Il 12 giugno p.v. verremo chiamati a pronunciarci su 5 Referendum relativi ad alcuni temi delicati alla Giustizia. Nel 1997 i Radicali e un gruppo di Regioni proposero 30 referendum popolari su svariati argomenti. E privi di alcun senso logico. Dalla abolizione di alcuni Ministeri all’obiezione di coscienza, alla caccia, su alcuni temi propri della magistratura. E altri ancora. La Corte Costituzionale poi ridusse il numero a 11, non ritenendone ammissibili ben 19! Che cosa avvenne?

Una valanga di quesiti

Il titolo de L’Incontro del gennaio 1997 recava il significativo titolo “Troppi referendum alla Corte Costituzionale”, riportando la serie infinita di quesiti proposti sugli argomenti più disparati. Il giornale precisava opportunamente che, a partire dalla prima richiesta di referendum del 1972 per l’abrogazione del divorzio (la consultazione popolare si tenne poi nel 1974 con la vittoria del NO), la Corte Costituzionale aveva esaminato 74 richieste, dichiarandone ammissibili solo 40!
Lo stesso ex-Presidente della Corte Costituzionale, Leopoldo Elia, ebbe a commentare: “L’attuale valanga di referendum che sta per abbattersi sui cittadini spingerà il Parlamento a rivedere le norme che regolano questo istituto”, il che sino ad oggi in realtà non è mai avvenuto.

Referendum da abrogativo si trasforma in propositivo

Già allora si poteva notare, come riferiva L’Incontro dell’epoca, che, si era vericato un uso distorto di tale mezzo di democrazia diretta. Posto che, mentre l’art. 75 della Costituzione aveva previsto un referendum diretto soltanto ad eliminare leggi o parti di leggi. Poi, “nella prassi, attraverso un uso accorto del ritaglio delle disposizioni da abrogare, il referendum da abrogativo si è trasformato in propositivo (ad esempio, i referendum elettorali del 1993 in senso maggioritario).

Così quello che doveva essere uno strumento correttivo ed eccezionale da usare per grandi questioni di principio (divorzio, aborto, ecc.) è diventato un esame della volontà popolare su molteplici argomenti non risolti dal Parlamento, e quindi uno strumento di notevole rilievo politico. Forse sarebbe stato opportuno che una giurisprudenza costituzionale con precise determinazioni fissasse canoni generali di comportamento in grado di garantire la certezza del diritto e un eccepibile rapporto fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa“.

Mi pare che tali considerazioni siano ancor più valide e fondate oggi, a distanza di tanti anni. Proprio i 5 referendum che andremo a votare il 12 giugno p.v., ne sono un chiaro esempio. Che cosa avvenne poi all’esito delle votazioni che si tennero il 15 giugno 1997?

Costi eccessivi e quorum a rischio

Va ricordato che il numero dei referendum venne ancora ridotto da 11 a 7 dalla Corte di Cassazione. La Corte preso atto di alcune norme introdotte dal Parlamento prima del 15 giugno 1997, ritenne che i referendum già indetti su alcuni quesiti fossero divenuti superflui. Come per esempio quello sui segretari provinciali e comunali.
Il risultato fù deludente. Posto che “soltanto 13 su 49 milioni di elettori (cioè solo il 30 per cento) sono andati a votare i sette referendum proposti dai club Pannella e da alcuni Consigli Regionali. Nella storia dei referendum (45 nel corso di 23 anni) solamente una volta (giugno del ’90) non si era raggiunto il “quorum”. Ma allora la percentuale dei votanti (il 43,5 per cento) era risultata superiore”.

Una sconfitta per tutti

Oltre al rilevante danno economico (il costo per lo Stato fù di ben 840 miliardi di lire dell’epoca), L’Incontro riteneva come il risultato fosse un “boomerang”. Infatti titolava “E’ inoppugnabile che si è trattato di una sconfitta per il popolo, per i Partiti, per la Corte Costituzionale. Un “boomerang” che si ritorce sulla credibilità delle istituzioni e sul senso di responsabilità dei cittadini. E’ vero che i 7 referendum non contemplavano temi fondamentali, come accadde per il divorzio e l’aborto, ma questioni tecniche che qualsiasi governo è in grado di risolvere facilmente.

Ma se il governo non lo fa per pigrizia o per conservare i privilegi di taluni (come per gli incarichi stragiudiziari dei magistrati o per le scorrerie dei cacciatori sui terreni privati) o per altri inconfessabili motivi, allora appare doveroso che si esprima, attraverso il voto referendario, la volontà dei cittadini”.

E’ proprio vero che la Storia si ripete. I 5 referendum del 12 giugno p.v. sono frutto della incapacità del Parlamento di legiferare. Ma anche della volontà di Radicali e Lega di “punire” in qualche modo la Magistratura.

Alessandro Re

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