Frontiera. Non so cosa si possa aggiungere a quanto è stato scritto così bene in questi tempi disperati. Forse solo raccontare storie di frontiera, solo così si può pensare di dire (ancora) qualcosa. Persone migranti che cercano una vita migliore. Da un lato il Passo della Morte e dall’altra la speculazione edilizia e l’età dell’oro targata “Monaco”: estremi inconciliabili.

La lezione della Botanica

Botanica come prima forma di migrazione e di acclimatazione. Piante rare dall’Africa e da altri paesi remoti. Nomi di piante rare come nomi di migranti che arrivano dagli stessi luoghi lontani. È una ricchezza per la Botanica la diversità, la sfida di acclimatare specie diverse in un unico luogo. Nel rispetto delle differenze di origine, le piante vengono acclimatate in una unica forma di convivenza: se non è una lezione questa! Botanica come forma di democrazia ideale. Frontiere fisiche e frontiere mentali , lingue che dividono e dialetti che uniscono , inglesi e russi , una storia piena di storie individuali , ebrei erranti, anche un certo Primo Levi che passa di qua. Tutto questo ce lo racconta Enzo Barnabà*.

Enzo Barnabà, il siciliano di Grimaldi

Vive sul sentiero del “Passo della Morte”, il sentiero che da un centinaio di anni è meta di fuoriusciti in cerca di fortuna, di disperati , di sognatori di vita nova dopo tanta vita grama. Enzo Barnabà è uno storico , un letterato , un cittadino del mondo , un “citizen”impegnato e serio, ma anche un ragazzo della costa un po’ selvatico , che puoi trovare in inverno a fare il bagno in mare all’ora di pranzo. Così tra ricordi e storie , tra personaggi da “belle époque” e scrittori di successo , tra passi della morte e sentieri di speranza, Enzo ci svela una zona di frontiera che è un fazzoletto di rocce e terra intriso di inferno e di paradiso. Da centellinare.

Villa Voronoff e la storia degli scimpanzé

“Serge Voronoff, il chirurgo franco-russo che cercava di ringiovanire gli uomini trapiantando loro testicoli di scimmia, negli anni Venti del Novecento fu uno degli uomini più popolari del pianeta. Qualcuno sostenne che ciò che caratterizzava il nuovo secolo fossero “i grattacieli americani e le operazioni di Voronoff”. Gli scrittori, i giornalisti e i politici parlavano costantemente di lui. I verbi “voronoffizare/voronofizer” entrarono a far parte del lessico italiano e francese con il significato di “ringiovanire”; nel 1923, Mussolini si proclamò “il Voronoff d’Italia”. Pochi seppero interpretare quanto lui lo spirito del tempo, connotato dall’ottimismo che fece seguito alla prima guerra mondiale, con l’annesso desiderio di colmare i vuoti demografici creati dal conflitto”.

Migranti trattati come scimpanzé?

“La materia prima proveniva dall’Africa; al fine di ridurne i costi, Serge pensò bene di acquistare dal dott. Appenzeller (alle cui cure si affidava l’imperatrice Sissi) una bella villa (o “château” come si preferiva dire), sopra i Balzi Rossi – e quindi in territorio italiano, ma a due passi della frontiera – che possedeva un parco ben esposto, atto ad ospitare un allevamento di primati. Le scimmie erano trattate con i guanti gialli: disponevano di riscaldamento centrale e venivano nutrite nel migliore dei modi. Voronoff aveva trovato il modo di non pagare il dazio per le banane che faceva venire dalla Francia, dove erano molto meno costose. Visto che le due dogane si trovavano sull’Aurelia proprio davanti alla sua proprietà, aveva fatto costruire un ingresso prima degli uffici, che si abbinava a quello che si trovava dopo gli uffici”.

Le gabbie ancor oggi sono ben visibili

“Le decine di migranti che, rimandati in Italia, si avviano ogni giorno verso Ventimiglia le sfiorano. Non sanno a cosa siano servite fino al 1938 quando Voronoff, ebreo francese, fu costretto a prendere la direzione opposta. A Ventimiglia dormiranno sotto i ponti e spesso avranno fame. Sì, forse si può affermare che le scimmie che vi abitarono, anch’esse impossibilitate a circolare liberamente, venivano in un certo senso trattate meglio di loro”.

Gli ebrei e il Passo della Morte, durante la guerra

“Una delle mussoliniane leggi razziali imponeva che gli ebrei stranieri lasciassero il territorio italiano entro il marzo del 1939. A Ventimiglia ce n’erano tanti: avevano lasciato i paesi che cadevano in mano ad Hitler nella speranza di salvarsi in Francia. Le analogie con la situazione odierna sono evidenti. Ricorso alla carità altrui, notti passate per strada, ostilità italiana, respingimenti francesi, ricorso ai “passeur”, morti e suicidi. Anche gli itinerari dei passaggi clandestini erano simili. La cartina che Robert Baruch disegnò e spedì alla propria comunità meranese, dopo essere arrivato a Nizza, potrebbe essere distribuita ai migranti d’oggi. Andrebbe solo tradotta ed attualizzata la toponomastica”.

