“Sono le 8 e 30. Primi giorni di Dicembre ed il freddo è pungente. Una famiglia curda è accampata sul piazzale davanti alla Caritas: mamma, papà e quattro minori. I volontari della mensa sono al lavoro già dalle cinque di mattina. In attesa dell’apertura della mensa, alle ore 9, hanno portato cioccolata calda al nucleo familiare. Il piazzale inizia a riempirsi di persone che hanno dormito lungo il fiume.
Sono già le nove e lo spazio famiglia, gestito in collaborazione con “Save the Children”, apre.

Il nucleo familiare viene accolto: i bambini e la mamma richiedono la visita con il medico presso il nostro ambulatorio. Mentre la mamma accompagna, con un mediatore, il bimbo dal medico, gli altri, accompagnati da un operatore usufruiscono del servizio docce e del vestiario. Hanno fatto molta strada a piedi e da parecchi giorni non hanno avuto la possibilità di farsi una doccia. Apre anche il vestiario, il centro Ascolto, lo sportello Legale (in collaborazione con Diaconia Valdese, We Word) e a breve anche l’ambulatorio medico.

Il numero di persone che si sono deteriorate sotto il peso della sofferenza di non essersi integrati o che sono rimasti bloccati nel “limbo” non potendo arrivare a destinazione e non potendo tornare al paese di origine aumenta costantemente. Persone ormai destrutturate, con problematiche psichiatriche e di abuso di sostanze psicotrope, in piena deriva sociale. Abdul (nome di fantasia) è uno di questi. Per dieci mesi è venuto tutte le mattine da noi. Stava fermo, non parlava, non chiedeva… l’unica cosa che accettava era il pasto caldo. Parlava e gesticolava da solo e spesso non controllava gli sfinteri. Lui uno dei tanti, ma forse più fortunato… perché?

Grazie al contributo di vari progetti siamo riusciti ad aprire un alloggio, sulla falsa riga dell’Housing First, dove siamo riusciti ad inserire quattro giovani in condizione di grave vulnerabilità e lui è uno di questi. Davanti all’entrata i volontari iniziano a “smistare” le persone che arrivano. Chi vuole mangiare, chi mangiare e prendere vestiti, chi ha appuntamento con lo Sportello legale, chi vuole accedere al Centro Ascolto (persone residenti) per chiedere aiuti economici o per attivare la tessera dell’Emporio Solidale. Qualcuno chiede di accedere all’Accoglienza Femminile o Maschile, perché al momento non ha un posto dove dormire.

Il nucleo Familiare ha accettato l’inserimento presso il nostro alloggio (messo a disposizione della Diocesi). Avrà quattro giorni di tempo per riposarsi e decidere cosa fare. Per domani gli è stato fissato un appuntamento con lo sportello legale. Riceverà una consulenza adeguata sulle leggi odierne sia italiane, sia europee; così avrà gli strumenti adeguati per una scelta ponderata. Fare richiesta di asilo in Italia o proseguire con il proprio progetto migratorio.”

Storie di frontiera, terza puntata. Dopo il sindaco di frontiera e il siciliano di Grimaldi, oggi Christian Papini, direttore della Caritas dì Ventimiglia, che così ci racconta una sua giornata tipo. Vediamo la frontiera attraverso l’angolazione di chi vive con i migranti, soprattutto per i migranti: chi li accoglie e li indirizza, chi cerca di ridare significato alla persona umana. Ai suoi bisogni elementari. “Ditemi se questo è un uomo…”

Cristian per passione (quanto le passioni dicono di noi !) scrive testi e li musica, oltre a gestire il Progetto Teatro, nato per rispondere al problema della solitudine, e dell’auto determinazione delle persone fragili. E c’è una sua canzone emblematica, che racconta tutta la realtà che ogni giorno è davanti ai suoi occhi, e non solo: “Lacrime nere sul greto del Roya” Ascoltiamola e ascoltiamolo!

