Eugenio Cefis, presidente dell’Eni e della Montedison, dal 1962 al 1977, anno in cui, appena cinquantanovenne avrebbe dato improvvisamente e del tutto inaspettatamente le dimissioni per ritirarsi a vita privata in Svizzera. Fino a quel momento ritenuto il Belzebù della politica e dell’economia italiana, esponente di punta di quella “razza padrona” che avrebbe dato il titolo al libro di Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani, molto feroce verso Cefis e i boiardi di stato in genere, dei quali comunque Cefis era considerato il capofila. Tra le altre accuse, quella di essere il fondatore della Loggia Massonica P2, il mandante dell’attentato a Mattei, al quale sarebbe succeduto all’ENI, quindi del giornalista Mauro De Mauro che indagava sulla morte stessa di Mattei, e quindi ancora dell’omicidio di Pasolini che con il suo romanzo “Petrolio” penetrava negli affari del colosso petrolifero nazionale e che raffigurava nel personaggio di Troja la persona di Eugenio Cefis.   Per il resto, corruttore di politici (sua la frase “I politici o li uccidi o li compri”), di giornalisti, e, da ultimo, organizzatore di un colpo di stato in Italia, preparato in combutta con Fanfani del quale era sostenitore. 

Ce n’è abbastanza per farne un libro che indaghi la figura di quest’uomo, Eugenio Cefis, figlio di un generale dell’aeronautica, cadetto dell’Accademia di Modena, ufficiale dell’esercito, comandante partigiano in Val d’Ossola, agente del SIM, il servizio segreto militare, e poi uomo d’affari, a fianco di Enrico Mattei, anch’egli figura di primo piano della Resistenza, quindi presidente dell’Eni, acquisitore della Montedison, dalla cui unione sarebbe nato un colosso chimico-petrolifero di Stato che avrebbe fatto di Cefis il protagonista degli anni Sessanta e buona parte degli anni Settanta, figura imprescindibile della vita politica ed economica italiana.

Il libro, non certo il primo, ma forse il più attendibile a riguardo, ora c’è e s’intitola “Eugenio Cefis, una storia italiana di potere e misteri”, edito da Laterza. L’ha scritto il giornalista dell’Huffington Post Paolo Morando che, spinto anche dal suo amico, il filmaker trentino, Luca Del Bosco, ha letto e compulsato tutti i testi, libri e documenti, riguardanti questo personaggio della prima repubblica, del quale, paradossalmente, restano poche testimonianze personali, visto che in tutta la sua vita pubblica ha rilasciato soltanto tre interviste e del quale anche restano poche immagini, per altro di foto che lo ritraggono quasi sempre di profilo, come una sua attenzione a non favorire scatti di primo piano per una sorta di incomprensibile, o forse invece fin troppo comprensibile, ritrosia. Un vezzo, chiamiamolo così, che si è rivelato essere anche della figlia Cristina, quando nel 2001 espose nella sagrestia del Bramante al Convento di Santa Maria delle Grazie di Milano gli ex voto, del quale era collezionista il padre, un patrimonio di circa sette mila pezzi che Cefis donò in gran parte al Museo del Paesaggio di Pallanza, esclusi quelli  rimasti, appunto, di proprietà della figlia.  Intervistata dalla tv locale, il primo piano è interamente dedicato alla intervistatrice, mentre l’intervistata, Cristina Cefis, è colta nei minuti che dura il servizio sempre un po’ di sguincio, immagine dalla quale di lei emerge prevalentemente la pettinatura canuta della testa. Altro aspetto interessante, e in linea con la fama del personaggio di Eugenio Cefis, è il fatto che non pochi di questi ex voto risultavano frutto di furti, avvenuti negli anni Sessanta un po’ dovunque in Italia. Sottrazioni delle quali magari lo stesso interessato non era al corrente, tant’è che solo nel 2015 ci fu l’allerta dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico dopo che  “un carabiniere, passeggiando mentre non era in servizio, notò una locandina di una mostra d’arte religiosa allestita a casa Manzoni” che lo insospettì. “Quattro anni dopo “ scrive Morando “il 9 aprile 2019, si capì quanto l’inchiesta era andata avanti. In sostanza, tutti gli ex voto della collezione Cefis risultavano rubati o comunque di dubbia provenienza” (e sembra che pure tre ex voto donati a Cefis da papa Paolo VI facessero parte della collezione sequestrata). Questo per assolverle l’uomo da un’accusa che è minore rispetto a quelle che gli si imputa.

