Gli articoli apparsi su L’Incontro, a partire dagli editoriali del direttore Milo Goj sino a quello di Riccardo Rossotto, non possono portare alla chiusura del dibattito sulla censura. Anzi.

Sono da stimolo per ampliare il discorso non sulla guerra. Ma sulla Russia e sul suo popolo. Dal tempo degli zar, nell’Urss ed oggi è stata vittima di un sistema di potere che, seppur sotto diverse forme e in diverse epoche, si è sempre basato sulla sistematica repressione del dissenso. Tanto è vero che, a partire dal 1500 in poi, la storia russa è segnata da ribellioni, rivolte o semplici aneliti ad una maggior libertà che sono stati sistematicamente repressi nel sangue.

L’urlo di Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, Puskin, Gorki….

C’è però un settore, quello della cultura, che è stato vittima di vere e proprie persecuzioni e repressioni. Non già per aver tramato contro il potere o per aver partecipato ad attività sovversive, ma semplicemente per il fatto stesso di essere intellettuali ed in particolare scrittori. Una delle più importanti letterature mondiali, come ha ben evidenziato Fausto Malcovati nel Corriere della Sera del 13 marzo scorso, nell’inserito La Lettura, è sempre stata oggetto di censure. E dove ciò non bastasse oltre alle censure anche il carcere, omicidi, suicidi o, semplicemente, sparizione degli scrittori nel nulla della Siberia.

Tra i primi a subire questo sistema agli inizi dell’800 fu Puskin. Considerato il fondatore della lingua letteraria russa moderna ed autore de capolavori “Boris Godunov” ed “Eugenij Onegin”, venne esiliato per il contenuto antizarista di alcune poesie.

Censura, esilio, plotoni di esecuzioni, suicidi…

A seguire Gogol, scrittore e drammaturgo, autore di “Anime morte”, e Dostoevskij, che evitò il patibolo, ma venne incarcerato e poi inviato ai lavori forzati. In base a quell’esperienza, nel suo capolavoro “Delitto e castigo”, scrisse, avendole sperimentate, che “il grado di civilizzazione di un popolo si misura dalle sue prigioni”.

Neppure con il nuovo zar Alessandro II la repressione nei confronti degli scrittori viene meno. Essa colpisce Turgenev, l’autore di “Padri e figli”. Colpisce Tolstoj perché descrive la guerra russo – turca in Crimea ed il cruento assedio di Sebastopoli, nel 1854 (eventi ai quali partecipò di persona). Colpito perché utilizzo uno spietato realismo, senza alcuna forma di romanticismo e/o patriottismo.
Le grandi attese che la Rivoluzione di Ottobre 1917 dovesse segnare la fine di questo sistema di potere medioevale, svanirono ben presto. E il nuovo regime bolscevico continuò, come avveniva in precedenza, a reprimere gli intellettuali ed in particolare gli scrittori.

La cultura russa non ha mai smesso di dire no al potere

Il poeta Gumilev, accusato di attività antirivoluzionaria, viene giustiziato nel 1921. Mentre alla moglie, la poetessa Achmatova, fu impedito di pubblicare anche un solo verso sino al 1960. Majakovskij, uno degli intellettuali schieratisi più apertamente con la rivoluzione, si suicida. Bulgakov è costretto al silenzio e il suo capolavoro “Il maestro e Margherita” verrà pubblicato solo ad anni di distanza dalla sua morte.

La strage continua, ed anzi, con Stalin la repressione si acuisce. Babel’e e Mejerchol’d, vittime delle epurazioni staliniane, sono fucilati nel 1940. Mandl’stam finisce in un lager in Siberia ove muore; la Cvetaeva nel 1941 si uccide disperata a causa della sua situazione di povertà. Pilmiak, l’autore di “Il Volga sfocia nel Caspio”, sparisce in Siberia nel 1938 dove è deportato.

Una censura incontenibile

Al silenzio vengono ridotti Vasilij Grossman e Boris Pasternak, autore del famoso “Il dottor Zivago”.
Muore Stalin ma il sistema non cambia. Solzenicyn viene arrestato ed inviato ad un campo di lavoro e le sue opere verranno pubblicate solo all’estero. Mentre il poeta Brodskij è arrestato e cacciato dal suo Paese perch* la poesia in Urss non ha diritto di cittadinanza.

E la repressione continua ancor oggi, sotto il regno di Putin, che tutti dobbiamo esecrare. Ma non confondiamo però i palazzi del potere con il popolo russo, che è la prima vittima della censura di ieri e di oggi.

Alessandro Re

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