Il grande vecchio della letteratura slovena Boris Pahor se n’è andato a 108 anni. Oltre un secolo di vita che lo scrittore, nato a Trieste nel 1913, ha attraversato da protagonista, per diventare con i suoi libri un testimone ineguagliabile.

In Italia, nonostante fosse cittadino italiano, seppur appartenente alla minoranza slovena, è salito tardi alla notorietà. Solo nel 2008, grazie all’editore Fazi, con la pubblicazione del libro più importante dell’autore: “Necropoli”. Dobbiamo, però, pensare che l’edizione originale, in sloveno, uscì nel 1967 mentre sarebbe stato tradotto per la prima volta in italiano solo nel 1997. Fu stampato dal “Consorzio Culturale del Monfalconese”, a cura di Valerio Aiolli.

Il suo capolavoro Necropoli

“Necropoli” è il romanzo autobiografico per eccellenza dello scrittore in cui racconta la tragica esperienza vissuta con l’internamento nel lager di Natzweiler-Struthof sui Vosgi, in Francia. Lì arrivò come prigioniero italiano, identità quest’ultima che Pahor, al pari di altri suoi corregionali sloveni, rinnegava. Questo perchè vedeva nell’Italia il Paese che, con l’avvento del fascismo, aveva operato nei confronti delle minoranze slovene e croate della Venezia Giulia, una politica di repressione. Politica che, con la chiusura delle scuole, la proibizione di parlare la loro lingua nei luoghi pubblici e ai loro preti di pronunciare le omelie in chiesa, puntava all’annientamento della loro etnia, lingua e cultura radicata sul territorio.

Arrestato dai Domobranci sloveni

La cosa singolare è che Pahor fu arrestato nel 1944 dai Domobranci sloveni, cioè i fascisti sloveni, non dagli italiani, e poi consegnato ai tedeschi.  Claudio Magris, nella prefazione all’edizione italiana annovera questo libro fra i capolavori della letteratura dello sterminio. “Un libro eccezionale che riesce a fondere l’assoluto dell’orrore (…) con la complessità della storia, la relatività delle situazioni e i limiti dell’intelligenza e della comprensione umana”.

Le colpe dei sopravvisuti, di chi è tornato…

Con questo grande libro Pahor affronta il tortuoso incubo della colpa (quantomeno sentita come tale) del sopravvissuto, di chi è tornato. Incubo che tanto sembra aver pesato sul grandissimo Primo Levi, quando diceva che chi è tornato non ha visto veramente a fondo la Gorgone e chi l’ha vista non è tornato”. Se Boris Pahor, così come fu per Primo Levi, non fosse tornato, l’umanità intera si sarebbe privata di opere che, per il loro valore letterario, vanno oltre la pura testimonianza.

Nei suoi libri temi politici, storici ma anche d’amore

All’editore Fazi dobbiamo anche il merito di aver proseguito la pubblicazione di altri libri dell’autore. “Qui è proibito parlare” in cui Pahor racconta di quando il fascismo chiuse le scuole slave e interdì la loro lingua nei luoghi pubblici e in chiesa. Con lo stesso stile lento e accurato di “Necropoli”, l’autore racconta una storia d’amore e di formazione politica. Una storia che nel suo svolgersi, attraversa in filigrana tanti temi politici e storici, col ricordo delle repressioni e le condanne a morte, da parte del Tribunale fascista, degli oppositori sloveni.

Per continuare a seguire la vita di Pahor attraverso i suoi libri, un altro grande capitolo è costituito dal romanzo “Dentro il labirinto”, Fazi editore. L’autore nei panni del suo alter ego Ratko Suban, tornato dal campo di concentramento e ricoverato per tubercolosi in sanatorio, intreccerà la sua vita con l’infermiera francese Arlette. Romanzo importante che sottolinea con forza la grande delusione per la nascita della nuova Jugoslavia. Uno stato che sembrava incarnare l’anima della resistenza a tutti i fascismi. Ma che si rivela nella sua peggiore caricatura totalitaria con arresti immotivati di persone che, se pure avevano combattuto nella Resistenza, erano condannati perché non comunisti. “Esempi simili” dichiara Ratko-Boris “mi danno il diritto di dubitare dell’autenticità dei processi inscenati dal governo popolare”.

In arrivo la nuova versione di Figlio di Nessuno

Questi primi romanzi, pubblicati da Fazi, più quelli pubblicati prima dal piccolo editore Zandonai di Rovereto, hanno lanciato il nome di Pahor verso i grandi editori. Dopo una tappa da Bompiani (con il libro scritto in compagnia di Tatjana RojcCosì ho vissuto, biografia di un secolo”) si è visto blandito da La Nave di Teseo. L’editore ripubblica i libri edito da Zandonai “Una primavera difficile” e “Il rogo nel porto”. E quindi proprio in questo primo semestre del 2022, pubblica l’inedito “Oscuramento”. Il protagonista è sempre Ratko Suban-Boris Pahor. Proprio in questi giorni la casa editrice di Elisabetta Sgarbi ha annunciato l’uscita della sua autobiografia “Figlio di nessuno”, con Cristina Battocletti. Già uscita nel 2012 per i tipi di Rizzoli, oggi ampliata con un capitolo inedito “Il mondo a colori”.

Va dato merito anche alla longevità di Boris Pahor, di aver goduto della sua fortuna letteraria ancora da vivo. Considerando il silenzio nel quale è vissuto per 95 anni. Fino al 2008, anno di uscita di “Necropoli”, vincendo in questo modo, con la forza delle sue opere, la sfida contro la disattenzione della grande editoria italiana che per tanto tempo lo ha snobbato.

Diego Zandel

 

 

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