Chiunque si occupi di linguistica sa che le parole sono soggetti vivi, e come tutte le cose vive si evolvono e si si spostano nello spazio e nel tempo, arrivando in luoghi lontani, per poi magari ritornare all’origine, si pensi al termine management che nasce in Italia come maneggiare, ossia uso delle mani per la gestione della farina del mugnaio, per poi andare in Inghilterra e ritornare rimesso a nuovo in Italia. C’è una branca della linguistica che attraverso gli atlanti linguistici dà conto di questi mutamenti nello spazio e nel tempo. Molto spesso queste mutazioni, come in biologia, sono significative dell’ecosistema che le ha prodotte, nel caso delle parole si tratta di cambiamenti storici e culturali che definiscono dei veri e propri cambiamenti di senso. Per questa ragione è possibile analizzare le fluttuazioni di significato per intendere meglio cosa è cambiato o sta cambiando nella società e nella cultura.

Ci sono due parole, liberale e riformista, che più di altre, vengono ormai utilizzate in qualsiasi occasione, non solo nel linguaggio politico ma anche in quello quotidiano soprattutto sui social, svuotate di significato sono ormai un fantasma di ciò che erano. Oggi vengono per lo più utilizzate con il significato di terzismo, altra parola totemica, ossia come rifiuto di una posizione netta e chiara, come sinonimo di pensiero non manicheo. Funzionano benissimo nei contesti social perché non costringono a prendere posizione ed esporsi, anche se poi fondamentalmente rappresentano un punto di vista di conservatorismo illuminato, che in tempi passati sarebbe stato definito come ”piccolo-borghese”. Ma cosa ha determinato l’invasione del linguaggio di questi termini che hanno lasciato la nicchia ecologica della politica per invadere tutto il campo sociale?

I social, con la loro tendenza alla semplificazione, sono gli indiziati principali di questa caduta di senso di termini nobili trasformati in macchiette. In realtà, come sostiene Walter Quattrociocchi (Polarizzazioni- Franco Angeli) i social sono solo i prodotti di una frammentazione culturale, di una “società liquida” che ha perso i punti di riferimento. Ed è proprio questo il punto, la morte della ideologia è diventata la morte delle idee. Quella che avrebbe dovuto essere la “fine della storia” si sta sempre di più dando come fine dell’idea che si possa incidere nella storia, stiamo ritornando ad una sorta di pensiero teologico in cui la storia si muove secondo il volere del nuovo Dio, che è l’economia, rispetto a cui  sono legittimati ad esprimere opinioni solo i nuovi officianti (economisti, banchieri, manager).

Dietro all’abuso di queste parole non c’è un vero e proprio progetto politico, come sarebbe lecito aspettarsi, in Italia tutte le proposte centriste sono fallite con percentuali che non sono mai riuscite a superare il 5%, ma la costruzione di una sorta di zona franca che dà la possibilità di non prendere posizione. Una forma di conservatorismo tecnocratico che afferma la dittatura dell’esistente, al massimo la sua manutenzione, rispetto a qualsiasi sogno o utopia di cambiamento. Il nucleo di questo non-pensiero è la negazione della politica come tecnica principale della comunità, che di fatto viene sottomessa alle compatibilità della economia, elevata a nuova ideologia. Per Aristotele “ogni comunità si costituisce in vista di un bene”, questo bene comune ha sempre rappresentato la superiorità della politica come tecnica. Sostituire questa possibilità dell’umano con la tirannia delle leggi economiche significa creare una nuova Teologia. Il limite dell’agire umano, che fino a Nietzsche è sempre stato Dio, oggi è rappresentato dalle leggi dell’economia. Le nuove tavole della legge non sono più sul Sinai ma a Wall Street.

