A dispetto di una vulgata che la vuole unica statista in mezzo a leader di minore levatura, in realtà Merkel per l’ennesima volta nei lunghi anni del suo cancellierato rischia di dimostrarsi al contrario una semplice buona amministratrice del condominio tedesco, incapace di una visione di maggiore profondità storica e del coraggio politico necessario nei momenti straordinari.

A partire dall’inizio della crisi del debito nel 2008, la Germania ha avuto innumerevoli possibilità di divenire la potenza egemone in una Europa unita, di essere guida di un processo di aggregazione di fondamentale importanza storica, nel luogo più avanzato del mondo. Dalla questione greca, alle crisi successive alle cosiddette primavere arabe, ai grandi movimenti migratori, mai la cancelliera tedesca è riuscita a superare la visione conservatrice e ristretta, di piccolo cabotaggio, seppure con le indubbie capacità di ottima amministrazione dell’esistente che è giusto riconoscerle.

Ciascuna di tali crisi avrebbe potuto essere per l’Europa una grande opportunità sul piano ideale e di convenienza, laddove avesse determinato, quale risposta, gli stati uniti d’Europa: un’unione economica vera, attraverso il consolidamento del debito; una costruzione politica forte, grazie all’aggregazione dei sistemi di difesa; un modello sociale, attraverso l’armonizzazione di sistemi universalistici di welfare state.
Quale altra, tra le potenze regionali, avrebbe potuto farsi carico di una simile risposta se non la Germania? Il Paese che, insieme all’Italia, ha saputo incarnare per l’intero dopo guerra lo spirito vero della costruzione europea – molto più di Francia e Gran Bretagna, sempre utilitaristiche nell’approccio e orfane della grandezza imperiale dei secoli precedenti – e si è trovata all’inizio del nuovo secolo nella posizione migliore per gestire il passo in avanti. Riunificata, prima manifattura, con uno stato sociale eccellente, con meccanismi di relazioni industriali di straordinaria efficienza, con una coesione sociale altrove inimmaginabile, con corpi intermedi, dal sindacato alle organizzazioni datoriali ai partiti, di grande capacità di elaborazione, capaci di raccogliere un consenso e una fiducia diffusi presso la pubblica opinione. La Germania, soltanto la Germania, aveva – e avrebbe ancora oggi, seppure indeboliti proprio dalla limitatezza della visione di questi anni – peso politico, strategico, economico, per garantire la legittimazione a uno straordinario processo di passaggio di sovranità dal livello nazionale a quello europeo.

Spesso nel dibattito pubblico si imputano all’Europa errori che derivano invece dall’atteggiamento dei governi nazionali. Quando si dente domandare retoricamente dove sia l’Europa, occorrerebbe rispondere che non c’è perché i singoli governi degli Stati membri non consentono all’Europa di essere presente sullo scacchiere. L’inazione , l’ostacolo a forme di solidarietà continentali, il ricorso a misure diverse in competizione tra loro in ciascun Paese sono sempre il frutto di scelte conservative dei governi nazionali. Si dovrebbe dire che a non esserci – o a esserci in modo dissennatamente, inefficacemente diviso – sono i governi nazionali, attenti alle sirene egoistiche dei sovranismi. Se quanto ci manca è l’Europa, la colpa di ciò è di chi non vuole più Europa, dei governi nazionali che impediscono un ruolo centrale di Commissione e Parlamento, il problema risiede nella mancanza di potere reale del livello comunitario rispetto a quello intergovernativo.

Ebbene, quale statista degno di questo nome costringe i propri ottanta milioni di cittadini a un destino di potenza industriale regionale per paura di cedere alcune porzioni di potere decisionali nella costruzione di un sistema continentale di straordinaria importanza geopolitica, in cui potrebbe agevolmente porsi al ruolo di guida di quasi cinquecento milioni di persone, rappresentanti il mercato più ricco del mondo? Consolidamento del debito sovrano, bund europei, piano di investimenti continentale, politica di difesa ed estera comune, un seggio permanente nel consiglio di sicurezza dell’ONU. Tutto ciò che l’Europa potrebbe avere e in cui la classe dirigente tedesca avrebbe un ruolo di primo piano. E infine, ma cosa più importante, l’affermazione del modello sociale europeo, della democrazia pluralista e dell’economia sociale di mercato, del plurilateralismo e della progressione verso il federalismo universale, in una parola la creazione del più avanzato e prospero sistema politico-economico sinora conosciuto.

Merkel rifiuta questa sfida da decenni; la crisi di questi giorni potrebbe essere l’ultima chiamata per diventare una vera statista. Riuscirà a cogliere l’occasione?

Nicolò Ferraris

Nicolò Ferraris

Nato a Torino nel 1981 è avvocato penalista.

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