Giuditta nasce a Roma il 30 aprile 1830, nell’ospedale Fatebenefratelli  sull’Isola Tiberina  ed è battezzata lo stesso giorno nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola.

Il padre è Giustino Tavani, un patriota della prima Repubblica Romana del 1798-1799, che dopo aver scontato una condanna nelle carceri pontificie va a vivere a Venezia per alcuni anni e poi ritorna a Roma. La madre è Adelaide Mambor.

Giuditta, anche se è religiosa, cresce in un ambiente familiare con saldi principi laici e repubblicani.

Il 22 luglio 1844, a soli quattordici anni, si sposa, nella Parrocchia romana di San Crisogono, nel rione di Trastevere, con Francesco Arquati, un commerciante di lana, originario di Filettino,  conosciuto nel magazzino di stoffe del padre.

Giuditta convince Francesco a sostenere le sue idee democratiche.

Nel 1849, Giuditta e Francesco partecipano alla difesa della Repubblica Romana, proclamata il 9 febbraio e finita, per l’intervento armato dei Francesi, il 3 luglio.

Partono il 4 luglio 1849, con migliaia di altri patrioti, guidati da Garibaldi alla volta di Venezia, per difendere la Repubblica di S. Marco, proclamata il 22 marzo 1848, che era attaccata dagli Austriaci (la Repubblica cade il 22 agosto 1849).

Successivamente, vanno nelle Romagne, dove continuano a cospirare contro il Papa Pio IX. Si trasferiscono poi a Subiaco, dove Francesco dirige una filanda di proprietà di un imprenditore tedesco,  e nel 1865 rientrano a Roma con i quattro figli più piccoli. Gli altri 5 figli più grandi sono a Filettino per continuare l’attività del padre di commercio della lana.

Nell’estate 1867 Garibaldi promuove la Campagna dell’Agro romano per la liberazione di Roma, per abbattere il potere temporale della Chiesa e liberare Roma dal governo papalino, alla quale aderiscono con entusiasmo circa 8.000 Volontari, che varcano il confine del Regno d’Italia con lo Stato pontificio.

Per dirigere l’insurrezione, Garibaldi invia a Roma, sotto falso nome, il patriota Francesco Cucchi, che riunisce alcune decine di patrioti, tra i quali c’è Giuditta, che è uno degli animatori ed organizzatori del gruppo.

ll centro della cospirazione è il lanificio di proprietà del patriota  Giulio Ajani , in Via della Lungaretta 97, nel rione popolare di Trastevere, in cui è nascosto l’arsenale dei congiurati e dove si fabbricano le munizioni per i fucili e le pistole.

Il 22 ottobre 1867 inizia il tentativo di insurrezione di Roma contro il governo papalino. Nella notte, i muratori Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti compiono un attentato alla Caserma Serristori, degli Zuavi pontifici, nel rione Borgo, vicino al Vaticano, facendo saltare, con due barili di polvere, parte dell’edificio e causando la morte di 25 militari, componenti della Banda musicale, e di due civili romani.

L’attentato ha lo scopo, insieme con altre azioni armate, che però non sono eseguite, di provocare una insurrezione popolare a sostegno dell’azione militare intrapresa da Garibaldi per abbattere il potere temporale della Chiesa e liberare Roma dal governo papalino.

Il piano per l’insurrezione prevede l’occupazione del Campidoglio, di Castel Sant’Angelo, di Porta San Paolo, della caserma di Piazza Colonna e delle carceri di S. Michele, a Porta Portese, per liberare i detenuti politici che vi sono detenuti, ed inoltre l’occupazione di varie Chiese cittadine per suonare a stormo le campane, che è il segnale convenuto per far entrare in città i Volontari garibaldini. Però, la sollevazione popolare fallisce, anche perché è scoperto a Villa Mattei (Villa Celi montana), sicuramente in seguito ad una ‘spiata’, un deposito di armi. Viene quindi proclamato in città lo stato d’assedio ed il coprifuoco.

Il 24 ottobre Monti e Tognetti sono arrestati. Un mese dopo, sono processati e condannati a morte. La sentenza è eseguita, mediante la ghigliottina, il 24 novembre 1868 in Via dei Cerchi, vicino al Circo Massimo, nonostante il Re Vittorio Emanuele II avesse inviato una richiesta di clemenza al Papa Pio IX.    

