Proviamo ad invertire gli addendi e vediamo se il risultato non cambia.
Invece di logorarci quotidianamente a discutere se sia meglio che Mario Draghi rimanga a Palazzo Chigi o salga al Quirinale, proviamo ad allargare gli orizzonti del nostro pensiero.
Immaginiamo, cioè, in questo caotico fine 2021, quale potrebbe essere lo scenario geopolitico migliore per una Italia che, valorizzando al meglio l’opportunità del PNRR, rilanci davvero e finalmente il suo ruolo e la sua posizione, anche economica, nel contesto europeo e mondiale.
Abbiamo perciò cercato di riordinare le idee e di mettere in fila alcuni dei temi e degli eventi accaduti negli ultimi giorni e diventati prioritari per il nostro Paese in una visione a breve e medio-lungo termine.
Abbiamo scelto degli eventi tutti mirati a cercare di invertire un trend che ci vedeva, negli ultimi vent’anni, destinati verso un declino non solo economico ma politico ed etico.
Siamo partiti dal cosiddetto “Trattato del Quirinale” per analizzare poi i risultati di due indagini (Istat e Aibe-Censis) che si sono occupate di sondare, da un lato, il grado attuale di “attrattività del Sistema Italia” e, dall’altro, i persistenti pregiudizi di una parte della politica nostrana verso gli investitori esteri in Italia; abbiamo concluso la nostra analisi con alcune considerazioni che emergono dalla lettura congiunta del libro appena uscito di Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone (Mondadori) dal titolo “Una profezia per l’Italia” e da un intervento del direttore della Fondazione Feltrinelli Massimiliano Tarantino sul Corriere della Sera, con riferimento al bisogno che la nostra classe politica scopra e inneschi al più presto i valori del “terzo tempo” del mondo del rugby.
Tutto ciò per capire dove, cinicamente nell’interesse esclusivo del nostro Paese, ci convenga che Mario Draghi vada a sedersi nei prossimi mesi, continuando a creare valore strategico reale e non solo mediatico, per l’Italia.

Il trattato del Quirinale (26 novembre 2021)

Un accordo storico. Il bilaterale più importante nella storia recente della Unione Europea dopo quello di Aquisgrana tra Francia e Germania. Gli echi nazionali e internazionali della firma del Trattato da parte di Draghi e Macron sono stati estremamente positivi, quasi tutti come vedremo tra poco.
Dopo parecchie e recenti dispute e controversie non solo nel mondo degli affari (non dimentichiamoci il nostro attuale Ministro degli Esteri, a Parigi in trasferta, per dare la propria solidarietà ai gilet gialli insieme a Di Battista!) Italia e Francia hanno suggellato un accordo strategico che guarda avanti e mette le fondamenta per una nuova Europa post Merkel, a guida franco-italiana.
Da oggi siamo più vicini” si è limitato a dire Draghi mentre Macron si è addirittura commosso durante la conferenza stampa guardando dritto negli occhi Draghi e stringendogli la mano per oltre un minuto per solennizzare “l’amicizia fraterna” fra i due stati.
Come ha evidenziato proprio in queste ore Romano Prodi, adesso bisogna che Francia e Italia coinvolgano anche il neo cancelliere tedesco e soprattutto il quarto grande paese di questa Europa: la Spagna. In caso contrario il progetto rischierebbe di diventare velleitario e impraticabile!
Secondo l’ex presidente della Commissione Europea, infatti, questo sarà il “quartetto” vincente per rilanciare il progetto europeo su basi nuove e più efficienti: senza l’unanimità, senza la rigidità di un patto di stabilità che ha evidenziato tutti i suoi limiti; magari senza alcuni dei 27 attuali membri, ormai troppo lontani dai principi e dai valori fondanti dell’Europa.
Per Mario Draghi oggi la sovranità del nostro Paese si declina soltanto nella “ricerca di una sovranità europea”.
Carlo Pelanda ha giustamente messo in evidenza che il Trattato del Quirinale è soltanto una lettera di intenti non vincolante, a cui bisogna dare contenuto, perché non si evapori nel giro di qualche giorno.
Ha voluto cioè prendere le distanze dall’euforia successiva alla firma del Trattato per stimolare la nostra classe dirigente politica nel dare contenuti e progettualità precise ai titoli del documento.
Bisogna evitare che questo accordo bilaterale rimanga soltanto un’operazione di marketing politico e diventi davvero una collaborazione stabile, prospettica ed equilibrata tra due Paesi che hanno tutte le caratteristiche per rilanciare il sogno di una Europa unita e federalista.
Certo questo progetto potrà riuscire se Macron vincerà le prossime elezioni presidenziali francesi e se Draghi conserverà un ruolo di leader non solo in Italia ma anche a livello europeo.

