieria.

Ma qui inizia una nuova storia

Ed è una bella storia. Da quest’anno e per i prossimi cinque anni il rifugio sarà gestito dalla più giovane rifugista d’Italia. Quando la retroguardia di una vivace comitiva scende verso valle, al rifugio torna il silenzio. Il tramonto colora di rosa in lontananza il Catinaccio e il Lagorai, più vicino il Monte Bondone e il Monte Stivo, poi più a Sud la sagoma inconfondibile del Pasubio e appena dopo, ma più vicini, lo Zugna e il Coni Zugna. Pian piano le ombre salgono e il buio cala sulle cime, elencandole.
Valentina ora può prendere fiato: piglio, sicurezza, affabilità e sorriso. Ha 23 anni. Con tutta la gente che sale in montagna a sproposito (che ha ispirato alcuni miei articoli) ecco chi, invece, ha scelto di stare in montagna con un proposito ben solido. Esperienza accumulata in varie stagioni in altri rifugi e poi il grande passo. Anche “la squadra” del rifugio è scesa a valle. Sono rimaste lei e Irene, 24 anni, medesimo percorso alle spalle. Una gattina tricolore punta il naso sulla finestra verso la valle e con le zampette cerca sul vetro chissà che cosa.

Sono l’unico ospite per la notte

Valentina e Irene con perfetto sincronismo riordinano il salone.
Tutto è tirato a specchio. La stanza che mi è stata assegnata è perfetta: sette posti letto di cui una branda matrimoniale che non avevo mai visto in un rifugio e che trovo davvero suggestiva. Come nella miglior tradizione dei rifugi CAI-SAT la cena è ottima e abbondante (in questo caso non è un modo di dire), così come la colazione che ho goduto con i primi raggi di sole. Sono tornato a valle con un giro ad anello per la Bocca di Saval e poi per la Bocchetta del Caret: improvvisa e spettacolare vista sul Gruppo dell’Adamello-Presanella ad Ovest, ecco le ripide pareti innevate del Carè Alto. Scendendo in prossimità di Malga Trat un improvviso abbaiare, poi un altro, un altro e un altro ancora. Sono i cani guardiani, che mi hanno adocchiato in lontananza e che si sono messi al lavoro a protezione del gregge che pascola sul pendio.

Scorgo su un albero un cartello: “Attenzione, cani da guardiania…” con le avvertenze, tra cui: “In caso di necessità chiama il pastore” e, aggiunto manoscritto a pennarello, “A proprio rischio e pericolo”!ì Sarà anche un “Trentino minore”, meno blasonato delle più rinomate località turistiche. Sarà anche meno spettacolare dei massicci imponenti o delle aggraziate Dolomiti. Ma è forse una montagna più genuina e meno esposta alla profanazione delle logiche da “montagna lunapark”. Il mio è un arrivederci.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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