Nella primavera del 1919 l’architetto Walter Gropius fondava a Weimar il Bauhaus, un progetto visionario in cui il rinnovamento delle arti era indissolubilmente connesso a un programma educativo centrato sulla sperimentazione e sullo sviluppo dei talenti individuali.

Architetti e artisti lavoravano insieme per rifondare in chiave democratica e partecipativa il valore sociale dell’arte dopo i traumi della guerra mondiale, mentre nei laboratori gli studenti, senza barriere legate al genere né alla nazionalità, davano corpo alle loro idee nel confronto diretto con maestri quali Johannes Itten, Paul Klee, Wassily Kandinsky, Oskar Schlemmer.

La storia del Bauhaus è strettamente legata a quella della Repubblica di Weimar. Nel 1924 la municipalità sospese per motivi politici il finanziamento della scuola, che l’anno successivo si trasferì a Dessau, a quella data ancora governata da una maggioranza socialdemocratica. Qui divenne centrale il rapporto tra arte e tecnologia e tra architettura e industrial design, esemplificato dall’impianto razionalista della nuova sede progettata da Gropius. Per allontanare le accuse di eccessiva vicinanza agli ideali socialisti, nel 1930 la direzione fu affidata all’architetto Ludwig Mies van der Rohe, che accentuò il carattere tecnico della scuola. Ma dal 1932 le misure repressive messe in atto dal governo nazionalsocialista resero via via più difficile la sopravvivenza del Bauhaus, che, prima a Dessau e poi ancora per qualche mese a Berlino, fu oggetto di perquisizioni e minacce, fino alla definitiva chiusura nell’estate del 1933. Molti tra i docenti e gli studenti emigrarono, in primo luogo negli Stati Uniti, contribuendo alla diffusione internazionale dei principi del Bauhaus.

Le celebrazioni del centenario ne ripropongono le parole d’ordine – sperimentazione, modernità, internazionalità –, in un programma di mostre, incontri e itinerari che attraversano fino all’autunno l’intera Germania.

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