Abbiamo avuto l’opportunità di leggere il documento predisposto da The European House-Ambrosetti, un approfondito studio sul come rilanciare il nostro “dimenticato” Sud. Un documento che ha innescato il vivace dibattito politico ed economico della convention organizzata dalla ministra Mara Carfagna, a Sorrento, ormai diventata la “Cernobbio del Sud”.

Al di là degli otto punti attraverso i quali lo Studio Ambrosetti articola il proprio programma (nulla di straordinariamente nuovo salvo, come lo ha definito Marcello Veneziani, “il tubo”, cioè l’opportunità per il nostro Mezzogiorno di diventare il centro nazionale ed europeo di smistamento delle pipeline (i tubi) del gas proveniente sempre di più, in futuro, dall’Africa), ci ha colpito un aspetto. L’assoluta assenza di qualsiasi elemento educativo e culturale nell’auspicato e mai concretizzato rilancio del nostro Meridione.

A causa di questa latitanza che denota una certa mentalità, ci è venuta in mente la storia umana e imprenditoriale di Leonardo Del Vecchio. La sua  bibliografia è stata recentemente pubblicata da Sperling&Kupfer, a cura di Tommaso Ebhardt. Perché questa associazione di idee? Perché non sono mai soltanto i fattori economici e finanziari a decretare il successo o il fallimento di un piano strategico. L’essere umano è sempre il driver di tali processi. E’sempre lui, con la sua cultura, il suo approccio, la sua attitudine, e anche il suo talento a far fare lo scarto, positivo o negativo, nelle storie imprenditoriali. Come nel caso di Del Vecchio. Vediamone le ragioni, pescando nella narrazione avvincente della vita dell’ottantasettenne padrone della Luxottica.

Umilità e fatica del lavoro alla base di un successo d’impresa

La carrellata degli elementi che hanno reso possibile, in una generazione soltanto, la costruzione di un impero come quello che Del Vecchio ha realizzato, è varia e istruttiva. Innanzitutto, l’umiltà e la fatica del lavoro possono dischiudere orizzonti imprevedibili e insperati. Non bisogna mai arrendersi e non bisogna mai dare per scontato che gli altri ti aiutino. Mai sentirsi realizzati: vorrebbe dire impigrirsi e perdere di energia. Inoltre non bisogna arrendersi di fronte alle sconfitte o ai passaggi a vuoto.

Per fare impresa occorre grande determinazione

Del Vecchio racconta che dopo una infanzia complicata e resa dura dalla perdita del padre, rischiò di fallire. E proprio all’inizio della sua piccola attività artigianale. Un istituto bancario gli revocò un fido nel momento di difficoltà. Soltanto un altro direttore di filiale di Belluno ebbe fiducia in questo giovane imprenditore italiano privo di mezzi. Ma lui era un giovane dotato di una grande determinazione e visione del futuro. Così potè pagare i debiti, uscire dalla crisi e riprendere quel cammino che lo avrebbe portato ad essere l’imprenditore italiano di maggior successo nel mondo.

Innovazione continua: la chiave del successo

Del Vecchio evidenzia come una delle maggiori criticità dell’imprenditoria italiana sia quella di fermarsi spesso al primo successo e di smettere di innovare. “Ho sempre cercato di migliorarmi e di migliorare la qualità dei miei prodotti. Non mi sono mai arreso alla pigrizia. Questa, in sintesi, la ricetta del mio successo”. Quando gli capita di incontrare le nuove generazioni per capirne gusti, tendenze, sogni ha un chiaro insegnamento. Suggerisce loro di non mollare mai, di puntare a essere il più bravo, a non elemosinare mai impegno, fatica e coraggio.

 

Questa storia imprenditoriale di successo si è svolta in un contesto ben diverso rispetto a quello attuale, ma comunque sempre complesso e molto competitivo. E per questo ci chiediamo come mai l’ennesimo piano di rilancio del nostro Mezzogiorno non tenga conto degli aspetti culturali ed educativi delle generazioni che nascono a sud di Roma.

Sì al reddito di cittadinanza se associato a politiche del lavoro

E’ indubbio che le risorse economiche, il sistema infrastrutturale, le telecomunicazioni siano elementi fondamentali per fare impresa. Ma tutto ciò non è comunque sufficiente se alla guida di questo processo non ci sono giovani che abbiano maturato e interiorizzato la cultura e il rispetto per il lavoro. Molti sostengono, e noi ci associamo a questo pensiero, che il reddito di cittadinanza sia stato l’ennesima picconata alla speranza di rilancio del Meridione. Non perché non ci fosse il bisogno – e il dovere – di individuare uno strumento normativo che potesse supportare, transitoriamente, coloro che avevano perso il lavoro o che non lo avevano mai trovato. Ma perché, così come disciplinato oggi, il reddito di cittadinanza non si sta dimostrando uno strumento virtuoso di aiuto ai momentanei disoccupati. E’ un incentivo a starsene a casa propria. A preferire l’incasso del reddito garantito mensile rispetto al dovere e all’opportunità di andarsi comunque a cercare un impiego.

Dagli anni 60 il Mezzogiorno ha fagocitato miliardi

Il reddito di cittadinanza ha un senso se associato a politiche attive del lavoro. E cioè a quelle misure che favoriscono la formazione e l’apprendimento di quei lavori che il mercato in quel momento richiede. Deve rappresentare uno strumento che sospende l’angoscia del fine mese. Ma a condizione che il soggetto beneficiario si impegni a partecipare ad una formazione per un lavoro di cui oggi il mondo industriale o dei servizi avrebbe bisogno e non trova invece risorse. Fin da quando eravamo bambini (agli inizi degli anni ’60) ci hanno promesso piani di rilancio del nostro Mezzogiorno. Anzi questo termine geografico diventò parte di un nuovo lessico che lo associava a tutti gli istituti che venivano via via costituiti per agevolare gli investimenti. Promesse finite in soffitta con lo sperpero di miliardi di euro di noi contribuenti. E con l’aggravante che una gran parte di quel denaro sia finito o stia finendo nelle casseforti delle organizzazioni criminali.

Per il nostro Sud cercasi spirito imprenditoriale

Nello studio Ambrosetti manca un capitolo. Quello della formazione, dell’educazione, della cultura, dell’assunzione del rischio, del lavoro faticoso, del non arrendersi mai alle prime difficoltà. La materia prima denaro, a certe condizioni, la si trova sempre. Quello che invece manca nel nostro Paese è il profilo imprenditoriale e cioè quello spirito che consente a certi esseri umani, come la storia di Del Vecchio dimostra, che con modestia, umiltà, impegno, determinazione, correttezza e passione si possono raggiungere obiettivi impensati creando valore a sé stessi e a tutta la comunità di riferimento. C’è bisogno quindi di esempi, di imprenditori che regalino un po’ del loro tempo per andare nelle scuole del nostro Mezzogiorno a raccontare le loro storie fatte di chiaro-oscuri, di successi e di insuccessi, ma basate però sulla passione, sull’energia, sulla visione e sulla cultura del lavoro.

Dobbiamo ripartire di qui se non vogliamo sprecare l’ennesima grande occasione per rigenerare anche culturalmente una delle zone geograficamente più belle del mondo e che, invece, rischia di diventare il benchmark degli sprechi, delle mafie, della corruzione.

 

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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