Il n. 2 del 1996 de L’Incontro ricordava in un articolo che erano stati riconosciuti dallo Stato, a distanza di molti anni dai fatti, i delitti del nostro colonialismo, con il titolo: “Gli italiani usarono i gas in Abissinia”. Che cosa era avvenuto?

In effetti in quei giorni il generale Corcione, Ministro della Difesa, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, ha ammesso che “durante la guerra d’Etiopia vennero impiegati dalle truppe italiane bombe d’aereo e proiettili d’artiglieria caricati ad iprite e arsine” . E che “l’impiego di tali gas era noto al maresciallo Badoglio, che firmò di proprio pugno alcune relazioni e comunicazioni in merito”.
Una conferma di ciò che si sapeva già, perché la “sporca guerra” contro le truppe del Negus, vittime dei gas, era nota da tempo e soltanto pochi ostinati, quasi certamente in malafede, negavano la circostanza.

Una polemica infinita

Il giornale poteva quindi fare alcuni affermazioni in merito alle polemiche. “La polemica fra gli storici, come Angelo Del Boca, che riferivano l’impiego dei gas da parte degli italiani nella guerra in Etiopia, e i giornalisti, come Indro Montanelli, che, pur partecipando al conflitto, negavano tale impiego, è finita“.

Se si considera che i fatti documentati risalivano al 1935, epoca dell’aggressione italiana all’Abissinia, e che l’uso dei gas era già stato vietato dalle Convenzioni internazionali, è evidente che “la negazione della verità storica dimostra il rifiuto di ammettere i delitti del colonialismo italiano. La controprova è data dal divieto di proiettare in Italia il film “Il leone del deserto” girato in Libia. Interpretato da Anthony Quinn per volontà di Gheddafi, rievoca le infamie commesse dagli italiani nell’occupazione militare del territorio libico”. La Resistenza di altri Paesi, se è contro gli italiani occupanti, non è neppure degna di essere vista dal pubblico!
Chi volesse approfondire l’argomento la rivista “MicroMega”, e precisamente il n. 7/2020, ha pubblicato due interessanti articoli sui “crimini coloniali dell’Italia in Africa” . E inoltre su come affrontano tale argomento i manuali scolastici italiani.

Procsso all’SS Erich Priebke

Rimaniamo ancora su un argomento che, negli anni, è stato fonte di grandi controversie nel nostro Paese. Mi riferisco alle condanne ai nazisti responsabili di feroci crimini, durante la seconda guerra mondiale. La maggior parte di essi sfuggì a qualsiasi accertamento di responsabilità e addirittura alle rare condanne grazie alla loro fuga all’estero. Soprattutto verso il Sud America. Ciò grazie ad una fitta rete di rapporti e di protezioni concesse loro addirittura, tra gli altri, dal Vaticano.

Nel 1996, il Tribunale Militare di Roma, a seguito di un processo celebratosi a distanza di molti anni dai fatti, contro l’ex capitano delle SS Erich Priebke, pur affermando la responsabilità penale dell’imputato per la strage delle Fosse Ardeatine, aveva dichiarato estinto il reato per la intervenuta prescrizione! Lo sdegno di tutto il Paese, venne raccolto anche da L’Incontro. Il titolo del n. 7 del 1996 fu “la sentenza Priebke una sfida alla coscienza civile del paese”. Che cosa ci può dire in merito?

I colpevoli di Marzabotto, Stazzema, Fosse Ardeatine

Il vero scandalo non è stata solo questa sentenza, pur censurabile, come si vedrà, ma il fatto che per oltre 50 anni sia calato un silenzio di piombo sui reati delle SS. E dei militari tedeschi, colpevoli di vere e proprie stragi di cittadini indifesi. Basti pensare a Marzabotto, a Stazzema ed a molte altre, oltre a quella delle Fosse Ardeatine.
Incredibilmente, pur essendo stati denunciati a suo tempi i fatti di reato, per 50 anni non si attivarono indagini di sorta. Tanto è vero che né Priebke né molti altri assassini vennero neppure ricercati o interrogati.

L’Incontro dell’epoca così riferiva. “Tecnicamente la sentenza non è di assoluzione. Essa ha considerato la rappresaglia delle Fosse Ardeatine illegittima perché non proporzionata alla prassi di 10 italiani uccisi per ogni tedesco (335 furono gli uccisi anziché 330). E non preceduta dalla ricerca di eventuali colpevoli dell’attentato di via Rasella, e perché l’ordine ricevuto era manifestamente criminoso e quindi non da eseguirsi respingendo così la tesi della difesa secondo cui Priebke aveva agito nell’adempimento di un dovere. Coerentemente la sentenza, stante le circostanze aggravanti contestate, doveva irrogare la pena dell’ergastolo che, per l’età avanzata del detenuto, sarebbe stata espiata con gli arresti domiciliari (invece in Francia colpevoli anziani, da Petain a Touvier, morirono in carcere).

Il Tribunale ha voluto concedere le circostanze attenuanti generiche (forse per l’età o per il decorso del tempo), considerandole equivalenti alle aggravanti. Per effetto di tale giudizio di comparazione l’ergastolo è stato sostituito dalla pena di 30 anni di reclusione. Operando su questa la prescrizione estintiva del reato ne è derivato il proscioglimento dell’imputato non più punibile”. Ed ancora: “Una così atroce vicenda non doveva concludersi, sia pur dopo mezzo secolo, con un verdetto sbagliato da parte di un tribunale sbagliato”.

La vicenda di Priebke come si è poi conclusa?

Nel peggiore dei modi perché, anche a fronte delle manifestazioni di piazza dei parenti delle vittime, la Corte di Cassazione, con notevole sollecitudine, dichiarò nulla la sentenza del Tribunale Militare poiché il suo Presidente si era pronunciato sull’oggetto del procedimento prima dell’inizio dello stesso. Ci fu un nuovo processo e con sentenza del 22 luglio 1997 Priebke venne ritenuto responsabile. Ma condannato a soli 15 anni di carcere, in parte condonati o già scontati. A seguito di ricorso in appello proposto dalla Procura la Corte d’Appello Militare, riformando la sentenza di 1° grado, pronunciò la condanna di Priebke all’ergastolo.
Peraltro, a causa dell’età avanzata, a Priebke venne, poco tempo dopo, concesso di scontare la pena in regime di detenzione domiciliare. Priebke in effetti mori l’11 ottobre 2013 nella sua abitazione romana all’età di 100 anni.

Alessandro Re

Immagine tratta dal sito del Museo delle Storie di Bergamo. Museodellestorie.bergamo.it

 

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