Un colloquio con Bruno Segre, fondatore del periodico indipendente L’incontro, è ancor oggi una esperienza unica ed emozionante, in considerazione del fatto che, nonostante i 102 anni di età, il suo sguardo è sempre vivacissimo, il dialogo interessante, la memoria prodigiosa.

La Redazione dell’Incontro ha quindi deciso di procedere, mio tramite, ad una serie di interviste che, appariranno, a puntate, nei prossimi numeri e che vedranno come protagonista assoluto non solo Bruno Segre, ma la storia stessa del giornale: in tal modo si ripercorreranno, come un “fil rouge”, ben 70 anni della nostra storia a partire dal 1949 in poi.

Le ragioni di tale iniziativa consistono proprio nel cercare di riproporre ai lettori e soprattutto ai giovani le idee – base che sono connaturate alla nascita ed alla lunga vita dell’Incontro.

L’idea originaria venne all’avvocato Segre dalla constatazione della situazione che si era venuta a creare nel dopoguerra: sconfitto il nazifascismo si erano però creati due blocchi contrapposti (Usa e loro alleati, da una parte, e Urss dall’altra) che daranno vita alla cosiddetta “guerra fredda”, con gravi rischi per la pace appena ottenuta.

Il blocco di Berlino nel 1948 e la creazione del Movimento “Cittadini del mondo” nel 1949, uniti ai suoi valori di Pace, libertà e uguaglianza furono i fattori scatenanti della decisione di Segre di dare vita ad un giornale “indipendente”, laico, soprattutto aperto al confronto di idee anche diverse.

Anticipando i tempi di decenni, si apriva un vero e proprio “forum”, anche con collaborazioni di soggetti di diversa estrazione politica, sociale e religiosa, come ha, oggi, la pretesa di essere ancora il nostro nuovo Incontro.

Tutto il contrario, quindi, di giornali di partito o di proprietà di industriali che, come vedremo, proprio in quegli anni ripresero vigore (certo, fortunatamente, rispetto alla censura degli anni precedenti), ma con un settarismo esasperante e una visione integralista del mondo, uno contro l’altro armati.

L’incontro, viceversa, non era di proprietà di nessuno: solo di un coraggioso che, senza alcun aiuto, ha continuato per decenni a ribadire che lo scontro tra culture, religioni, modi di vedere è l’opposto della pace e della libertà.

A partire dal prossimo intervento, inizieremo quindi a ripercorrere con questo straordinario protagonista del secolo scorso, gli eventi rilevanti, le battaglie politiche, culturali, giudiziarie, condotte da Segre e dall’incontro, tese a rendere il nostro paese più moderno e democratico, sempre avendo come faro di riferimento la Giustizia e la Libertà.

Alessandro Re


Seppur brevemente, ritengo che debbano essere da te inquadrate, prima di giungere alla nascita dell’Incontro, le ragioni per le quali hai avuto per tutta la vita due grandi passioni: l’avvocatura ed il giornalismo. Come nascono in te queste due professioni che poi hai saputo coniugare così bene per moltissimi anni?

In realtà, in considerazione del fatto che mio nonno paterno, Emanuele, era già stato un avvocato nella Torino dell’800, che mio padre aveva studiato giurisprudenza (purtroppo senza poterla ultimare per la necessità di mantenere la famiglia) e che io, a mia volta, mi laureai in giurisprudenza con il prof. Einaudi il 15 giugno 1940, pochissimi giorni dopo la funesta dichiarazione di guerra, è evidente che il mio futuro professionale avrebbe dovuto essere quello di avvocato.

Senonchè proprio la guerra, i bombardamenti sulla città e la crisi economica iniziarono subito ad influire pesantemente sulla vita dei cittadini.

Per di più la stessa pratica legale presso uno studio di avvocati “ariani” era stata proibita agli ebrei sin dal 1938, data di entrata in vigore delle leggi razziali e, quindi, solo nel dopoguerra, riprendendo a fatica gli studi, avrei potuto esercitare la professione forense, della quale parleremo un’altra volta.

Quindi è allora che iniziai, oltre a dare saltuarie ripetizioni, a collaborare, quale giornalista “in erba” a settimanali con lo pseudonimo “Sicor”.

Purtroppo anche queste modeste e precarie attività ben presto cessarono, in modo traumatico, a causa del mio primo arresto, nel 1942, per presunto “disfattismo in tempo di guerra” (come risulta dall’ammonizione che mi inflissero dopo alcuni mesi di carcere duro alle Nuove), per aver semplicemente scritto ad una ragazza siciliana, che poi diverrà mia moglie, quale era la drammatica situazione della popolazione sia in città sia in campagna!

Il secondo arresto, nel 1944, quando scoprirono che avevo un documento di identità falso, fu ancor più drammatico perché mi inviarono dapprima in via Asti, ove vi era una famigerata caserma che era stata trasformata in carcere politico e nella quali i nazifascisti giocavano con le vite altrui, per decidere quale fosse il loro destino e, poi, alle Nuove.

Questa esperienza è stata poi da me raccontata nel libro “Quelli di via Asti – Memorie di un detenuto nelle carceri fasciste nell’anno Millenovecentoquarantaquattro”, scritto nel 1946, ma pubblicato molti anni dopo, a cui rimando.

Dopo mesi di carcerazione, anche se debilitato più nel fisico che nello spirito, decisi di raggiungere i partigiani in montagna, e precisamente il comando di Giustizia e Libertà in Val Grana, a Pradleves, ove Commissario politico era il mio compagno di studi universitari Faustino Dalmazzo, che diverrà dopo la guerra un valente avvocato.

Dopo aver partecipato alla liberazione di Caraglio, con la sconfitta dei repubblichini e dei nazisti, si dovette assistere, purtroppo, ad una duplice situazione: da un lato vi era l’euforia della Liberazione, con la città piena di gioia di vivere, dopo anni di paure e di guerra; dall’altro continuò ancora per mesi una serie di vendette incrociate, di ex-fascisti a caccia di partigiani e viceversa, oltre a vendette personali di vario tipo.

La pace era stata dichiarata tra gli Stati, ma non tra le persone.

Così solo dopo la fine di questa guerra rovinosa, negli anni successivi, potei dedicarmi alle due professioni che mi avrebbero accompagnato per tutta la vita: il giornalismo e l’avvocatura.

Ancora oggi, dopo tanti anni, non saprei dire a quale delle due dare la precedenza! 

E’ vero che gli inizi in entrambe le professioni furono molto duri? Il Paese era distrutto e le situazione economica molto grave. Come hai vissuto gli anni 1945/46, dopo la Liberazione?

Certo, la Liberazione non ci fece riprendere subito una vita normale.

Ciò è avvenuto per gradi, con una ricostruzione durata anni ed anche i giornali ne danno testimonianza, come vedremo.

Quanto all’avvocatura, l’orizzonte era ancora più lontano, in quanto prima avrei dovuto fare un periodo di pratica e poi sostenere l’esame di Stato per poter diventare procuratore legale.

Fu un periodo piuttosto grigio, denso però di avvenimenti che ancor oggi sono l’essenza del nostro Stato: mi riferisco, oltre alla libertà riconquistata nel ’45, alla proclamazione della Repubblica nel ’46 ed alla Costituzione promulgata nel 1948, cioè a un rivolgimento epocale rispetto a pochi anni prima.

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