Le indagini Aibe-Censis (29 novembre) ed Istat (novembre 2021) sugli investimenti stranieri in Italia

I due autorevoli report ci permettono di confrontarci con una realtà nuova ed estremamente stimolante: gli investitori stranieri hanno ripreso a credere nel nostro Paese.
Puntano ad investire in Italia perché credono che il Paese sia alle soglie, finalmente, di un rilancio dopo vent’anni di stallo.
Come ha sottolineato proprio in questi giorni il Financial Time “Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi perché in caso contrario la stabilità politica del Paese andrebbe in crisi”.
Questo è il punto cruciale, quasi un presupposto, delle valutazioni rilasciate dagli imprenditori stranieri intervistati dai nostri due autorevoli centri di ricerca.
Il rapporto Aibe-Censis 20-21 aveva l’obiettivo di intercettare le percezioni e le opinioni degli investitori sull’attrattività e le prospettive di crescita dell’Italia.
Le aspettative più favorevoli per il prossimo triennio 22-24 riguardano gli investimenti finalizzati a fusioni e acquisizioni considerati da oltre il 70% degli intervistati ad alto potenziale di crescita.
Un altro capitolo dell’analisi ha riguardato l’ipotesi di nuovi investimenti produttivi diretti.
Quasi il 50% degli imprenditori stranieri intervistati crede in una crescita e quindi nell’aumento di insediamenti industriali anche nel Mezzogiorno.
Tra i settori di maggior appeal c’è la “moda” citata al primo posto dal 36% dei partecipanti.
Seguono la “meccanica”, la “filiera alimentare” e il settore “IT”.
L’indagine dell’Istat invece si è concentrata su un altro aspetto molto spinoso di questo tema e cioè il forte pregiudizio che esiste ancora nel nostro Paese nei confronti delle multinazionali straniere.
In sintesi, lo studio del nostro istituto di statistica evidenzia come (i) dal 2019 le multinazionali estere in Italia hanno consolidato il loro contributo positivo alla crescita del nostro sistema produttivo; (ii) anche le multinazionali italiane consolidano la prospettiva di apertura e integrazione internazionale; (iii) il 22% dei gruppi stranieri presenti in Italia ha in programma un incremento dei livelli di attività per il prossimo futuro, il 62% un mantenimento della dimensione attuale e soltanto il 5% un ridimensionamento.
A fronte di questi dati estremamente positivi, esistono ancora nel nostro Paese dei pregiudizi nei confronti degli investimenti esteri.
Due sono i principali filoni di questa tendenza: il primo è espressione tipica del sovranismo della destra nostrana mentre il secondo è di matrice sindacale capace però di influenzare ampi settori della nostra sinistra.
Nel pensiero della destra la preoccupazione verso l’operato dei gruppi stranieri è combinata con considerazioni che potrebbero essere definite di ordine geopolitico.
Si può riscontrare, ad esempio, un forte sentimento antifrancese che riprende un vecchio filone di contrapposizione a quel mondo liberal-massonico che nella storia recente della destra italiana ha avuto sempre origini francesi.
Nel settore dell’industria della difesa e degli armamenti quel sentimento si trasforma in una sorta di invidia per gli investimenti e le protezioni statali di cui godono i grandi gruppi francesi.
La Lega di Salvini, ma anche di Giorgetti, sta coltivando rapporti con i tedeschi e tiene, con fatica, aperto un dialogo con gli americani.
Questi ultimi hanno una serie di pregiudizi verso la Lega e verso certi orientamenti pro Cina che preoccupano parecchio Washington.
I 5 Stelle poi sono considerati non idonei a gestire il Paese e soprattutto troppo fragili per contrastare la strategia e l’influenza della Cina in Europa.
Il secondo filone, quello di matrice sindacale e che contamina anche una parte della nostra sinistra, sempre secondo l’indagine Istat, considera i gruppi stranieri e i fondi di investimento finanziari come “padroni senza patria e senza volto”, “capaci di licenziare gli operai via WhatsApp”.
Resiste, secondo l’Istat, un pregiudizio sulla finanza e sulla globalizzazione che vengono considerate espressioni di un “turbo capitalismo che ha mire predatorie
Ben diversa cultura ispira il segretario del PD Enrico Letta che ha invece  sempre cercato di tessere ottimi rapporti con spagnoli, tedeschi e francesi.
Le conclusioni del rapporto sollecitano la nostra classe politica ad uscire da posizioni antistoriche, difendendo l’italianità con progetti concreti e non con pregiudizi ideologici.