Intanto il 20 ottobre 1867 una spedizione di 76 patrioti, guidata dai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli, partono da Terni e giungono via terra a Passo Corese, un paese sulla Via Salaria, vicino a Roma. Da qui’, il 22 ottobre discendono con un barcone ed alcune barche il Tevere e sbarcano in prossimità della confluenza con il fiume Aniene, in prossimità della collina di Villa Glori.  Devono appoggiare l’insurrezione a Roma in attesa dell’arrivo dei Volontari di Garibaldi. Pur avendo saputo del fallimento dell’insurrezione a Roma decidono di non tornare indietro.

Nel pomeriggio del 23 ottobre, i patrioti sono scoperti da un reparto di circa 300 ‘carabinieri esteri’ (svizzeri). Ne nasce un conflitto a fuoco, che dura circa un’ora, nel corso del quale i patrioti contrattaccano anche alla baionetta. Enrico Cairoli è ferito gravemente e muore, adagiato sotto una pianta di mandorlo, tra le braccia del fratello Giovanni, che è anch’egli ferito. Al tramonto i soldati papalini si ritirano. I patrioti ne approfittano per ritirarsi verso Monterotondo, dove sta arrivando Garibaldi con i suoi Volontari, lasciando a Villa Glori i feriti, tra i quali Giovanni Cairoli.Il giorno dopo, 24 ottobre, i soldati pontifici ritornano a Villa Glori, catturano i patrioti feriti e li portano a Roma.  

La sera del 24 ottobre 1867, una quarantina di patrioti si riuniscono nel lanificio di Giulio Ajani, in via della Lungaretta 97, nel rione popolare di Trastevere, per organizzare l’insurrezione di Roma ed attendere l’arrivo dei Volontari di Garibaldi, che sono a  Monterotondo, a poche decine di Km dalla città.

Nel lanificio c’è un arsenale di fucili e si fabbricano le cartucce.

Tra i patrioti ci sono anche alcune donne, tra le quali Giuditta, incinta del decimo figlio, con il marito Francesco, che ha fatto rientrare a Roma da Subiaco, ed il loro figlio Antonio, di 12 anni.

Verso le 12 e mezzo del 25 ottobre 1867, mentre le donne stanno preparando il pranzo nel lanificio, un nutrito reparto di Zuavi pontifici ed alcuni poliziotti sopraggiungono da via del Moro, probabilmente in seguito ad una ‘spiata’, per fare una perquisizione nel lanificio. Alcuni gendarmi vanno nella vicina casa della famiglia Arquati, in Piazza S. Rufina, dove ci sono alcuni patrioti, compreso Giulio Ajani, che sono rapidamente sopraffatti e catturati.

Intanto, Antonio Arquati, il figlio dodicenne di Giuditta, che è di guardia sull’altana del lanificio, vede arrivare i soldati pontifici e lancia contro di loro una bomba a mano. Sentito lo scoppio, alcuni patrioti si affacciano alle finestre dell’edificio e sparano sui soldati papalini, che rispondono al fuoco. Rapidamente, nasce una dura battaglia, tanto che i soldati papalini sono costretti a chiedere rinforzi. Rapidamente arrivano altri soldati. I patrioti cercano di resistere. Però, dopo un paio di ore, le truppe pontificie riescono ad entrare nell’edificio, sfondando la porta. Giuditta, che è all’ingresso dell’edificio, è ferita più volte, ma riesce a salire al piano superiore, dove si trovano il marito Francesco ed il figlio Antonio, che sono uccisi davanti a lei. Anche Giuditta, benché incinta, è uccisa a colpi di baionetta dai soldati pontifici.

Alcuni patrioti riescono a fuggire attraverso i tetti mentre una ventina sono catturati. Nello scontro a fuoco rimangono uccisi 12 patrioti ed altri due, feriti, muoiono nei giorni seguenti per le ferite riportate. I soldati pontifici hanno tre morti ed alcuni feriti. Dopo lo scontro si mettono a mangiare, in mezzo ai morti ed al sangue, il cibo che Giuditta e le altre donne hanno preparato.

I patrioti catturati sono subito processati. Sono condannati a morte Giulio Ajani e Pietro Luzzi e gli altri a severe pene detentive.