Opposizione metaforica tra la morte e il paradiso

“Il passo pericoloso (quello che negli anni 1950 sarà chiamato “della Morte”) va lasciato sulla sinistra e al suo posto va intrapreso il sentiero fatto di curve, quello che in realtà si chiama “passo del Paradiso”. Opposizione estremamente metaforica questa tra la morte e il paradiso, ma in realtà fuorviante poiché nasce dalla cattiva traduzione del termine occitano “paradou”, che vuol dire “gualchiera”. Qualche curiosità. Alcuni ebrei riuscirono ad usufruire dei due ingressi della proprietà di Voronoff, ormai in mano ad amministratori che non rifiutavano mazzette. Nel 1947, Primo Levi e il farmacista alsaziano, il “Pikolo” suo aiutante ad Auschwitz, pur in assenza dei necessari passaporti, riuscirono ad abbracciarsi grazie a un doganiere. Vedendoli comunicare strillando, separati dalle due sbarre che si trovavano da una parte e dall’altra di ponte San Luigi, il funzionario offrì loro il proprio ufficio”.

Inglesi come piovesse su questa frontiera

“A un certo punto Bennet a metà 800, ancora prima di Hanbury, medico e botanico, importa piante rare dall’Africa e da altri paesi remoti…
Durante la Belle Époque, il “sogno babilonese” dei milionari inglesi (e non solo) era quello di creare in Riviera e in Costa Azzurra ville circondate da giardini a strapiombo sul mare che facevano pensare a quelli pensili di Semiramide. Il primo di questi fu impiantato a Grimaldi dal ginecologo della regina Vittoria James Henry Bennet. Fu quest’ultimo – che era anche un botanico sperimentato – ad introdurre in zona la nozione di giardino di acclimatazione, facendo pervenire dall’emisfero australe centinaia di rarissime piante che gli permisero di creare un vero “eden tra le rocce” nel quale riceveva ospiti illustri come la stessa regina Vittoria, lo scrittore Stevenson, Thomas Hanbury (che seguì il suo esempio e con cui Bennet effettuò scambi di piante e di idee)”.

Quella società cosmopolita che modificò radicalmente la Liguria

“Vi si costituì uno dei centri più interessanti di quella società cosmopolita che modificò radicalmente la Liguria tradizionale. A Bennet seguì la ricca americana Ella Waterman, una delle cui figlie, la pittrice Romaine Brooks, fu amata da D’Annunzio, il dott. Appenzeller, che abbiamo già incontrato (“Se non mi compri questo paradiso morrò di dolore!”, gli aveva detto la moglie) e finalmente Voronoff. Abbinare lo château soltanto a quest’ultimo (pur importantissimo) nome, come abitualmente vien fatto, significa minimizzarne la ricca storia (una storia che ho narrato in un libro intitolato, appunto “Il Sogno Babilonese”). Oggi, trasformato il condominio, lo château ha perso parte dello splendore del passato; agli occhi ammirati dei migranti, tuttavia, suscita ancora l’idea del paradiso”.

Uomo e poeta di frontiera su tutti è Francesco Biamonti

“Francesco ha saputo raccontare più d’ogni altro questa frontiera, pensiamo a “Vento largo” (Einaudi Editore). Quasi assillato dal mito del “doppio”, era sollecitato a conoscere in profondità la Francia limitrofa. Memorabile, l’articolo scritto – in occasione dell’accordo di Schengen – osservando l’alba che illumina le rocce che delimitano il Passo della Morte: le frontiere si eclissano per noi, non per il “popolo della notte” che si sposta verso il confine, “quello verticale a picco sul mare”. I suoi “passeur” sono tuttavia dei personaggi letterari, lontani dai reali, che erano contadini che arrotondavano le entrate con piccoli traffici. Ventimiglia, quando il fascismo aveva trasformato le caratteristiche della frontiera (da respingimento a contenimento) rendendola difficilmente penetrabile, viveva largamente di questi traffici incentrati sul passaggio di merce, uomini e valute”.

Un incidente sul Passo della Morte che vuole ricordare

“Piuttosto che di migranti che chiedono una coperta per ripararsi dal freddo o di case isolate in cui, sfondata la porta, essi bivaccano per una o più notti, voglio riferire un episodio occorsomi qualche tempo fa. Ero davanti alla porta di casa quando, dal sentiero che sale su verso il paese vedo arrivare tre giovani di colore (due ragazzi e una ragazza) che fanno cenno di voler parlarmi. Hanno una ventina d’anni e sono probabilmente eritrei. Li aspetto. Quando sono vicini, uno dei ragazzi mi dice “church, church” e, per farmi meglio capire, giungendo le mani, fa per inginocchiarsi. Gli faccio cenno che ho capito e gli indico la direzione della chiesetta del paese che si trova a un centinaio di metri. Mi ringraziano chinando il capo e si avviano in quella direzione.