2 – Un caso umano che vuole ricordare, raccontare

Dal 2015 presso la Caritas sono transitate circa 87.300 persone. La maggior parte di queste persone è stata con noi per alcuni giorni. Ci siamo incontrati, abbiamo scambiato saluti, parole, raccontati esperienze. Non è facile capire la condizione di chi è costretto a partire e intraprende un’odissea che lo porta a rischiare di non poter arrivare a destinazione e di non poter neanche tornare indietro. Durante l’esperienza di accoglienza delle “Gianchette” ho avuto la fortuna di conoscere Omar. Per chi non ne fosse a conoscenza il 31 maggio del 2016 grazie al Vescovo Mons. Suetta, Don Rito e la Caritas è iniziata un’accoglienza durata 440 giorni presso la chiesa di Roverino a Ventimiglia.

Omar era arrivato da una settimana con sua moglie al quinto mese di gravidanza ed il fratello. Una sera parlando, dopo aver provato a passare varie volte la frontiera senza successo mi dice di aver deciso: domani sera saltiamo su un treno merci e proviamo a passare. Io, molto ingenuamente gli dico che è una soluzione pericolosa, sia per lui che per sua moglie e suo fratello. Lui mi guarda dritto negli occhi e mi dice: Christian non siamo morti in Sudan, non siamo morti nel deserto, in Libia, nel Mediterraneo e secondo te ci preoccupiamo di saltare su un treno? Omar mi ha dato una grande lezione. Mi ha fatto capire che non avevo capito niente. Che proprio non avevo capito il tipo di disperazione che si portava dentro lui come tutte le persone costrette a fuggire, disarcionate dal proprio ambiente.

3 – Relazione con gli organi dello Stato. C’è collaborazione? Sta cambiando il vento? Oppure indipendentemente dal governo centrale in carica quello che paga sono le buone relazioni sul territorio con i rappresentanti degli enti locali?

I rapporti con gli organi di Stato sono basati sulla collaborazione e funzionali. Certo che il non riuscire a sbloccare la riapertura di in Campo di transito porta ad un confronto che non sfocia in nulla di concreto. Io penso che la Politica affronti in modo errato il fenomeno dei flussi migratori. Basti pensare all’accordo con la Libia di Minniti o i Decreti Sicurezza di Salvini. Per fortuna sul territorio ci si confronta con persone che svolgono funzioni operative basate sulla pragmaticità.

4 – Una priorità secondo lei , una priorità assoluta per affrontare il tema ? Dipendesse da lei la prima cosa che farebbe…

Un problema complesso richiede una soluzione complessa. A livello micro, quindi rispetto alla sofferenza che vive Ventimiglia (dall’11 giugno del 2015) l’unica soluzione, basata sul concetto di minor danno, è l’apertura di un Campo di Transito fisso.
Dico fisso perché la città di Ventimiglia negli anni è stata luogo di passaggio per migliaia di persone. Pensiamo ai Curdi negli anni novanta, ai Tunisini negli anni 2000. Ci vorrebbe una struttura adeguata ed attrezzata da poter utilizzare in caso di necessità. Bisogna anche sottolineare che risulta veramente improbabile poter pensare ad una fine a breve, ma neanche a medio o lungo termine, dei flussi migratori.

Basti pensare che la quota maggiore di questi è interna all’Africa. A livello macro il trattato di Dublino va assolutamente rivisto, come va cambiato l’approccio ad un fenomeno oramai inarrestabile. Non più problema ma risorsa. Ci si dovrebbe concentrare sul creare un’accoglienza diffusa e non stigmatizzante. Già prima del Covid il mondo del Volontariato si interrogava rispetto alla sempre maggiore difficoltà delle persone di considerare il dedicare del tempo agli altri un’opportunità di crescita. Il Covid ha accelerato questo processo e, oggi, sia a causa della crisi economica, sia a causa delle problematiche dovute al lockdown è sempre più difficile trovare nuovi volontari.

