Proviamoci. Non è facile: se c’è un tema che spinge ciascuno a schierarsi in modo manicheo, tutto bianco o tutto nero, è proprio l’Europa. Anzi l’Unione Europea: pericoloso Leviatano Ademocratico o indispensabile Garante di Valori? Paradossale che alcune affermazioni verso l’una o l’altra tesi siano manifestamente sottoscrivibili (se la UE facesse domanda di adesione alla UE sarebbe respinta per conclamata assenza di requisiti democratici minimi, senza UE il rischio di anacronistici e pericolosi nazionalismi esiste) ma al punto in cui siamo solo sgombrando il dibattito da ogni retaggio ideologico sarà forse possibile capire e salvare quanto di Europa abbiamo a cuore.

Insomma la domanda non è se la UE è bella o brutta, quanto piuttosto se la UE funziona o no. Soprattutto in un mondo dove – per dirla con l’anziano ma lucido Kissinger – il vecchio continente rischia di essere relegato al ruolo di area subalterna, mera appendice geografica di una nuova, possibile potenza egemonica rappresentata dall’alleanza russo-cinese, a maggior ragione se la spinta isolazionista degli Stati Uniti facesse mancare il tradizionale ombrello di protezione conosciuto dagli europei lungo mezzo secolo di una pace garantita proprio dagli Usa.  E soprattutto alla vigilia di elezioni europee nelle quali – sondaggi alla mano e con buona pace dei profeti di sventura – la vera novità non sta nel rischio di un grande ribaltone elettorale populista (il più benevolo fra i sondaggi del continente assegna a un peraltro improbabile blocco unico populista non più del 17% dei voti) bensì in un astensionismo così diffuso da spingere ormai più di un europeo su due, pur avendo diritto di voto, a non ritenere né utile né opportuno andare fino al seggio per eleggere un proprio rappresentante al Parlamento Europeo. Né santa né strega, per l’europeo la sua “patria” rischia insomma di essere un inutile sbadiglio. Né i luoghi comuni lo motivano più che tanto, su tutti quello che proclama il processo di Unione e la relativa perdita di sovranità degli stati nazionali come la sola, potente arma “per competere in un mondo Globale”.

Un’affermazione tanto solenne quanto empiricamente infondata, se non altro perché non esiste alcun continente, ad alcuna latitudine e con qualsiasi grado di sviluppo, nel quale sia in corso alcun processo di unificazione di stati “per fronteggiare la sfida Globale”, anzi al contrario vi sono stati minuscoli perfettamente attrezzati alla sfida globale, quasi a suggerire che nell’era globale Piccolo – non Grosso – è bello.

Per aprire un dibattito utile occorre insomma tirare un bilancio e rispondere al fatidico Does It Work?  La mia risposta è no: it doesn’t work. Un no un po’ sconsolato, perché la verità è che tanto hanno lavorato, funzionato la Ceca dell’immediato dopoguerra e poi il Mercato Europeo Comune e la Cee quanto alla prova dell’unione politica il castello dei 27 è franato. Complice forse la scelta di Jacques Delors (“Scegliemmo di forzare sull’Euro perché convinti che la moneta unica avrebbe unito, non diviso”) anch’essa da sottoporre a verifica empirica. Perché alla prova dei fatti non esiste oggi alcun popolo ed alcuno stato europeo pronti a immolare la propria democrazia e le proprie risorse in nome di un Superstato Comune, fosse anche federale. E alla prova della verità una tecnocrazia europea percepita come priva tanto di identità quanto di legittimazione democratica (non un vero Parlamento, non un autentico Governo eletti dai cittadini, non una vera Banca Centrale garante di ultima istanza) raccoglie oggi ciò che ha saputo seminare.

Incombe lo spettro di una nuova recessione senza più neppure l’arma del QE a disposizione di un Draghi già sull’uscio del palazzo di Francoforte. Il costo sociale delle astratte regole economiche che dovevano garantire la crescita ha prodotto la tragedia di una Grecia ancora dolorante. Il costo politico della pretesa di imporre crescenti cessioni di sovranità democratica ha prodotto il disastro di una Gran Bretagna che ha rotto l’Unione.  Ed è da questo bilancio che occorre ripartire per comprendere – rifuggendo da luoghi comuni e prevenzioni ideologiche – quale Europa, per quali valori e per quali interessi comuni, occorre ora reinventare. Un’Europa, certo. Non una Non Europa. Ma, rispetto a questa UE, tutta un’altra Europa.

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