Si chiama Una Donna, senza un nome e cognome propri, quella  che l’ex premier Giuseppe Conte evoca – in perfetto pinkwashing– come Presidente della Repubblica, esortando la sinistra a votarla  ad oltranza fin dalla prima chiama.

La sinistra risponde all’esortazione senza (aperti)  pregiudizi ma facendo  presente “il rischio che passino Moratti o Casellati” (sebbene votando  un uomo ci sia allora il rischio che passi Berlusconi) o che “non si può votare Una Donna a priori, occorre competenza” la stessa, si presume,  necessaria per uomo che invece sembra che la competenza a priori ce l’abbia.   

Una resistenza, nel migliore dei casi, passiva e certamente trasversale in tutte le forze politiche,  perfettamente coerente con la storia del nostro paese che non ha mai avuto neanche una Presidente del Consiglio, che vede solo sei donne come Sindache di capoluogo e una sola Presidente di Regione, Donatella Tesei , peraltro della della Lega (sic!).

E mentre si discetta , con autorevoli commentatori, dei pro e contro dell’uso del femminile per le professioni ( dimenticando la semplice regola grammaticale per cui i soli sostantivi che non si declinano nel genere sono quelli derivanti dal participio presente identificati al maschile e femminile dal rispettivo articolo, proprio come Presidente) l’ultimo rapporto del CENSIS, conferma che Una Donna dovrà faticare ancora molto prima di raggiungere non solo la più alta carica dello stato ma addirittura una adeguata rappresentanza di genere.

Le  donne, che  sono più degli uomini, studiano di più e spesso  hanno risultati scolastici migliori dei loro coetanei, tanto da costituire oggi una fetta preponderante del capitale intellettuale del paese , sono però  meno valorizzate e pagate, soffrono tassi di disoccupazione più alti e se per  gli uomini il tasso di occupazione è man mano più elevato con la crescita del numero dei figli (a sottintendere che la crescita dell’età e delle necessità economiche sono accompagnate dal raggiungimento progressivo di una stabilità familiare e lavorativa), per le donne si verifica il fenomeno opposto, per cui con l’aumento dei figli diminuiscono quelle che lavorano. Inoltre, quasi una donna occupata su tre (il 32,4%), svolge un lavoro part time, quota che per gli uomini è solo dell’8,5% . “Il  lavoro a tempo parziale– riporta il Censis – che implica un trattamento retributivo ridotto, minori possibilità di carriera ed è destinato a tradursi nel tempo in una pensione più bassa, lungi dal rappresentare una forma di emancipazione e una libera scelta, per circa due milioni di lavoratrici è subìto per mancanza di alternative o per la necessità di prendersi cura dei figli o di persone anziane, spesso di entrambi, mentre solo il 24,4% delle donne adduce come motivazione la libera scelta di avere più tempo libero a disposizione; motivazione che, invece, è la principale quando a scegliere volontariamente il part time sono gli uomini”  Inoltre in Italia solo un imprenditore/libero professionista su quattro è una donna e le donne manager sono appena il 27% del totale dei dirigenti, un valore che ci colloca nella parte bassa della classifica dell’Unione Europea e ampiamente al di sotto del valore medio, che è pari al 33,9% .

Le donne sono infine  ancora prigioniere di vecchi stereotipi , uno su tutti quello confermato dal 63,5% degli italiani che riconosce che a volte può essere necessario o opportuno (molto d’accordo il 28,6%; abbastanza d’accordo il 35,0%) che una donna sacrifichi un po’ del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi di più alla famiglia. Opinione che, addirittura, è fatta propria dalle donne, che per prime tendono a perpetuare e a non mettere in discussione comportamenti e modi di pensare che hanno appreso nella famiglia di origine.

Il World Economic Forum nel Gender Gap Report 2021 (che fissa oggi il traguardo per la parità di genere in 135,6 anni, in peggioramento rispetto alla precedente edizione che lo vedeva varcato in 99,5 anni) .

conferma questo desolante quadro assegnando all’Italia un disonorevole 62esimo posto  che difficilmente il Recovery Fund potrà migliorare poiché (come si legge ne Il Sole 24 Ore) ,  “destina il 57% delle risorse all’innovazione tecnologica e alla transizione digitale nonché alla transizione ecologica, ambiti in cui l’occupazione femminile presenta tassi bassissimi. Le donne, quindi, rischiano di essere tagliate fuori dai maggiori investimenti che arriveranno in Italia. Diventa allora fondamentale lavorare su una formazione adeguata che vada incontro alle richieste del mercato del lavoro. In Europa restiamo l’ultimo Paese per tasso di occupazione nella fascia di età 25-34, anche dopo la Grecia, e il fatto che siamo sotto la media europea di 10 punti in quanto a laureate non aiuta. Inoltre solo il 18% delle laureate italiane ha scelto materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), che danno maggiori chance di entrare nel mondo del lavoro e di avanzare nella carriera. ….il rischio è che le donne vengano occupate in impieghi a basso livello di qualifica e quindi a bassa retribuzione”.

Ma l’elezione di Una Donna a Capo dello Stato  è presente anche  nell’agenda dell’AIDDA ( Associazione Italiana Donne Dirigenti d’Azienda) che ha lanciato addirittura una petizione on line su change.org ritenendo che “una donna in quanto tale”, riuscirebbe ad incarnare le sette virtù che deve avere il/la  Presidente tra le quali si annoverano , oltre alla capacità di unire il paese con ruolo super partes, alla conoscenza del quadro giuridico, costituzionale e della lingua inglese e allo sguardo glocal, anche l’ascolto, la naturale empatia, nonché  l’attenzione ai concetti di cura e all’equilibrio fisico e psicologico che sarebbero , dice la Presidente di Aidda- Antonella Giachetti, “caratteristiche intrinseche dell’essere donna”.

Un’ulteriore sfida per Una Donna che deve , come sempre, essere perfetta per ambire a ruoli prestigiosi mentre abbiamo convissuto serenamente con la mancanza di empatia del Presidente Cossiga che nel suo memorabile discorso alla nazione del 1991 ha comunicato in tre minuti e mezzo che non aveva nulla da dire o con l’ignoranza dell’ex-premier Di Maio, oggi Ministro degli Esteri, che, non solo non sa l’inglese  ma neanche storia e geografia avendo definito l’Italia “interlocutore dell’Occidente con tanti paesi del Mediterraneo, come la Russia” o avendo piazzato il dittatore Pinochet in Venezuela.

Quindi a parole tutti vogliono Una Donna Presidente ma tra la sinistra tremebonda, Silvio Berlusconi che apre alla possibilità solo teorica (“ Servirebbe una donna, ma non c’è” ) , Giorgia Meloni che vuole solo un patriota e Matteo Salvini che chiosa “noi la scegliamo se è brava, non perché è di moda” , sarà ancora un uomo il prossimo Presidente della Repubblica. Speriamo che sia all’altezza.

Cinzia Gaeta

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