Da sottolineare che stare in contatto con persone che sono in difficoltà, che dormono lungo il fiume, che spesso sono costrette a vivere d’espedienti non sempre è facile.
Come non è facile reperire le risorse per portare avanti tutte le attività: basti pensare che in estate arriviamo a dare trecento pasti al giorno, distribuiamo vestiti di continuo perché chi transita non ha la possibilità di lavarsi la roba e spesso non ha un abbigliamento adeguato alla stagione. Non parliamo dell’inverno in cui le coperte e i sacchi a pelo, le scarpe i giubotti sono indispensabili per resistere la notte

5 – Fosse lei il migrante che arriva rocambolescamente a Ventimiglia, che penserebbe? A panni invertiti. Un suggerimento se un migrante ci potesse leggere

Quando una persona arriva a Lampedusa o a Trieste, dopo aver subito torture e aver rischiato di morire ogni singolo giorno del percorso, pensa di essere finalmente salvo, di aver finalmente raggiunto la propria destinazione: l’Europa. Crede che sarà semplice concludere il viaggio e arrivare in Germania. Quando arriva a Ventimiglia pensando di passare la frontiera e transitare sul territorio francese per giungere a destinazione capisce, senza mezzi termini, di non essere arrivato in Europa, ma di essere arrivato in Italia. Il Trattato di Dublino è un imperativo, la negazione della determinazione delle persone, del loro progetto migratorio.

La sede della Caritas a Ventimiglia è posizionata lungo la ferrovia. Ogni mezz’ora circa un treno parte o arriva dalla Francia. Ma la realtà è che non sono treni per tutti. Ricorda un po’ la piccola fiammiferaia. Vedere tutte queste persone considerate clandestine, guardare quei treni, sapendo che a loro sono preclusi è straziante. Ed è anche un atteggiamento miope dello Stato Italiano. Considerando quanti giovani emigrano dall’Italia, la bassa natalità del nostro Bel Paese, la mancanza di manodopera, dovremmo fare di tutto per convincerli a fare richiesta di Asilo da noi.

6 – Relazioni con i francesi, ce ne sono ? C’è collaborazione sul territorio ? O c’è una minore disponibilità?

Dall’11 Giugno 2015 la Francia ha ripristinato le frontiere andando in deroga al trattato di Shenghen. Da quel momento molte Associazioni francesi o cittadini comuni hanno cominciato a venire a Ventimiglia per aiutare sia operativamente (Un gest pour tous, Roya Citoyenne, Secour Catholique ecc.). SNCF si è prodigata molto per informare le persone in transito rispetto ai pericoli di utilizzare i treni e le rotaie per passare la Frontiera. Di pochi giorni fa la notizia di un migrante rimasto folgorato sul tetto del treno. Da considerare che dalla chiusura delle frontiere sono morte trentatre persone nel tentativo di passare la frontiera: attraverso il

Passo della Morte, in autostrada, sui treni e sulle rotaie o annegati. SNCF ha distribuito, tramite noi, bicchieri, giochi di carte, opuscoli dove, sia attraverso vignette, sia in varie lingue, vengono spiegati i pericoli. Altre Associazioni si sono interessate e si sono confrontate con noi rispetto all’abitudine francese di respingere in Italia anche i Minori non Accompagnati.

7 – Il Centro di accoglienza andrebbe rifatto ?

Al momento a Ventimiglia tutta l’accoglienza delle persone in transito è delegata al mondo del volontariato e del terzo settore. Lo Stato continua a latitare e delegare.
L’unica forma di risposta al momento è centrata sulla sicurezza tramite il controllo del territorio. Lo stato dovrebbe intervenire aprendo un Campo di Transito.
E’ ormai evidente a tutti che nei periodi in cui era presente sul territorio un Campo la qualità di vita sia dei cittadini, sia delle persone in transito era migliore.

Eraldo Mussa

eralmussa@gmail.com

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