“Una profezia per l’Italia” (30 novembre 2021)

Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone, nella loro ultima fatica analizzano le criticità del nostro bizzarro Paese, per una volta, virando all’ottimismo… a certe condizioni, ovviamente!
Immaginano come ricetta per rilanciare l’Italia una combinazione di interventi che, in ogni caso, devono essere concentrati sul Meridione e sul Mediterraneo. Proprio i fondi europei del PNRR devono essere valorizzati nell’ottica di sviluppare il ruolo di driver dell’Italia nella geopolitica mediterranea, come ponte politico, economico e soprattutto culturale tra l’Europa e i paesi africani. Secondo i due autori, l’Italia deve puntare ad un futuro  di consolidamento dei vincoli europei ma con una visione e presidio dell’area del Mediterraneo. Solo così potrà riacquistare un ruolo centrale di guida dell’implementazione della strategia europea. “Per risorgere – scrivono Galli della Loggia e Aldo Schiavone – l’Italia non ha bisogno di mezze misure all’insegna dei soliti compromessi al ribasso. Ha bisogno di radicalità, di scelte coraggiose, di un nuovo spirito animatore e lungimirante. E soprattutto di donne e uomini nuovi, consapevoli del proprio compito”.
I due autori avvertono però i lettori che questo progetto potrà un giorno cominciare a diventare realtà soltanto se i meridionali se ne convinceranno. Soltanto se essi vorranno davvero cambiare le cose e il sistema di gestione del nostro Paese: “Solo se essi si convinceranno che cambiare le cose alla fine dipende da loro, non da altri”.
Anche in questa profezia, pur non citato esplicitamente, emerge la necessità di un leader autorevole e riconosciuto a livello internazionale o comunque di una leadership che si carichi sulle spalle lo zainetto con gli arnesi per realizzare questo ambizioso e stimolante programma di rilancio del nostro Paese nel mondo.

