Chi nega o minimizza il dramma delle foibe è come se volesse rigettarne la memoria. Coprire, nascondere. Perché? Perché non vuole riaffiori la coscienza sporca di quello che è stato fatto e che, forse, gode sia stato fatto. Ma che persone sono quelle che si mettono a dissertare che non si tratta di negazionismo ma di “libertà di ricerca e di critica”? La libertà di ricerca è solo quella che si fa nelle foibe, per tirar fuori i cadaveri dove sono stati gettati uomini e donne, dopo essere stati mutilati, privati degli occhi, violentate e infine arsi vivi. La ricerca storica poi si può fare negli archivi, come ha fatto il maggior ricercatore dell’argomento, Roberto Spazzali, che ha dato in questi giorni alle stampe “Pola città perduta” (edizioni Ares).

Ma noi istriani e dalmati non possiamo accettare che la verità storica sia determinata dagli “storici”, perché non stiamo parlando dell’epoca dell’impero romano, ma di soli 80 anni fa, e noi sappiamo perché abbiamo vissuto, visto e sentito: Noi siamo la storia dell’esodo. Eppoi di quali “storici” parliamo? Di gente che nega, per esempio, i cadaveri che stanno estraendo in Slovenia? Per dire che erano fascisti, ustascia o domobranci e quindi gente che andava buttata via? Anche i loro figli andavano buttati e bruciati? O amputati di mani e braccia e gettati vivi con una pietra al collo nel blu cobalto dell’Adriatico? Quali sarebbero gli studi accurati e i documenti disponibili di questi sedicenti storici? Che nemmeno sanno cosa sia stato vivere nei campi profughi in Italia, patendo la fame e senza poter finire gli studi.

Era gente che se lo meritava perché era ricca ed era italiana, dunque fascista; pensano questi “storici”. E se pensano così storici non sono, sono persone prive d’anima. Dicono che tutto sommato con gli infoibamenti ne è stato soppresso un numero esiguo. Perché se infoibo uno, 10, 100 o 10 mila non è lo stesso? E’ sempre attuazione di un pensiero criminale. Ma certo, gli esseri umani vanno pesati e valutati a chili di carne e ossa.

Quello che disgusta più di tutto e che si cerchi di creare odio tra gli ebrei e gli esuli, sostenendo che “si vogliono equiparare le foibe alla shoah”; come a dire: i campi di concentramento tedeschi sono stati ben peggio. Ma qui non si tratta di soppesare l’efferatezza dei crimini. Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello il pensiero: beh, tutto sommato mio suocero che è stato infoibato ha sofferto meno, solo 3 giorni visto che poi è stato estratto vivo, rispetto a mio nonno materno irredentista, prigioniero politico, che è tornato da Dachau dopo un anno e mezzo.

Non mi sono mai chiesta: chi ha sofferto di più? Il mio bisnonno ebreo che ha intestato tutte le sue proprietà agli ustascia croati per evitare il campo di concentramento oppure mio nonno paterno e mio padre, di famiglia nobile e cattolica, che hanno lasciato tutto l’8 settembre, fuggendo all’arrivo dei titini con i soli vestiti estivi addosso?

Questi “storici” vogliono giustificare gli eccidi dei titini solo perché erano di sinistra come loro, non sapendo che trattamento riservarono i titini ai comunisti stalinisti italiani all’isola di Goli Otok. Sostengono che le foibe siano state la risposta alla privazione agli sloveni, da parte dei fascisti, del possesso delle comunelle in Carso (terreni che coltivavano). Si sterminano tutti gli italiani indistintamente per questo? E sostengono che il campo italiano di raccolta dei familiari dei partigiani sloveni sull’isola di Arbe, durante la guerra, fosse un campo di concentramento: erano denutriti perché sull’isola durante la guerra non c’era da mangiare per nessuno (testimonianze dirette) e poi c’è stata la disgrazia di una mareggiata che ha provocato nel campo panico e morti per annegamento. Ma a causa di ciò l’indomani dell’8 settembre del 1943 i titini hanno impiccato tutti gli italiani sui pali della luce in porto, poi hanno saccheggiato le loro case, e ancora le abitano.

E secondo questi sedicenti storici, diffondere il ricordo dell’esodo alimenta “una lettura rancoroso, squilibrata e divisiva”. Senza conoscenza del passato, un popolo affoga nel presente. Noi italiani non dobbiamo smettere di ricordare. E la scrittura è l’unico modo che ci permette di conservare e trasmettere le emozioni vissute e patite. La nostra storia, l’unica nostra eredità.
Questa è la mission della società Ad Futuram Memoriam che un anno fa ha creato la piattaforma social Kepown come il pianeta custode della memoria dell’umanità dove gli scrittori possono atterrare, perché solo attraverso la scrittura si crea la cultura di un popolo. Senza cultura un popolo non ha identità. Lo sa bene l’Unione degli Istriani: gli esuli hanno scelto di abbandonare la loro terra per mantenere l’identità italiana e la libertà di pensiero.

L’empatia è la capacità di sentire le emozioni dell’altro come fossero proprie. E al fine di creare empatia verso gli italiani che vivevano lungo la costa orientale dell’Italia e per il loro dramma di sradicamento senza fine, perché non potranno ritornare mai più ad abitare le proprie case, Kepown e l’Unione degli Istriani hanno indetto la prima edizione del concorso nazionale “Raccontare per ricordare” l’esodo giuliano dalmata. Tutti gli italiani sono invitati a scrivere con empatia e immaginazione una storia sull’esodo partendo dai fatti reali che lo causarono.

“Il Giorno del Ricordo” dell’esodo si celebra il 10 febbraio, data della firma a Parigi del Trattato di Pace, che andò in vigore il 15 settembre 1947. Pertanto il concorso inizia il 10 febbraio per terminare il 15 settembre 2022 (ore 24). I partecipanti devono iscriversi sulla piattaforma www.kepown.com e inserire il proprio testo (minimo 15 mila battute spazi compresi), pubblicandolo con un semplice click. I testi possono essere geolocalizzati e datati sulla mappa temporale; si può indicare la comunità di appartenenza. Nella home page, nel menu in alto a destra, ci sono tutte le informazioni del bando alla voce “concorsi”.

Al termine del concorso, la direzione di Kepown affiderà i testi a una giuria qualificata per la selezione. Saranno premiati: il racconto più commovente, il più romantico e quello che avrà ricevuto più like. I premi: i racconti vincitori e quelli più meritevoli saranno pubblicati in un libro edito dall’Unione degli Istriani e rimarranno pubblicati su Kepown ad futuram memoriam. Gli autori dei primi tre racconti vinceranno pure un soggiorno in Istria e Dalmazia.

Elisabetta de Dominis

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