Se fossimo un po’ meno pieni di noi stessi e sapessimo guardare i nostri vicini con più attenzione ci accorgeremmo che le lezioni che potremmo trarre da questa tornata elettorale spagnola sono molteplici.

Le prima, molto importante, è stata l’affluenza alle urne: immensa rispetto ai nostri magri risultati. Il significato è banale ma, se vogliamo cambiare e non facciamo sentire la nostra voce, non possiamo neppure pretendere che i politici ascoltino le nostre proteste da bar. Io, ad esempio, non vinco mai alla lotteria ma non mi arrabbio per una ragione semplicissima, non gioco.

La seconda è che l’offerta politica di tutte le fazioni era estremamente interessante, condivisibile o meno, ma certamente interessante. Programmi chiari e senza la ricerca di colpevoli da accusare, più o meno tutti i candidati hanno pensato al popolo di mezzo, quello che ha perso di più durante la crisi del 2012 e che da allora fatica a riprendersi. Chi ha vinto ha pensato anche ai più disagiati ma senza fare sconti o regalie, senza fare promesse difficili da mantenere. Certo che le disuguaglianze non sono state vinte e forse non lo saranno neppure nei prossimi anni nonostante le riforme fatte dal precedente governo e quelle che verranno fatte da questo.

La terza lezione la vedo nei candidati, agguerriti ma mai esagerati, alla ricerca del consenso ma senza l’insulto all’avversario. Sarà forse dovuto al fatto che tutti loro sono laureati, colti e con una notevole esperienza nell’amministrazione pubblica. Chi più e chi meno ma tutti loro si sanno muovere in positivo, nessuno di loro si è scagliato contro “i poteri forti” addebitando a loro gli insuccessi che già prevedono nella loro gestione. Chiamiamola excusatio preventiva.

La Spagna ha capito che prendersela con la UE non solo non serve a nulla ma è anche dannoso. I sacrifici che sono stati fatti per risalire la china (41 miliardi di prestito da restituire) oggi vanno capitalizzati e utilizzati per crescere ancora. Il PIL al 2,5% è il segno che il governo, dopo aver adottato quei correttivi che la Commissione Europea aveva chiesto per concedere il prestito, ha continuato su quella strada e ha ottenuto i risultati che tutti speravano. Certo i sacrifici sono stati duri per la maggior parte degli spagnoli ma, in campagna elettorale, nessun candidato si è sognato di accusare la Comunità Europea di averli strozzati. Considerare che il debito pubblico troppo elevato è un danno tragico soprattutto per le fasce più deboli è normale in un paese civile e rimanere amici con chi ti ha aiutato nei momenti difficili, è oltremodo conveniente.

Altre lezioni sarebbero da ricordare come, ad esempio, l’approccio pragmatico al problema dell’immigrazione che, per gli spagnoli ben più “invasi” di noi, è da considerare un fattore positivo e non un pericolo; oppure che tutti i candidati hanno capito che le ricette per la crescita non sono cambiate e che le leggi populiste “acchiappavoti”, il più delle volte, sono un danno irreparabile.

Siamo vicini alle elezioni europee e sarebbe molto utile se questi esempi ci fossero chiari in testa. Il timore è che manderemo altri sprovveduti a discutere con chi sa, chi si è informato, chi ha studiato. Continueremo così, oltre a fare altre figure meschine, a fare danni che ci peseranno per anni.

Giorgio A. Chiarva

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