La necessità del “terzo tempo” nella politica italiana

Massimiliano Tarantino, direttore e instancabile e vulcanico motore del palinsesto degli eventi della Fondazione Feltrinelli, in un recentissimo intervento sulle colonne del Corriere della Sera, ha voluto enfatizzare la necessità che dopo la pandemia e l’impegno per la ripresa (i primi due tempi della partita) sia necessario oggi concentrarci sulla ricostruzione di un rapporto di fiducia tra la classe politica e gli elettori. Tarantino ha sviluppato il suo ragionamento ricorrendo ad una suggestiva metafora sportiva, propria della tradizione della disciplina del rugby: il “terzo tempo”.
Abbiamo davanti a noi – scrive Tarantino – lo scenario ideale per lavorare al “terzo tempo”, alle competenze e motivazioni della classe politica che erediterà i risultati originati dal PNRR. Dobbiamo farlo fin da subito studiando e preparandoci in anticipo”.
L’obiettivo deve essere quello di arrivare alle prossime elezioni del 2023 pronti e preparati per valorizzare un momento storico che richiederà stabilità e nervi saldi con numeri parlamentari trasversali: “approfittiamone, c’è un sacco di lavoro da fare!”. Ci striglia Tarantino.
Si tratta di ricostruire il rapporto di fiducia con gli elettori, che o non votano o votano  di pancia o hanno perso l’abitudine ad identificarsi nella politica e a credere possa riguardarli oltre il momento elettorale”.
Tre sono gli ulteriori temi da implementare nei prossimi mesi secondo il direttore della Feltrinelli:(1) “si tratta di dare una chances ad una generazione che non si riconosce nello scontro ideologico e frontale ma può mettere al servizio del paese la capacità di seminare entusiasmi sulla base delle proprie capacità ed esperienze”. (2) “Si tratta di accompagnare ai trend ecologisti e iperdigitali lo sguardo sensibile ai diritti degli ultimi, degli esclusi e degli emarginati”. (3) “Si tratta di dimostrare con le parole della passione e con il pragmatismo delle soluzioni che vivere in una comunità significa occuparsi di essa, dedicarci del tempo, impegnarsi in prima persona e crescere assieme agli altri, alla faccia di un’idea eremitica e polarizzata del nostro interesse individuale”.
Nel terzo tempo di questa partita speciale – conclude Tarantino – oltre alla nostra salute, e in gioco il nostro benessere, ed è un tempo non più rimandabile. Richiede l’energia e il rigore dimostrati nei primi due tempi del match, altrimenti si rischia che la vittoria sia solo illusoria invece di compattare a sé il destino di tutti”.
Una frustata intellettuale che deve farci riflettere!
Mario Draghi a questo proposito ha iniziato l’attuazione di questi punti evidenziati da Tarantino.

Mario Draghi Presidente della “nuova” Unione Europea nel 2024

E siamo arrivati al momento cruciale della nostra analisi da cui il titolo di questo articolo: quale potrebbe essere il ruolo migliore per Mario Draghi in questo scenario complesso ma stimolante?
Bisognerebbe che la gestione dell’emergenza pandemica (sarebbe utile e più educativo, a nostro avviso, iniziare a chiamarla con il suo vero nome, come ci ha suggerito diverse volte David Quammen, “Normalità pandemica”) e il presidio dell’utilizzo efficiente dei fondi europei, fossero garantiti dal nostro attuale Presidente del Consiglio. Tra l’altro, l’unico a poter garantire che il nostro Parlamento nei prossimi mesi ratifichi proprio quel Trattato del Quirinale di cui parlavamo all’inizio.
Poter schierare un governo guidato da un ex governatore della Banca europea sarà fondamentale altresì per giocare al meglio una partita che vedrà il nostro Paese nel mirino di tutti quei “frugali“ del Nord, nemici di qualsiasi politica economica di stampo espansionista.
Per poter pretendere, però, la riforma del patto di stabilità l’Italia dovrà offrire garanzia di maturità sul fronte economico interno, sulla capacità cioè di mettere a posto i conti pubblici, blindando in qualche modo un piano per la restituzione dell’immane debito che abbiamo accumulato.
A fare tutto ciò la presenza di Draghi a Palazzo Chigi ci sembra indispensabile. Un suo trasloco al Quirinale con una contestuale crisi di governo renderebbe tutto più difficile per la stabilità del Paese, come ha giustamente enfatizzato il Financial Time.
Ma vi è una seconda ragione che ci spinge a ritenere che la soluzione migliore per l’Italia e per tutti noi sia quella che Mario Draghi rimanga a Palazzo Chigi almeno fino alle prossime elezioni politiche del 2023: aldilà di garantire a tutto il mondo la continuità di un certo metodo di fare politica, infatti, il nostro Presidente del Consiglio potrebbe nel frattempo tessere la ragnatela di costruzione della nuova Carta Costituzionale dell’Europa federata, quella che tra le righe e già immaginata nel Trattato del Quirinale. Draghi si potrebbe allora presentare nel 2024 come il candidato più autorevole per sostituire alla guida della Presidenza della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Tutto ciò proprio nell’ottica di garantire, anche a Bruxelles, la “messa a terra“ del sogno, per ora immaginato soltanto con Macron, ma nei prossimi mesi auspicabilmente condiviso anche con i leader tedeschi e spagnoli.
Questo è il “Risiko” che abbiamo di fronte: una sfida che potrà avere risvolti fondamentali per il futuro del nostro Paese e dell’Europa.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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