Il fenomeno è esploso l’11 marzo 2021. Quel giorno, presso Christie’s, la leggendaria casa d’asta, è stata battuta per oltre 69 milioni di dollari “Everydays: the first 5.000 days”, di Beeple, opera digitale che si avvale del metodo Nft. Da allora i Non Fungible Token, sono diventati protagonisti del dibattito (e in parte del mercato) dell’arte.

I contorni degli Nft, e persino la loro definizione, non sono però ancora ben delineati.
Per fare chiarezza, lunedì 26 settembre, presso la Fondazione Sandretto Re
Rebaudengo, a Torino, si terrà l’incontro “NFT: la nuova frontiera dell’arte contemporanea”. Prenderanno parte all’evento: Patrizia Sandretto Rebaudengo, presidente della Fondazione e del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, Raffaella Frascarelli, Presidente Nomas Foundation e Vice Presidente Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, Riccardo Rossotto, avvocato RP Legal & Tax, Filippo Riniolo, artista, Gianmaria Ajani, Professore dell’Università degli Studi Torino, Giulio Bozzo, co-fondatore e CEO di Reasoned Art, Mariolina Bassetti, Chairman Italy – Christie’s, Pierpaolo Forte, Università degli Studi di Sannio. In attesa dell’evento, L’Incontro ha affrontato con Patrizia Sandretto Re Rebaudengo alcuni dei temi caldi riguardanti gli Nft.

Come mai l’arte è il campo di elezione (o, almeno quello che dà maggiore visibilità) per gli Nft?

Gli Nft, per esteso Non Fungible Token, sono un tipo di contratto su blockchain che consente l’associazione di un codice alfanumerico ad un’immagine. Già questo dato ci consente di capire perché questa tecnologia ha trovato tanto spazio nell’ambito artistico: è considerata naturalmente afferente alla cultura visuale. Ma vi è di più perché, a differenza di altre tipologie di Token, come ad esempio le criptovalute, gli Nft hanno per definizione ad oggetto un bene infungibile. Nei manuali di diritto privato, tra le classificazioni dei beni si rinviene la distinzione tra bene fungibile e infungibile: l’opera d’arte è un classico caso di scuola, l’esempio di bene infungibile per eccellenza: è un bene considerato nella sua specifica individualità. Tale caratteristica dell’opera può essere ben valorizzata mediante le potenzialità tecniche dell’Nft.

Entrando ancora più nello specifico, sei d’accordo con chi sostiene che non esiste una “Nft Art”, ma che si tratti della normale digital Art (presente sul mercato ormai da decenni), abbinata a un particolare tipo di firma digitale (appunto Nft).

L’Nft è uno strumento. È vero che ben si adatta alla cessione di immagini, ma ciò non è sufficiente a fondare una corrispondenza perfetta tra Nft e arte. Non tutto ciò che è NFT è arte e naturalmente non tutta l’arte può essere Nft. Una Nft Art potrebbe esistere, certo, ma se l’intervento artistico fosse mirato ad adoperare le potenzialità della blockchain e la filosofia decentralizzata che ne sta alla base. In altri termini, potrebbe esistere se la tecnologia blockchain ne fosse la condicio sine qua non, e in questo modo si potrebbe differenziare dalla Digital Art. La modificazione di un’immagine sulla base delle azioni degli utenti della rete è una possibilità ancora poco esplorata, ma estremamente interessante.

Se esistesse invece un’arte Nft, questa rientrerebbe nell’arte visiva, o si tratterebbe di una nuova e diversa forma espressiva, come è stato, ad esempio, il Cinema per il Teatro?

Penso che sia un po’ prematuro tentare questo tipo di classificazione, soprattutto per la temporalità ancora ridotta del fenomeno. Ciò che al momento è importante fare è osservare e studiare le interazioni tra arte contemporanea e tecnologia Nft e farsi domande. Rimanendo sempre lucidi e tentando di osservare questo fenomeno in tutte le sue potenzialità e contraddizioni.