Già Marx, che più di altri ha studiato l’Economia come motore della storia, nell’ “Ideologia Tedesca” aveva denunciato il tentativo di nascondere il carattere partigiano della economia che viene presentata come legge di natura e quindi non modificabile. Ecco allora che pensieri politici forti (Liberalismo e Riformismo) che hanno fatto la storia degli ultimi secoli, vengono svuotati e trasformati in “immagini” col solo obiettivo di non toccare le tavole della legge. Questo significa la fine della politica come tecnica suprema che rappresenta gli interessi collettivi. Una delle ragioni della disaffezione, in tutte le nazioni democratiche, al voto è proprio questa percezione di inutilità di uno strumento ritenuto sprovvisto di capacità di intervento nella vita reale. Eppure, il Liberalismo lungi da essere un pensiero imbelle e da salotto ha avuto una sua precisa dimensione rivoluzionaria nella storia, avendo come obiettivo quello di permettere agli individui e alle forze economiche la piena possibilità di sviluppo e anche il Riformismo, termine che ha una storia ben più lunga, ha le sue radici profondamente radicate nella concezione che si possa cambiare lo stato delle cose presenti.

Questi termini liberati del loro significato storico diventano degli ancoraggi linguistici per giustificare il laissez faire dell’economia, parole passpartout che nascondono la difficoltà di sviluppare un progetto di società e l’incapacità di porre rimedio alle storture dello sviluppo economico, perdendo di fatto il loro significato storico. Oggi queste parole hanno perso la loro possanza, con cui essere d’accordo o meno, per diventare simulacro di una società che non riesce a trovare una direzione, usate come uno spritz nel cocktail del conformismo conservatore. Concetti a scartamento ridotto ormai prive di linfa vitale che bene rappresentano il Nichilismo occidentale, per cui nulla è dicibile, nulla è negabile ma tutto è possibile. Siamo in presenza di una prassi, non credo si possa parlare di “pensiero” almeno non nel senso di una teoria compiuta, ma di prassi anestetizzante che impedisce di avere una opinione forte sulle cose. Marcuse scriveva “Bach come musica di fondo in cucina” perde tutta la sua carica eversiva e appiana le contraddizioni. La negazione viene negata, l’alterità annullata e il non-pensiero si sostituisce alla critica.

Ma un mondo così edulcorato, incapace di pensiero, si consegna mani e piedi ai nuovi sacerdoti tecno- economisti che dicono che al massimo si possono fare piccoli aggiustamenti (riformismo), senza mettere in discussione i processi economici (liberalismo). Così due parole, nate per rimettere al centro l’individuo e modificare il corso delle cose esistenti, si trovano a spargere sonnifero per impedire qualsiasi ipotesi di cambiamento. Recentemente a questo nuovo alfabeto teologico si è aggiunta anche la parola tecnologia, per cui tutto ciò che va bene per lo sviluppo tecnologico digitale va bene per l’umanità. Togliendo la concretezza dell’agire, negando la possibilità di criticare le storture di parte dell’economia e della tecnologia si finisce di svuotare di senso tutto il dibattito politico e filosofico. L’economia e lo sviluppo tecnologico stanno evidenziando contraddizioni profonde, aumento delle disparità e delle povertà e le nuove narrazioni liberal-riformiste si limitano a proporre la manutenzione dell’esistente.

Le parole perdono il loro senso, e in luogo di rappresentare una alternativa all’esistente, una opposizione al totalitarismo (liberale) e alla lotta per distribuire in maniera più equa la ricchezza (riformismo), si trasformano in pannicelli caldi, diventando dei “buoni sentimenti” di gozzaniana memoria e quieto vivere che vanno bene in tutte le occasioni e in tutti discorsi. Ed è paradossale che il solo contesto possibile per “prendere posizioni” sia ormai rimasta la comunicazione pubblicitaria, quasi a ribadire la maggiore sensibilità del mondo aziendale rispetto alla società civile e politica. La caratteristica del tempo moderno è il privilegio dell’immagine sul reale, del significante sul significato, un mondo di parole e frasi senza contenuto. È il tempo dell’idolo, del rappresentare e dell’apparire. Nel 2019 il post su Instagram con più like è stato un uovo e nel 2022 Khaby Lame, ironico ma senza contenuti, per questo è necessaria una pratica ascetica di pulizia del senso, prima di entrare nel tempio della parola. Come scriveva Manzoni bisognerebbe fare “la verificazione dei poteri “, chiunque usi un termine e una immagine dovrebbe renderne conto, precisare cosa intende, in un certo senso, per quanto possibile, rendere manifesto il significato.

Domenico Ioppolo

Domenico Ioppolo è amministratore delegato di Campus (Gruppo Class) e direttore scientifico del Milano Marketing Festival. È stato Managing Director Emea di Nielsen Media, Ad di WMC, Initiave Media e...

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