Negli Stati Uniti e in Europa rischia di affermarsi un nuovo militarismo che rinnega alcuni principi su cui si fondano gli Stati occidentali. Anche in Italia, dopo un lungo periodo di oblio, i militari stanno riconquistando le posizioni perdute nella politica e nella società. Poiché chi dispone delle armi è pericoloso a prescindere da tutto, sarebbe utile avviare un dibattito sul ruolo delle Forze Armate oggi. Ma sembra non interessare a nessuno.

Il secondo emendamento americano

Con regolare frequenza negli Stati Uniti qualche pazzo in possesso di armi compie una strage. In quelle occasioni si accende il dibattito sul secondo emendamento della Costituzione che riconosce a tutti i cittadini il diritto di possedere e portare armi. Ma raramente qualcuno ricorda l’intero secondo emendamento. Sarebbe troppo imbarazzante e controverso. Lo riportiamo noi tradotto: “Poiché una milizia ben regolata è necessaria alla difesa di uno Stato libero, il diritto del popolo di possedere e portare armi non può essere violato”. La prima parte dell’emendamento collega il diritto a portare e possedere armi all’esistenza di una milizia popolare il cui compito è la difesa dello Stato. Una difesa sia dai possibili nemici esterni, sia da potenziali tiranni che potrebbero mettere a rischio la democrazia popolare. Questo era l’intendimento originario e costituiva un principio democratico rivoluzionario alla fine del 1700.

Su quella premessa si sorvola perché male si concilia con l’esistenza di un apparato militare diventato gigantesco al contrario di quanto auspicavano i padri fondatori della grande democrazia americana. Gli Stati Uniti, da mezzo secolo ormai, spendono più di tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme per un esercito di professionisti, gran parte dei quali prestano servizio all’estero. Il contrario di una difesa basata sulla milizia popolare. Queste enormi spese militari hanno favorito lo stabilirsi di una casta sostenuta da un intreccio industriale-militare ormai inestricabile. Il Presidente generale Eisenhower in un famoso discorso nel 1960 aveva già messo in guardia da questo pericolo. Parliamo di un generale conservatore, non di un pacifista comunista, di Noam Chomsky o chi per lui! L’intreccio oggi è anche finanziario sia per la struttura dell’economia sia per i numerosi sussidi di cui godono i reduci ai quali sono garantite pensioni e cure mediche a cui gli altri lavoratori spesso non hanno diritto.

L’Italia e l’abolizione della leva

Anche in Italia, l’indignazione urlata e scontata sul caso del libro del generale Vannacci avrebbe dovuto sollevare un problema ben più importante: il ruolo e la collocazione delle Forze Armate nella Repubblica. E anche del loro obbligo a obbedire (tacendo) al governo e non intromettersi su questioni che non li riguardano. Abbiamo abolito, con un sospetto consenso generale, la leva militare obbligatoria trasformando la natura stessa delle nostre Forze Armate. Non si è tenuto conto – e come molte altre notizie che riguardano i militari non ha sollevato alcuna obiezione – che un esercito composto da cittadini, i quali abitualmente svolgono altre occupazioni, include necessariamente persone con idee e appartenenze politiche variegate. Non solo: avendo un’altra occupazione stabile, il militare è meno manipolabile. Un esercito popolare deve tenere sempre conto del consenso civile e democratico. Un esercito di professionisti può farne a meno e la fedeltà ai principi democratici e costituzionali non è sempre così scontata. C’è il rischio che forze armate professioniste si trasformino in casta e finiscano per occupare il potere con il sostegno di chi fa affari con la guerra.

La difesa del Paese – ma perché pensare che ci sia sempre bisogno di difendersi? – è, se necessaria, dovere di tutti i cittadini, così come anticipava la Costituzione americana due secoli e mezzo fa stabilendo un principio che ispirò il Risorgimento e la formazione degli Stati nazionali. In questo il secondo emendamento della Costituzione americana era esemplare nel consentire ai cittadini di possedere e portare armi per difendere lo Stato e difendersi dallo Stato. Delegare la difesa – ma vediamo come negli ultimi decenni si sia sempre trattato di ‘offesa’ – a eserciti sempre più potenti e armati incoraggia la formazione di lobby, di poteri extra governativi e in definitiva provoca guerre. Un esercito di professionisti della violenza può più agevolmente trasformarsi in una corporazione e compiere un colpo di Stato senza incontrare resistenza. Non oggi, non domani, ma prima o poi succederà. Se non si inverte la rotta.

Un esercito costituito da soli salariati, quali sono i militari di professione, potrebbe nel tempo trasformarsi in un esercito di mercenari formati in scuole militari dove si impone un pensiero unico. Non succede solo in Italia, anzi nel nostro Paese questo rischio sembra meno incombente che altrove, sebbene con i generali Figliuolo e Vannacci i militari comincino a fare capolino anche in posizioni pubbliche. E, mentre Crosetto diventa ministro alla Difesa dopo essere stato Presidente degli industriali costruttori di armi, si mette a tacere ogni discussione su un incidente mortale che vede coinvolte le Frecce tricolori.

Negli USA il complesso militare industriale è ramificato in tutta la società. Incluse le università: se vuoi studiare e sei povero, puoi ottenere finanziamenti andando a combattere per qualche anno in qualche parte del mondo. Le opportunità non mancano e piuttosto si creano. I finanziamenti per la ricerca tecnica e scientifica arrivano in buona parte dal Pentagono che finanzia direttamente anche le imprese. Nelle scienze sociali nelle materie umanistiche, si formano sistematicamente esperti che conoscono tutti i Paesi del mondo e provengono da tutti i Paesi del mondo. I militari finanziano anche costoro più o meno direttamente, anche quando sono apparentemente ‘liberal’. È quanto mai opportuno riprendere a ragionare sul ruolo delle Forze Armate nello Stato. Stabilirne con maggiore chiarezza i principi, le incompatibilità, le regole, e soprattutto, paventare i pericoli a cui stiamo andando incontro adeguandoci passivamente alle richieste degli USA per mezzo della NATO.

Corrado Poli

Corrado Poli, docente di geografia politica e urbana, editorialista e saggista

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