L’affaire Nft-arte è esploso nel marzo 2021 con la vendita a Christie’s di The first 5.000 days, di Beeple (nome d’arte di Mike Winkelmann) acquistata per circa 70 milioni di dollari (in criptovalute). Subito si parlò di un’operazione a tavolino destinata appunto a far esplodere il mercato dell’arte certificata da Nft.

Anche perché l’acquirente è Metakovan, pseudonimo di Vignesh Sundaresan, il fondatore di Metapurse, il grande fondo di Nft. Per diversi osservatori il mercato dell’arte certificata da Nft sarebbe addirittura solo una bolla, assimilabile alla mitica speculazione olandese sui tulipani del 1.600. Cosa ne pensa?

La nebulosità della regolamentazione del mercato su blockchain certamente è terreno fertile per le speculazioni. L’attenzione che hanno destato questi smart contracts ha determinato compravendite a cifre clamorose, che hanno fatto pensare che il mondo dell’arte fosse stato completamente travolto. In realtà, già questo boom può dirsi in larga parte esaurito. È in questa fase, allora che si può iniziare a ragionare. Ed è per questo che abbiamo voluto organizzare il convegno dal titolo Nft: la nuova frontiera dell’arte contemporanea presso la nostra sede di Torino. È chiaro che il fenomeno abbia una portata e caratteristiche tali da giustificare la disapplicazione dei modelli di mercato a cui siamo abituati e sono convinta che, per potervisi accostare in termini previsionali, siano necessari nuovi approcci e nuove metodologie.

PX4882E, opera fisica di Skygolpe è stata venduta lo scorso luglio, sempre da Christie’s, accompagnata dal rispettivo certificato digitale di proprietà per più di 69 milioni di dollari. Molto verosimilmente, l’opera fisica, da sola, non si sarebbe nemmeno avvicinata a tale cifra. Quindi è stato sostanzialmente venduto un certificato. Ma qual è il senso di pagare cifre astronomiche non per un’opera d’arte, bensì per quella che sostanzialmente è la sua autentica.

Quella che cita però non è una novità. Penso a Yves Klein che cedeva zone di sensibilità pittorica immateriale mediante una formale compravendita in base alla quale, però, all’acquirente restava poco e niente. Niente, se non una cedola che, però, per il perfezionamento della cessione, andava bruciata. Ancora meno che quanto resta al proprietario di un Nft. Il punto e la differenza rispetto all’operazione di Klein, è che qui non è detto che ci sia un intento artistico; quello che c’è sicuramente è l’utilizzo più o meno consapevole di uno strumento tecnico-giuridico. Di nuovo, dunque, credo che tutto ciò meriti una riflessione attenta, senza pregiudizi di sorta, che ci fornisca linee guida sulla cui base imparare a discernere.

Infine, l’impatto ambientale e il consumo di energia degli Nft è da tempo sotto accusa. Si dice che un singolo Nft “consumi” quanto un’automobile a benzina che fa 800 km e che nel complesso il settore Nft abbia un impatto ambientale superiore a quello del settore dei viaggi in aereo. In periodi enfasi sulla transizione ecologica e di crisi energetica, tutto questo potrebbe danneggiare il mercato Nft?

Che le blockchain abbiano un impatto ambientale non può e non deve essere negato. Il processo che causa il dispendio energetico è il cosiddetto mining, vale a dire il processo di validazione da parte degli altri utenti della rete. Tuttavia, esistono delle blockchain di seconda generazione che lavorano mediante processi di validazione differenti che comportano un dispendio energetico minimo. Ethereum, che è la principale piattaforma produttrice di Nft, ad esempio, ha sviluppato una nuova piattaforma (Ethereum 2.0), basata su questo tipo di algoritmi. Insomma, il fatto che ci sia consapevolezza del problema, è un dato di per sé estremamente positivo ed è fondamentale per trovare soluzioni.

Milo Goj

 

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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