Mi era già capitato durante le coraggiose proteste delle donne iraniane. Apprezzavo la loro forza, il loro indomito coraggio di reagire ad un regime criminale, rischiando la vita, eppure … al di là di qualche riflessione “da bar” o da “cena con gli amici” non riuscivo ad andare oltre. Tifavo per loro, mandando anche un’offerta per la loro causa, ma sempre comodamente seduto sulla mia poltrona davanti alla televisione o leggendo un quotidiano.

“E io cosa ci posso fare?”

Il malessere di “non fare nulla per loro” esisteva ma veniva arginato e gestito con il solito, ormai stucchevole alibi, “cosa potrei fare io di fronte a questa tragedia immane?”. Molto! Anche da lontano. L’unica deriva da evitare a tutti i costi è proprio quella della distrazione, dell’indifferenza, della cinica “vista da lontano”. Dell’egoistico “mi giro dall’altra parte” e torno a pensare alle mie cose.

Un’indifferenza “a tutto e a tutti” che porta poi alla violenza e all’odio. La storia dell’umanità ce lo insegna ampiamente, basta leggerla. L’ennesima tragedia di immigranti a Cutro mi ha fatto ripiombare nella stessa situazione. Partecipazione formale al lutto, pietà per le vittime, dubbi sulla responsabilità delle autorità preposte… sostanziale valutazione dell’ineluttabilità dell’accaduto. La “bestia” dell’indifferenza che ti prende, ti avvolge, ti corrode e plasma le tue condotte.

La storia non ci ha insegnato niente…

Un fenomeno registrato anche con puntualità e attenzione dalla relazione annuale del Censis sullo stato dell’arte del “vissuto” degli italiani in questi primi mesi del 2023. Quella stessa indifferenza che al “Binario 21” della stazione centrale di Milano, durante la guerra, faceva “girare la testa dall’altra parte” agli italiani che ogni giorno andavano e venivano sui treni di quella stazione quando, al piano di sotto, centinaia di ebrei venivano deportati nei campi di sterminio.

Una fotografia terrificante che condanniamo sempre ma che non ci ha insegnato nulla. Storia Magistra Vitae? No! Non impariamo nulla dai nostri errori: li ripetiamo come automi egoisti che sopravvivono facendo finta di niente. Abbassando lo sguardo e tornando alle nostre priorità quotidiane. “Cosa potremmo fare?” si chiedono anche ormai sui giornali eminenti intellettuali, esseri umani che hanno un passato di battaglie per i diritti umani contro le ingiustizie. Già, cosa potremmo fare? Luigi Manconi mi ha colpito per una sua riflessione dal titolo “Se perdiamo le parole”. Ne ho stralciato alcuni passaggi che lascio alla vostra lettura e ai vostri pensieri.

La riflessione di Manconi

“E io non so cosa rispondere. Poi mi guardo intorno e mi accorgo che i più anziani di me, i Grandi Vecchi, stimati e ben voluti non trovano, neanche loro, le parole per dirlo. E mi accorgo, ancora, che non ci sono 100 docenti universitari che la prossima settimana terranno una lezione su “Crisi umanitaria e responsabilità morale” e 100 insegnanti che daranno ai loro studenti un elaborato su “Movimenti umani e diritto d’asilo”.

“E nemmeno leggo della decisione dei sindacati confederali ad invitare i propri tesserati a destinare un’ora di salari e stipendi per l’accoglienza dei sopravvissuti e per inviare le bare dei morti nei paesi di provenienza. Non c’è stata, dall’altra parte, alcuna compagnia teatrale che abbia dedicato i primi tre minuti dello spettacolo al naufragio di Cutro e nessuna orchestra che lo abbia fatto. E nessun giornale né ordine religioso o squadra di calcio che abbia adottato un distintivo, un logo, un segno di lutto. Insomma, è come se – al di là dell’emozione vissuta nella sfera più intima – non sia possibile alcun segnale, alcuna manifestazione, alcun messaggio di condivisione. Una gigantesca Afasia”.

Manconi prova poi ad individuare le ragioni di questa dilagante indifferenza. “Alcune cause sono rintracciabili in quel dolore sociale talmente vissuto ed intenso da rendere impervia qualsiasi empatia con la sofferenza altrui; e in quella tendenza all’assuefazione che rende ordinario, fino a banalizzarlo, il senso stesso della tragedia”.

Manconi si chiede poi come mai anche i giovani che normalmente nella storia dell’umanità sono stati sempre i primi a scendere in piazza contro le ingiustizie, a rimanere silenziosi, anche loro titubanti e angosciati. “Come mai in passato, si avverte una distanza profonda, e in apparenza incolmabile, tra le aspettative di milioni di giovani, già calati nel futuro, e la loro difficoltà nel comunicare quelle attese, nel tradurle in parole, atti, movimenti. Ciò non si deve a povertà intellettuale e sprovvedutezza culturale, bensì a insicurezza psicologica e a qualcosa di simile a crisi di panico e questo rende terribilmente difficile, per le giovani generazioni, manifestare emozioni forti pur davanti a enormi danni che indubbiamente li coinvolgono”.

Manconi chiude con un appello a sé stesso e proprio a quei giovani traumatizzati dalle loro angosce: “L’agitatore politico chiede, sommessamente e rispettosamente, ai giovani e agli studenti, di manifestare il loro lutto, il loro sdegno, la loro partecipazione emotiva, ma sa che molto difficilmente ciò potrà accadere. Non è questa, tuttavia, una ragione per non provarci ancora”.

Dobbiamo reagire insomma: abbiamo la responsabilità di farlo. Dobbiamo essere un esempio virtuoso proprio per quelle nuove e impaurite generazioni a cui lasciamo un mondo peggiore di quello che abbiamo ereditato. Non arrendiamoci all’indifferenza: anche e soltanto per una ragione egoistica. È foriera di tragedie, di violenza e di odio. Fermiamoci prima che sia troppo tardi.

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *