L’assalto alla sede della Cgil dei giorni scorsi ha scosso profondamente l’opinione pubblica e le istituzioni obbligandoci a riflettere ancora una volta sugli strumenti di cui il nostro ordinamento dispone per contrastare la diffusione delle manifestazioni violente di matrice neo-fascista.

La violenza degli atti cui abbiamo assistito e la loro diretta riconducibilità a una determinata forza politica hanno fatto levare più di una voce a sostegno della necessità di intervenire sciogliendo Forza Nuova.

Ciò – è stato ribadito in più occasioni in questi giorni – non è solo costituzionalmente possibile, ma parrebbe costituzionalmente dovuto. Ci sono i presupposti costituzionali (la XXII Disposizione transitoria e finale); ci sono i presupposti normativo-procedurali (la Legge 645 del 1952, conosciuta come Scelba); ci sono precedenti a sostegno (da ultimo nel 2000 con lo scioglimento del Fronte Nazionale e prima nel 1973 e 1976 rispetto a Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale).

Pertanto, se è un bene che il Governo voglia prendersi il tempo necessario per riflettere sulle conseguenze politiche e sociali, prima che giuridiche, di un simile atto, è giusto ricordare che la decisione di sciogliere un partito, in casi di particolare gravità, può essere assunta dallo stesso Consiglio dei Ministri con decreto legge, senza attendere una pronuncia giudiziaria.

Detto ciò, abbiamo davvero detto tutto?

È opinione di chi scrive che la vicenda tutta schiacciata sull’hic et nunc, anche se affrontata di petto dalle istituzioni o dagli organi giudiziari, non possa da sola rendere il quadro di una situazione assai complessa di cui i recenti atti non sono altro che un epilogo, capace di fomentare delle soluzioni che se non meglio ponderate nell’ottica di un’azione più ampia e articolata, potrebbero rivelarsi controproducenti, perché non pienamente comprensibili da una parte dei consociati.

Dire che l’ordinamento abilita lo scioglimento di un partito non significa, infatti, che sia agevole farlo; non significa neppure che gli effetti di un simile atto siano tutti immediati e tutti positivi. L’esperienza comparata ce lo insegna: lo scioglimento imposto di un partito rappresenta sempre un trauma per la democrazia, senza contare che esiste uno iato tra piano giuridico e piano politico-sociale, una frattura che spesso la messa in clandestinità acuisce.

Non si vuole con ciò suffragare la tesi di chi sostiene che la democrazia per non rischiare di tradire sé stessa non possa difendersi, perché se fosse intollerante con gli intolleranti non sarebbe diversa da chi l’attacca. Lo scioglimento dei partiti è uno strumento definito democraticamente con un atto legislativo, conformemente a quanto dettato dalla nostra Carta. Nulla quaestio, dunque, sulla sua legittimità.

Ciò che si vuole sostenere in questa sede è qualcosa di più e di più impegnativo, qualcosa che impone una riflessione collettiva alla quale non possiamo più sottrarci e che tocca più piani: quello giuridico, certo, ma anche quello educativo, quello memoriale, quello sociale.

Possiamo cominciare con il dire che il contrasto alle manifestazioni neo-fasciste in Italia può contare su un impianto legislativo assai ricco e articolato. Forse verrebbe da dire un po’ troppo ricco e articolato dal momento non sono isolate le ipotesi di sovrapposizione che (seppure in parte superate da clausole di chiusura) in molti casi lasciano ampi margini di interpretazione e autonomia al giudice. Non ci soffermeremo qui sul tema, assai tecnico; d’altra parte, non possiamo fare a meno di evidenziare la sottile linea che divide, per esempio, le disposizioni della Legge Mancino (Legge 205/1993) in merito al cosiddetto esibizionismo razzista, dal dettato della legge Scelba in tema di ostentazione di simboli fascisti. Non possiamo, infatti, fare a meno di sottolineare i contrasti e le incertezze di una giurisprudenza che stenta a consolidarsi attorno a un orientamento condiviso e che, quando lo fa, sceglie di richiamarsi a pronunce che ribadiscono posizioni di prudenza limitando il ricorso alla Legge Mancino (che potrebbe forse trovare una più ampia applicazione anche in corrispondenza delle fattispecie che qui ci interessano) e alimentando al contempo una lettura alquanto restrittiva delle ipotesi di cui alla stessa legge Scelba.

Certo non stupisce questa timida applicazione della normativa Mancino e, anzi, evidenziarla aiuta a comprendere meglio alcune recenti vicende. Non dimentichiamo che molte delle resistenze poste rispetto all’approvazione del noto Ddl Zan si radicano proprio nella riluttanza a estendere la repressione del pensiero discriminante, in quanto limitante del principio della libertà di espressione. Si tratta, invero, di resistenze che oggi trovano spazio nel dibattito pubblico ma che sono già state ampiamente sottolineate dalla dottrina di fronte al ricorso all’azione penale e ai suoi limiti in corrispondenza di atti di libertà di parola e della loro potenziale lesività. 

Non di meno, parrebbe un atteggiamento miope pretendere ora a gran voce lo scioglimento di Forza Nuova senza imprimere, al contempo, dal punto di vista giurisprudenziale, una svolta capace di condizionare ed implementare l’impiego delle più generali norme vigenti a contrasto della violenza e delle discriminazioni di naturale razziale, etnica, nazionale e religiosa, attraverso una costruzione equilibrata di una giurisprudenza capace di garantire da una parte le esigenze di tutela della dignità della persona, che anche il pensiero discriminante può ledere, dall’altra la libertà di manifestazione del pensiero.

Allo stato attuale, insistendo nel voler leggere praticamente solo in chiave fascista le manifestazioni di esaltazione razziale e di intolleranza che si vanno susseguendo (alimentando un dibattito fascisti-antifascisti che stenta a trovare coordinate su cui ancorarsi nell’attualità), si è finito con il limitare eccessivamente la repressione del ricorso alla violenza, anche in chiave ideologica, che la legge Mancino avrebbe potuto esplicare (né valgono a smentire quanto si va dicendo sporadici casi giurisprudenziali, seppur recenti…). Ciò, peraltro, senza aver ottenuto alcun effetto positivo dal momento che, pretendendo per giurisprudenza costante che le manifestazioni di apologia di fascismo debbano essere tali da costituire un concreto pericolo per l’ordinamento costituzionale e da mostrare una effettiva capacità di ricostituzione del partito fascista, si è andata ridimensionando l’effettiva portata che potrebbe avere la legge Scelba per quel che concerne il reato di apologia di fascismo. Non si dimentichi che coloro che nelle fila della magistratura ancora sostengono la necessità di intrepretare in senso restrittivo le disposizioni della legge Scelba lo fanno richiamando le sentenze emesse dalla Corte costituzionale nel 1957 e nel 1958 quando tra i suoi membri sedeva Gaetano Azzariti, già Presidente del Tribunale della razza durante il regime di Mussolini.

Ciò che si vuole qui sostenere è che il saluto a braccio teso, il grido “presente”, l’ostentazione di fasci sono atti capaci di concretare le fattispecie di cui all’art. 2 della legge Mancino perché è indubbio e ampiamente condiviso che si tratta di emblemi volti a connotare gruppi che hanno tra i loro fini l’espletamento di attività di carattere discriminatorio, a prescindere dalla loro capacità o volontà di contribuire alla ricostituzione del partito fascista. Come tali andrebbero puniti in sé e per sé e potrebbero essere puniti più agevolmente senza necessità di ricondurli alla Scelba e ai suoi presupposti restrittivi.