Il popolo romano, nella cui sollevazione i patrioti confidavano per abbattere il governo papalino, non insorge. Garibaldi, dopo aver atteso per alcuni giorni l’insurrezione di Roma, alla fine di ottobre decide di ritirarsi a Tivoli per sciogliere la Legione dei Volontari, molti dei quali hanno disertato in seguito al proclama del 27 ottobre con il quale il Re Vittorio Emanuele II disapprovava l’azione di Garibaldi. Inoltre il Re ha inviato delle truppe nello Stato Pontificio per arrestare Garibaldi.

Il 29 ottobre sbarcano a Civitavecchia circa 2.500 soldati francesi, armati con i nuovi fucili a retrocarica Chassepot, inviati da Napoleone III.

Il 3 novembre 1867, le truppe papaline e francesi attaccano a Mentana i Volontari di Garibaldi che sono sconfitti.

Così fallisce la cosiddetta Campagna dell’Agro romano per la liberazione di Roma, lanciata alcuni mesi prima da Garibaldi ed alla quale avevano aderito con entusiasmo migliaia di Volontari.

La salma di Giuditta è tumulata, con altri patrioti caduti nella battaglia del lanificio Aiani, sulla collinetta del Pincetto, nel cimitero comunale del Verano, in una tomba scavata nella terra e chiusa da un coperchio di travertino, vicino alla quale è piantata in seguito una palma, simbolo del martirio.

La figura di Giuditta Tavani Arquati diventa il simbolo della lotta per la liberazione di Roma e per anni gli abitanti di Trastevere e le associazioni laiche e repubblicane commemorano l’eccidio nel lanificio Ajani.

Il 25 ottobre 1877, nel decimo anniversario della strage, è inaugurata, in ricordo di Giuditta, una lapide, apposta con un suo busto al primo piano della facciata dell’ex lanificio Ajani, in Via della Lungaretta 97, patrocinata dalla Società Operaia Centrale Romana e da molti cittadini di Trastevere.

Il 9 febbraio 1887  è costituita l’Associazione dei non elettori del V Mandamento  (che comprende i rioni di Borgo e di Trastevere), che in seguito è rinominata  Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati che da allora organizza numerose iniziative laiche e anticlericali.

Il 1 novembre 1909, grazie all’iniziativa dell’Associazione e di altre Istituzioni, la  Piazza che si trova  vicino all’ex lanificio Ajani di Via della Lungaretta 97 è rinominata Piazza Giuditta Tavani Arquati.

Sempre nel 1909, l’Associazione fa apporre la lapide in ricordo dei Carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari, in Piazza del Popolo, dove sono stati decapitati con la ghigliottina, da Mastro Titta, il 23 novembre 1825, per aver tentato di uccidere un confidente della Polizia papalina.

L’Associazione è sciolta nel 1925 dal Governo fascista.

Dopo la firma dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 il Governo fascista fa anche coprire con la calce tutte le lapidi dei patrioti del Risorgimento, ma lo scalpellino Spartaco Buffacchi, che è Presidente dell’Associazione, ripulisce, con grande coraggio, la lapide dedicata a Giuditta ed ai patrioti caduti al lanificio Ajani.

Nel 1941 tutte le salme dei patrioti romani tumulati al Verano, sono trasferite al Mausoleo Ossario Garibaldino, che riunisce i caduti della Repubblica Romana del 1849 e della Campagna dell’Agro Romano del 1867.

L’Associazione è  ricostituita nel 1945, dopo la Liberazione dal nazifascismo e da allora si batte per affermare i valori della laicità e della libertà.

Ogni anno l’Associazione organizza due solenni commemorazioni: il 9 febbraio, nell’anniversario della proclamazione della Repubblica Romana, al Mausoleo Ossario del Gianicolo, insieme con altre Associazioni patriottiche e risorgimentali; il 25 ottobre, in Via della Lungaretta 97, davanti al busto di Giuditta ed alla lapide a ricordo dei patrioti del lanificio Ajani, caduti il 25 ottobre 1867.

Giorgio Giannini

(Membro del Direttivo dell’Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati)

Foto: “L’eccidio della Famiglia Tavani Arquati” di Carlo Ademollo (1880). Dipinto a olio su tela. Museo del Risorgimento.

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