“La mattina del 5 di agosto si muovevano le truppe italiane, / per Gorizia le terre lontane / e dolente ognun si partì. / Sotto l’acqua che cadeva a rovesci / grandinavano le palle nemiche, / su quei monti, colline, gran valli / si moriva dicendo così…”.
La canzone di autore ignoto è un capolavoro nella sua semplicità e la sua esecuzione in versione integrale generò tra l’altro una singolare vicenda anche giudiziaria nella cornice del Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1964 (tornerò in argomento con un prossimo articolo ad altro proposito).

Sono stato a Gorizia due volte
La prima in quella notte “in cui tutto cominciò”. Sì, insomma, quando mi si accese l’interesse per la Grande Guerra (ne accennerò in una prossima puntata). La seconda sedici anni dopo, nell’occasione in cui sono salito al Podgora. Gorizia per me è rimasta un dilemma. La seconda volta non sono riuscito a ritrovare uno scorcio, una via, una piazza che corrispondesse al ricordo che avevo.
Come città diverse.
Pensavo di aver visto e non avevo visto?
Pensavo di ritornare e invece non sono che riuscito ad andare?
Pensavo di riconoscere ed era tutto sconosciuto?
Eppure non risulta che il centro storico fosse così cambiato.
Eppure la Città doveva essere sempre quella. Ero forse cambiato io, per quello che avevo letto, visto, sentito, per il mio girare in luoghi di guerra, che forse aveva cambiato il mio modo di vedere.
Oppure quel muro.
Quel muro che la seconda volta non c’era più e che forse, invece, nella prima occasione, aveva costituito l’asse del mio orientamento e poi dei miei ricordi. Sì, il muro che divideva la Città tra zona italiana e zona jugoslava e che poi è stato demolito coi tempi nuovi a seguito della caduta della Cortina di Ferro. Gorizia è stata la prima grande città in tutto il territorio dell’Impero austroungarico ad essere conquistata nel corso della Grande Guerra. Importanza strategica notevole, ma eco di propaganda enorme. Anche perché la vittoria avvenne sul fronte italiano, mentre in quei mesi sul fronte occidentale era in corso quella immane carneficina che costò quasi un milione di perdite nota come la Campagna di Verdun. E anche perché solo poche settimane prima, il 15 luglio, era avvenuta la raccapricciante e spettacolarizzata esecuzione di Cesare Battisti. Lo Stato Maggiore italiano era certo che, capitolata Gorizia con i capisaldi difensivi del Sabotino a Nord e del San Michele a Sud, la via per Lubjana sarebbe stata spianata e, simbolicamente, anche quella per Vienna.

Non andò così: anche in questa occasione, come nelle prime battute del conflitto, gli Austroungarici avevano già predisposto solidissime barriere servite da un’impeccabile retrovia già qualche chilometro e in alcuni punti persino solo qualche centinaio di metri più ad Est. Gli Italiani sono quindi arrivati con enorme dispendio di mezzi, esausti e senza fiato: le truppe avversarie, dopo aver venduto carissima la pelle, arretravano solo di poco, trovando rincalzi, rinforzi, rifugi e materiali ben organizzati e in abbondanza.

Una nuova formidabile barriera
La Battaglia di Gorizia, dal 5 al 10 agosto 1916, è inserita nella più ampia Sesta Battaglia dell’Isonzo, che costò circa 100.000 perdite. Gorizia è stata liberata (come si legge sui giornali dell’epoca) dopo un cannoneggiamento implacabile che l’aveva praticamente rasa al suolo. Le truppe italiane trovarono circa tremila abitanti dei quindicimila presenti prima dell’offensiva e dei trentamila in tempo di pace.
La “Nizza dell’Adriatico” asburgica era un ammasso di macerie.
“Non è stato ancora possibile verificare l’entità del bottino di guerra, che risulta enorme. Firmato Cadorna” – come si conclude il comunicato di mercoledì 9 agosto 1916.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *