Qual è il filo rosso che lega Vanessa Incontrada, una ragazza di un liceo di Cosenza e le giornaliste RAI?

Vanessa attrice impegnata da anni contro il body shaming

Il body shaming per effetto del quale il loro aspetto e abbigliamento sono oggetto di attenzione e reprimenda non solo da parte dei leoni da tastiera ma anche di presidi e professori. E addirittura di un grande giornalista come Francesco Merlo. L’attrice è una delle tante donne vittima di insulti da parte di vili codardi e codarde che nascondendosi dietro un indirizzo IP ritengono di dovere spendere il loro inutile tempo a commentare i suoi kili di troppo che la renderebbero indegna non solo di recitare ma addirittura di vivere.

Una ragazza del liceo “Lucrezia della Valle” di Cosenza, che si è presentata a scuola con i jeans strappati, (così come moda vuole tra gli adolescenti e non solo), è stata oggetto di un indignato intervento della vicepreside che ha coperto il look della vergogna con lo scotch da pacchi. Francesco Merlo, rispondendo, nella sua rubrica su La Repubblica, ad una lettrice che si lamentava per il brutto taglio di capelli di alcune giornaliste RAI che le costringe, durante il TG, a spostare il ciuffo che hanno davanti agli occhi (cosa evidentemente intollerabile per la signora in questione) chiosa dicendo “quelle brave il ciuffo non ce l’hanno”. Questo non è un filo rosso, questa è una corda che stringe le donne nella morsa dell’oggettificazione!

Una piaga trasversale

Viene da chiedersi chi ha stabilito il rapporto peso/altezza ideale di una donna. Quando ci siamo fatte stritolare dalla legge della magrezza a tutti i costi? Quanto tempo dovrà passare per eliminare i danni provocati da immagini di donne “virtuali” il cui corpo perfetto non esiste perché ritoccato con photoshop che ha eliminato anche quel filo di cellulite che il fotografo di grido riesce invece ad individuare con lo scatto rubato al mare? Bisogna arrivare all’anoressia delle adolescenti per comprendere il male che viene da un modello finto e quindi irraggiungibile?

E rimaniamo davvero sorprese leggendo che le giornaliste possono essere valutate in base al taglio di capelli. Può anche essere che una di quelle che tanto fastidio hanno creato nella lettrice de La Repubblica sia davvero una modesta conduttrice o una pessima scribacchina ma da quando avere lo chignon (sempre che Merlo e la sua lettrice non preferiscano il caschetto) è sinonimo di professionalità? L’unica cosa che ci consola è immaginare che, se si è dato spazio a questa lettera, non c’erano nella posta problemi più grandi da segnalare.

Educazione di genere nell’offerta formativa per i giovani

Probabilmente quindi anche quella vicepreside che ha deciso di dedicare il suo tempo a mettere “le pezze” sui jeans di una ragazza avrà una scuola perfetta. Dove le aule non sono fatiscenti, gli studenti e le studentesse non hanno nessuna fragilità e dispongono dei più avanzati sistemi digitali di apprendimento. Certamente il Piano di Offerta Formativa avrà compreso l’educazione di genere e progetti per aiutare le ragazze e i ragazzi ad essere consapevoli di sè. E a liberarsi dagli stereotipi creati dal bombardamento mediatico cui sono sottoposti. Non dubito che anche la Preside del liceo Fogazzaro di Verona abbia risolto il problema del bullismo e solo dopo, sconcertata dalla magnitudo del problema delle minigonne in aula, abbia deciso di andare in pensione.

Nessuno dubita che la scuola debba anche insegnare che l’abbigliamento deve variare in funzione del luogo. Ma da nord a sud, sembra che il disastro della scuola italiana derivi dall’abbigliamento delle ragazze mentre ne è, forse, la conseguenza. Fa venire in mente il film capolavoro di Benigni, Johnny Stecchino, in cui il pover’uomo, vittima di uno scambio di persona, è oggetto di un attentato mentre cerca di prendere una banana. Ignaro del problema mafia in Sicilia recita “Se vai a Palermo non toccare le banane, sono permalosi, si offendono. Proprio ti sparano per una banana”.

Un passo avanti e due indietro…

Faccio parte della generazione che a scuola andava con le minigonne tagliate dai jeans o con le lunghe gonne a fiori e il maglione che oggi si chiama oversize ma per noi era solo quello del papà o meglio del fidanzato. Le nostre professoresse forse non gradivano (non glielo abbiamo mai chiesto) perché, come le nostre mamme, avevano indossato il grembiule nero al liceo. Noi ce lo siamo levato per diventare libere di vestire come ci piaceva. Per questo mia figlia al liceo aveva i capelli viola ed io ho il ciuffo sugli occhi ma siamo capaci di pensare.

Cinzia Gaeta

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