Questa incertezza giurisprudenziale, non esente da connotazioni ideologiche, ha favorito l’esistenza di sacche di impunità, ma soprattutto ha contribuito a impedire la formazione di una coscienza rispetto alla natura illecita di certi comportamenti, in particolare tra i giovani, fomentando l’idea che la definizione di cosa siano violenza, discriminazione, odio fosse condizionata dall’ideologia politica di ciascuno, la cui manifestazione sarebbe tutelata dall’ordinamento stesso. Se cosa sia un comportamento fascista appare non chiaro e se la violenza, la discriminazione e l’odio quando associati a manifestazioni fasciste sono punite solo in date circostanze non facili da dimostrare, allora non sempre la violenza, la discriminazione e l’odio appaiono come illegittimi. Anzi in taluni casi potrebbero essere considerati di per sé strumento legittimo di lotta politica. 

Bene, dunque, lo scioglimento di Forza Nuova, ma solo se accompagnato da un più accorto uso della legislazione vigente e da una giurisprudenza ferma nel non lasciare spazio all’incertezza dell’azione punitiva…E anche così potrebbe non bastare.

Non possiamo dimenticare, infatti, che la forza deterrente di una norma e dunque la sua efficacia sono direttamente proporzionali al livello di percezione che i consociati hanno in merito all’importanza del bene giuridico tutelato e alla capacità dell’azione stigmatizzata dalla norma di ledere quel bene. 

È opinione condivisa che se il bene giuridico tutelato dalla Legge Scelba possa essere riconosciuto nella sicurezza dell’ordinamento costituzionale, quello protetto dalla Legge Mancino sia da ricercarsi nella garanzia dell’ordine pubblico in senso materiale, detto altrimenti nel mantenimento della tranquillità dei consociati e nella loro pacifica convivenza, che presuppone il rispetto della dignità delle persone.

Orbene, non è chi non veda come la potenzialità lesiva di atti di ostentazione di simboli ed emblemi di matrice fascista sia concepibile solo in un contesto in cui la storia del Novecento sia ben conosciuta. 

A cosa serve inibire uno spazio pubblico a una forza politica se una larga fetta delle persone che abitano quello spazio non hanno gli strumenti culturali per ricondurre quella decisione alla storia e alle vicende costituzionali del nostro Paese? Come possiamo pretendere che quella decisone esprima tutti i suoi effetti positivi senza controindicazioni se la nostra società non ha saputo ancora fare i conti con un passato che torna ad animare il dibattito pubblico conquistando di giorno in giorno legittimità e non ha saputo fornire strumenti di conoscenza alle nuove generazioni per sviluppare un senso critico rispetto a rigurgiti di intolleranza più o meno violenta?

Da parte dei poteri dello Stato troppe volte è mancato uno sforzo educativo da esplicare nelle scuole e negli spazi pubblici ed è mancato un impegno memoriale frutto di un confronto con il passato responsabile e consapevole, capace di orientare un progetto identitario per il futuro del nostro Paese.

Ben venga, dunque, l’apertura di un dibattito pubblico sull’opportunità politica di mettere finalmente al bando una forza politica come Forza Nuova ma solo a patto di voler davvero andare fino in fondo, ossia solo a patto di sciogliere le ambiguità di una giurisprudenza datata e opaca, di promuovere la persecuzione della violenza e della discriminazione sempre e a prescindere dalla dimostrazione della matrice fascista (spesso troppo difficile da dimostrare…); di avviare un serio ripensamento dei nostri percorsi scolastici per quel che riguarda la formazione dei docenti, l’insegnamento della storia, la predisposizione dei programmi ministeriali, la stesura delle linee guida dei testi da adottare nelle scuole; di prendere davvero sul serio i percorsi di memoria istituzionale cui i pubblici poteri sono chiamati e cui non è possibile sottrarsi perché se è vero come è vero che la Costituzione è uno dei più potenti ed evocativi luoghi (immateriali) di memoria è vero anche che senza la conoscenza e la consapevolezza della storia su cui si fonda quella memoria anche la Costituzione perde di efficacia e prescrittività.

Se siamo pronti a non tirarci indietro davanti a queste sfide allora siamo pronti a dichiarare disciolta Forza Nuova.

Anna Mastromarino

Anna Mastromarino

Professoressa Associata di Diritto Pubblico Comparato Delegata di Dipartimento per la Mobilità Internazionale Dipartimento di Giurisprudenza Università di Torino

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