Ci stiamo chiedendo in molti se l’approvazione della direttiva sul diritto d’autore nel mercato digitale sia una buona o una cattiva notizia. Cerco la risposta attraverso la lettura del testo di legge, dimenticando quanto noto e le notizie, anche allarmate, già lette sul tema.

La relazione che accompagna la direttiva è chiara e individua almeno due filoni di intervento. Con la finalità di meglio contemperare gli interessi degli autori e dei produttori di contenuti rispetto a quelli degli utenti, la direttiva si propone, innanzitutto, di ampliare le libertà di utilizzo dei contenuti protetti nel settore dell’istruzione, di favorire l’estrazione di informazioni per finalità scientifiche e di incrementare le possibilità di conservazione del patrimonio culturale anche attraverso la divulgazione digitale di opere fuori commercio. Condivido.

In ragione della crescente difficoltà dei titolari dei diritti (autori e produttori di contenuti) di essere retribuiti per la loro distribuzione digitale, il legislatore europeo si propone, come secondo obiettivo, di riconoscere una particolare protezione alle pubblicazioni di carattere giornalistico, imponendo la concessione di licenze online nel settore dell’editoria, e al tempo stesso di supportare autori ed interpreti perché ottengano una corretta retribuzione per la concessione delle loro opere e prestazioni. Impresa ardua, ma finalità indiscutibile.

Al di là del gusto personale, mi pare difficile che le finalità dichiarate dalla direttiva possano suscitare tanto clamore e preoccupazione. E dunque?

Il problema non sta infatti nelle finalità, ma negli strumenti attuativi che, inevitabilmente, sono  di natura tecnologica e, per quanto dichiaratamente “adeguati” e “proporzionati”, andranno ad impattare sulla libertà d’azione delle piattaforme on line, degli aggregatori di notizie, nonché dei siti web che ospitano contenuti pubblicati dagli utenti, poiché, essendo in grado di identificare i contenuti veicolati, potranno impedire la diffusione non autorizzata di quelli protetti e/o tracciarla in modo da rendere possibile perseguire i responsabili.

Comprendo meglio. Dunque il conflitto è tra produttori e distributori di contenuti protetti. E da questo conflitto nasce il filone di critiche alla direttiva che, facendo leva sul rischio che le misure tecnologiche di inibizione/tracciamento, perdendo ogni carattere di adeguatezza e proporzione, possano divenire uno strumento di controllo se non di inibizione della libera circolazione delle informazioni on line, paventano rischi per la libertà di pensiero.

È proprio così? Non è che così facendo si traduce il rischio di una deriva applicativa, ovviamente da prevenire e contrastare, con un rischio alla democrazia che non trova effettivo riscontro quanto meno nel testo normativo?

Il dubbio resta, tanto più se la crociata è alimentata, come credo, da quegli stessi distributori di contenuti che, in questi ormai decenni di sviluppo digitale, hanno ricavato profitti niente affatto modesti attraverso la circolazione, in regime di gratuità o quasi, di contenuti protetti.

Posso sbagliare, ma un riequilibrio retributivo in favore dei produttori di contenuti creativi mi sembra la strada più breve per rafforzare la libertà di pensiero e la circolazione delle idee, oltre a supportare settori, quali quello editoriale e autoriale, quanto mai bisognosi di ricostituenti. Per quanto eccessive e non sempre genuine tengo, tuttavia, anche le critiche. Restano il miglior viatico per prevenire il rischio che in fase attuativa a qualcuno scappi la mano, imponendo filtri alla circolazione delle informazioni a maglie troppo strette.

Gianluca Morretta

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