Chissà quante volte – dico tra me e me – attraversando il Sahara o il Mediterraneo su incerti barconi, avranno fatto quanto si accingono a fare. Successivamente, non li ho più visti passare. Probabilmente hanno continuato il loro cammino prendendo il sentiero che si inerpica verso il Passo della Morte, quello che io ho ribattezzato “Sentiero della Speranza” poiché da più di un secolo viene percorso da chi spera di trovare al di là della frontiera una vita migliore: antifascisti, ebrei, migranti economici di ogni nazionalità. A decine si contano i decessi di chi ha sbagliato strada ed è precipitato dalle falesie che guardano il mare. L’ultimo italiano, un giovane panettiere di Bagno a Ripoli vi è morto nel 1960. Si chiamava Mario Trambusti”.

Orengo e il destino di un nome in comune, ma di due visioni del mondo opposte. Lo scrittore e l’imprenditore di Latte

“Lo scrittore Nico e l’uomo d’affari non si amavano. Finirono anche davanti a un Tribunale. Se il giardinetto di Latte non porta il nome del romanziere è perché egli non tollerava che la targa col suo nome “guardasse il supermercato”. Nico si opponeva alle “mani sul territorio” di cui il suo omonimo appariva come il capofila. Oggi, agli speculatori ben ammanicati e con pochi scrupoli, vanno aggiunti gli appetiti monegaschi. Il tradizionale termine “rapallizazione” a Ventimiglia va sostituito con quello di “montecarlizzazione”. Una cementificazione a 5 stelle che sottrarrà ai cittadini pezzi di territorio per consegnarli agli iperricchi del vicino principato. I ventimigliesi potranno essere fieri delle costruzioni di lusso in progetto, ma non potranno usufruirne: vedere ma non toccare. A questo, vanno ovviamente aggiunti i danni naturalistici”.

Mentonaschi e Ventimigliesi … c’è uno spirito di frontiera comune o spiriti contrapposti?

“Quando – più di trent’anni fa – venni ad abitare a Grimaldi, trovai che se le frontiere fisiche ed economiche tendevano a sfarinarsi, quelle mentali persistevano. Mi diedi da fare in mille modi tanto che “Nice Matin”, come sa, mi definì “briseur de frontières mentales”. Non ho cavato molti ragni dal buco. Al contrario. I sovranismi, che attualmente imperversano da ambedue le parti, sono fondati sull’antagonismo binario noi/loro. Un antagonismo che connota le identità: del disagio dei ventimigliesi sono responsabili i francesi – si pensa, ad esempio – i quali respingono i migranti e vengono poi a nutrirli nel nostro territorio. Alcuni politici su questa disinformazione e sul vittimismo ci marciano”.

C’è poi il problema della lingua

“Una volta la comunicazione era favorita dall’uso del dialetto rispettivo. Oggi si è obbligati a passare attraverso le lingue nazionali (che anch’esse connotano le identità!). Quella del vicino è conosciuta superficialmente e quasi sempre si limita alla comunicazione commerciale di primo livello. A Ventimiglia il francese è molto poco studiato, abbiamo avuto un giovane sindaco che non ne conosceva, per così dire, una parola. Il pidgin la fa da padrona e le frontiere mentali si rafforzano. Sembrerebbe che si sia d’accordo solo sull’ostilità nei confronti dei migranti. C’è tanto, tanto lavoro da fare. Le guerre e le guerricciole fanno solo male ai due popoli”.

Eraldo Mussa

* Enzo Barnabà, scrittore di saggi storici e romanzi, è nato a Valguarnera nel 1944, ha studiato lingua e letteratura francese a Napoli e a Montpellier, e storia a Venezia e Genova. Ha insegnato lingua e letteratura francese in vari licei del Veneto e della Liguria. Per conto del Ministero degli Esteri, ha svolto la funzione di lettore di lingua e letteratura italiana presso le Università di Aix-en-Provence e di insegnante-addetto culturale ad Abidjan, Scutari e Niksic.Tra i suoi saggi ricordiamo: I Fasci siciliani a Valguarnera (Teti, 1981), che è stato inglobato in Il meglio Tempo. 1893, la rivolta dei Fasci nella Sicilia interna (Infinito, 2022) e Morte agli italiani! (Infinito, 2008). Tra le opere di narrativa ricordiamo: Sortilegi, scritto con Serge Latouche (Bollati Boringhieri, 2008), Il Ventre del Pitone (EMI, 2010; ultima edizione: Il Viaggio di Cunégonde, Siké, 2018), Il Partigiano di Piazza dei Martiri (Infinito, 2013), Il Sogno dell’eterna giovinezza. Vita e misteri di Serge Voronoff (Infinito, 2014), Il Passo della morte (Infinito, 2019) con Viviana Trentin e Il Sogno Babilonese. Lo château Grimaldi, la Belle Époque, la Riviera (Infinito, 2019). Alcuni dei libri citati sono stati pubblicati in francese, tradotti dall’autore.

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