“Quanto bisognerà studiare per diventare santi?”. Forse avevo otto o nove anni quando mi ponevo questa domanda, affascinato dai corpi eterei dei Santi circondati da angeli che s’involavano nel cielo. Poche immagini, queste, che vedevo al catechismo o nei dipinti in qualche chiesa. A parte lo “studio”, cominciavo a portarmi avanti allenandomi per diventare santo saltando da una seggiolina, cercando di sentirmi il più leggero possibile, nella speranza di restare sospeso in aria almeno un secondo. Dopo pochi anni ho pensato che quelle immagini fossero solo pura fantasia, ma crescendo ancora ho capito, invece, che quelle figure sospese parlavano di noi. I corpi che si involano non sono altro che il nostro spirito, il nostro pensiero. È quella parte di cui siamo fatti e che non tocchiamo, eppure ci appartiene come ci appartiene il fegato o il cuore. Senza quella metà eterea di noi, la nostra esistenza sarebbe altra cosa, ben poca cosa.

L’idea del Sacro accompagna il mio lavoro d’artista da sempre che ne sia stato cosciente o meno. Lo testimoniano le mie opere di pittura, i video, il film o i cortometraggi che ho realizzato. Sempre è presente un’idea dell’invisibile che appartiene al nostro essere e che più di ogni altra cosa mi affascina. Pochi giorni fa, grazie al lungimirante sostegno del parroco di Santa Giusta e dell’Arcivescovo di Oristano, (a loro va la mia sincera gratitudine) ho esposto due opere nella Basilica Romanica del XII secolo di Santa Giusta (Oristano), il paese dove sono nato; “Volto di Dio” un’opera immateriale e una“Pala d’Altare per questo e altri pianeti”. Detta così sembrerebbe semplice, ma è bene ricordare che l’Arte Contemporanea latita dalle chiese da molto tempo, nonostante proprio le chiese siano state il luogo dove l’Arte, che in ogni periodo è stata contemporanea, ha avuto il suo massimo apice creativo. Esporre due opere che pongono domande nuove e per certi versi anche inquietanti, nei luoghi canonici destinati all’Arte Contemporanea è fin troppo facile, ma esporle in luoghi non deputati ad accogliere nuovi linguaggi e dove le persone non sempre hanno gli strumenti per decifrare “i codici” di certa arte, è tutt’altra cosa.

Ma è questo a parer mio, che va fatto; portare l’Arte di nuovo nei luoghi dove ha sempre vissuto edominato per secoli, luoghi che negli ultimi decenni hanno perso questa funzione. La Pala d’Altare e l’opera immateriale le avevo concepite proprio per essere esposte nelle chiese, nelle Basiliche dove si tengono le funzioni religiose; il pathos del luogo sacro contamina le opere, le arricchisce di altra energia (e non è necessario essere credenti). A prescindere dal credo il concetto del Sacro aiuta l’uomo a sentirsi più grande e immerso nell’universo, insomma, più libero. La pandemia è stato il momento giusto per dare sfogo al mio concetto dell’invisibile; ho cominciato così a installare le mie sculture immateriali nelle piazze del mondo.

Il “Volto di Dio” per me è il raggiungimento supremo della mia idea di immaterialità, il vuoto, solo apparente, in realtà è imbevuto di vita e di mistero sacrale. L’energia Divina ha reso il vuoto opera manifesta, e dal vuoto è arrivato il tutto. Noi arriviamo da quel nulla che non possiamo rappresentare e a quel nulla ci affideremo. Per me niente può avere più forza per descrivere il Volto di Dio dell’assenza assoluta di qualsiasi intervento fisico, solo una tenue luce è già una presenza immensa.

Volto di Dio, foto di Paolo Sanna Caria

L’altra opera, “Pala d’altare per questo e altri pianeti” del 2018, pone una domanda che mi ossessiona da un po’ di anni: “Esisterà il concetto del Sacro in qualche pianeta di un’altra galassia dove, ormai è certo, milioni di mondi conservano una qualche forma di vita? Prima o poi incontreremo esseri viventi a uno stadio inferiore, simile o superiore al nostro; anche loro avranno un concetto del Sacro come lo abbiamo noi? Mi spingo oltre: avrà Dio considerato anche gli abitanti di altri mondi e alitato su loro l’idea dell’anima e del Sacro, o noi siamo gli unici detentori di questo sentimento in tutta l’immensità dell’universo?”.

Ovviamente non possiamo rispondere, (per ora) ma vista la velocità dei progressi in campo spaziale, non ci vorrà troppo per entrare in contatto con un’altra vita, in quel caso come ci comporteremo? Come abbiamo sempre fatto sulla terra imponendo il nostro credo o conosceremo il senso del rispetto? Oppure sarà “naturale” portare a conoscenza degli “Altri” il nostro pensiero sull’anima e su Dio? Le figure rosse della mia Pala D’altare che s’involano nel cielo di latte, in fondo sono le stesse figure che vedevo da bambino; ho ripreso l’iconografia delle immagini classiche rivedendole attraverso la mia contemporaneità; sono corpi o amebe che si stanno formando agli inizi dell’universo. È un linguaggio visionario che ho immaginato comprensibile agli occhi di altri esseri.

L’Arte non può essere solo un fatto estetico (e a quel punto, parlo per me, noioso da morire), dovrebbe anche porre domande forti, anche se sono domande a cui non si può dare risposta, deve tenerci sulle spine. Quando dipingo non sono felice (la felicità semmai arriva dopo) sono in ansia, preoccupato di dare tutto il possibile e di conoscere ciò che di me non conosco. L’Arte è come la fede, si conquista ogni giorno, è una ferita aperta (esempio che tanto mi piace del Cardinale Mons Ravasi) che ti fa sentire vivo ma crea dolore. Quando non lo crea non è detto sia inutile, ma è un’altra cosa. Questo ragionamento forse non l’avrei fatto 20, 30 anni fa. Ma l’accelerazione degli ultimi anni rivolta al solo fatto estetico, mi sta stancando e mi porta a pensare che oggi sia rivoluzionario rimpossessarsi di valori che ci aiutino a essere diversi da semplici esseri/soggetti di consumo. Stiamo attraversando un confine che ci sta portando a disumanizzarci, stiamo perdendo il contatto con gli altri ma soprattutto con noi stessi, e in questo, (quando sarà inesorabilmente cresciuta) ci aiuterà l’intelligenza artificiale; se non prenderemo provvedimenti sarà una strada senza ritorno, che ci renderà smemorati anche del nostro erotismo che è l’altra faccia del Sacro. Due facce che impregnano la nostra vita e che ci fanno ancora sentire unici.

Salvatore Garau

Salvatore Garau è uno dei più noti contemporary artist italiani, più volte presente alla Biennale di Venezia. Oltre che come protagonista dell’arte visiva, è noto anche per essere stato il batterista...

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *