Finora i romanzi di Bruno Arpaia, campano di Ottaviano, ma da anni trasferitosi a Milano, hanno tutti investigato su aspetti di natura politica, compresi i romanzi della memoria. Come  “Il passato davanti a noi”; sui movimenti sessantottini, oppure storici come l’esemplare “L’angelo della storia”, sugli ultimi giorni di vita di Walter Benjamin, in fuga sui Pirenei dalle mani dei nazisti arrivati in Francia, dove in un primo momento il grande critico ebreo aveva riparato. O sull’influenza della Cia nella politica italiana degli anni Sessanta con “Il fantasma dei fatti” e altri.

Ora, dopo qualche anno di silenzio, Bruno Arpaia, a parte i libri scritti in veste di ispanista e traduttore dei maggiori scrittori di lingua spagnola, da Fernando Aramburu a Javier Cercas a Ruiz Zafòn, eccolo alle prese con un libro intimo, da non confondere con la parola intimista: “Ma tu chi sei”, edito come quasi tutti i suoi libri da Guanda. Bruno Arpaia ci racconta il dramma personale del suo difficile rapporto con la mamma ultranovantenne, affetta dall’Alzheimer, una condizione nella quale si ritroveranno non solo tutti lettori che in famiglia vivono questa esperienza con un proprio caro, ma anche quanti la temono o si chiedono che cos’è, come si svolge, quali problemi si affrontano a contatto con una persona che soffre di questo temibile morbo. Anche se, forse, sarebbe meglio dire le persone che le stanno intorno. In questo caso il figlio: dramma che comincia il giorno in cui la madre stenta a riconoscerlo.

Un figlio e una madre legati da un dialogo vero e profondo

“Ma tu chi sei” racconta con una sorta di malinconica rassegnazione gli incontri dell’autore con la propria madre, quando da Milano scende a Ottaviano nella RSA in cui ormai vive, dopo l’assoluto rifiuto materno di trasferirsi dal suo paese a casa del figlio (ma un tentativo non diede i risultati sperati). Sono momenti duri, ai quali è arduo per un figlio affrontarli con leggerezza, anche se, da quel grande scrittore che è, Bruno Arpaia riesce a descrivere con levità ed efficace sintesi in particolare gli allucinati quanto strazianti dialoghi con la madre, basati per lo più sulla ripetizione di domande a notizie già avute più volte dal figlio o dall’interlocutore di turno nel corso dell’incontro. É disarmante, infatti, nel vuoto totale dei ricordi di persone, anche le più vicine, che hanno fatto parte della propria vita, riconoscere tutte le volte l’abisso della mente materna, per fortuna affrancata dalla consapevolezza della propria condizione.

Quell’Alzheimer che spezza i ricordi e frantuma l’anima

E questo mentre si affaccia nel figlio il timore, la paranoia se si vuole, di fare la stessa fine, ripercorrendo egli i momenti in cui davvero, di fronte ad alcune persone ed eventi, per una certa difficoltà anche a riconoscere pienamente i volti delle persone conosciute, si è trovato davanti a dei vuoti di memoria. Così come quando, al cospetto di una giornalista che aveva recensito i suoi libri e con la quale lui e la compagna avevano trascorso un intero weekend insieme in Toscana, soltanto un mese dopo, trovandosela seduta di fronte a lui a una cena, non l’aveva riconosciuta, tanto da chiedere alla compagna: “Ma chi era quella signora seduta di fronte a me che mi ha fissato per tutta la cena?

Studiare come il cervello immagazzina e recupera i ricordi

É anche occasione per lo scrittore, curioso degli aspetti scientifici legati alla natura, di fare ricerche sulla memoria, mettendo così in rilievo quelle persone che hanno una memoria tale da soffrire della impossibilità di dimenticare, mettendoci al corrente, con un piglio narrativo che ben s’incastona nel racconto della propria vicenda famigliare, sugli studi fatti in merito e che riguardano non più di un centinaio di persone in tutto il mondo. Il nome di questa malattia, perché tale è, è “ipertimesia, mentre gli anglosassoni la chiamano HSAM (Hugly Superior Autobiographical Memory)”. Studi, questi, che, fornendo informazioni su come il cervello immagazzina e recupera i ricordi, può essere utile nella ricerca delle patologie che portano all’Alzheimer e alle altre forme di demenza. Ma, come ben presto Arpaia avrebbe scoperto, quella degli affetti di ipertimesia “lungi dall’essere una benedizione, il più delle volte era stata una drammatica e avvilente condanna”, per il peso di ricordare tutto, di ogni singolo giorno della loro vita.

Un romanzo vero scritto in prima persona

“Ma tu chi sei” è davvero un bel libro che non è stato azzardato definire in copertina romanzo, perché il rapporto, seppur dichiaratamente autobiografico, con nomi e cognomi veri, e situazioni reali e rapporti famigliari rivelati, tanto inediti da stupire addirittura gli amici lontani che non ne sapevano nulla, è costruito come un romanzo. Un romanzo, in questo caso, il cui io narrante ha, per pura coincidenza, lo stesso nome e cognome dell’autore, così come hanno lo stesso nome e cognome la madre malata di Alzheimer, il padre defunto da anni, la ex compagna e madre di suo figlio, gli amici e i parenti tutti e, con essi, i luoghi, che concorrono a formare l’intera storia.

Diego Zandel

Bruno Arpaia, Ma tu chi sei, Guanda, pag. 167, €.18,00

 

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