Ma il fatto è proprio questo: che verità e leggenda si rincorrono sulla vita di Eugenio Cefis. Ecco, perché il libro di Morando è importante, perché cerca di separare il grano dal lòglio, visto anche

i tanti nemici che negli anni della sua presenza pubblica s’era costruito, nemici importanti e non meno potenti come Agnelli e Pirelli, come Bruno Visentini e Cuccia. A proposito di quest’ultimo, e per dire della leggenda che circondava la sua fama di Belzebù, si racconta di un incontro tra Cefis e Cuccia, nel quale quest’ultimo sospettava il primo di aver dato le dimissioni dalla Montedison per preparare un golpe. Ma, a parte il fatto che l’incontro tra i due, se c’era stato, non aveva testimoni che poi potessero confermare l’affermazione, la voce qualcuno l’aveva sparsa.  Comunque, scrive Morando “di tutto questo (cioè del tentato golpe, n.d.r.) è stato sempre lo stesso Cefis a dare ‘l’interpretazione autentica’ (certo, a patto di credergli)” in una intervista con Dario Di Vico sul “Corriere della sera”, pubblicata, per esplicita richiesta dell’intervistato, due anni dopo la morte dello stesso. Alla specifica domanda dell’intervistatore (“Si racconta che Cuccia avesse detto ‘pensavo che Cefis facesse il golpe e invece se n’è andato”) Cefis rispose: “Venne a dirlo anche a me e io gli risposi ‘ma lei è matto. Quando e come le ho dato la sensazione che stessi preparando un colpo di Stato?’ A quanti andavano facendo in Italia, discorsi vagamente autoritari io replicavo di togliersi dalla testa che da noi ci potesse essere un golpe appoggiato dall’esercito”. Si tenga presente che queste illazioni erano il frutto di un’altra intervista, quella che tra il 1994 e il 1995 Fabio Tamburini, attuale direttore de Il Sole 24 ore fece ad Aldo Ravelli “Il ‘re Mida’ della Borsa italiana, mito e leggenda di Piazza Affari per generazioni di operatori”, il quale alla domanda del giornalista “Tra i tanti misteri dell’era Cefis, uno risulta particolarmente indecifrabile. Perché uscì di scena all’improvviso, lasciando l’Italia e quasi dissolvendosi? Ne sai qualcosa?”, rispose: “È una storia lunga, che potrebbe diventare la trama di un film, a metà tra il giallo e l’avventura. Te lo dirò, un giorno. Conosco con precisione quello che è avvenuto. Stavano per arrestarlo. E non per storie di tangenti ante litteram. I motivi erano più gravi, importanti. Deve ritenersi fortunato che non l’abbiano fatto”. Nella stessa intervista, a una domanda successiva Ravelli rispose che, insieme a Cefis stavano per arrestare anche Fanfani. Poi una serie interessante di botte e risposte.

“Coltivavano sogni autoritari?

Non ti rispondo.

Chi era al loro fianco?

Ufficiali e generali dell’esercito. E poi una parte dei carabinieri.

Come fai a saperlo?

Uno di loro era mio amico. E me ne parlò.

Perché il piano fallì?

Fu merito di una sola persona: Agnelli Gianni, nemico di Cefis. Di questo, all’Avvocato, bisognerà rendere merito.”

Ecco, chiacchiere. Anche perché, a parte la risposta di Cefis a Di Vico, Tamburini, sollecitato dall’autore del libro a rivelare qualcosa riguardo a quell’intervista, ha preferito il silenzio.

Quanto alla P2, passata poi nelle mani di Licio Gelli, così come delle morti violente di Mattei, De Mauro e Pasolini, le illazioni sono tante e non pienamente risolutive. Nè si può dare troppa retta a libri di un certo Giorgio Steimetz “Questo è Cefis – L’altra faccia dell’onorato presidente”, anche se le circostanze remano contro Cefis (ad esempio, l’organizzatore dell’ultimo fatale viaggio di Mattei in Sicilia fu proprio lui), visto che il nome dell’autore del libro risulta essere del tutto inventato, e certo non è l’omonimo fotografo americano, così come del tutto misteriosa è la casa editrice. 

Sta di fatto che, nonostante l’approfondita ricerca di Morando, i tanti misteri, che il tempo non ha aiutato a chiarire, restano. Il libro, però, ha il grandissimo merito di offrire uno sguardo d’insieme e più oggettivo di quanto fosse possibile all’epoca per i tanti interessi, anche di potere, in gioco.  E che lo stesso Cefis, anche nell’esilio svizzero, non ha mai interamente svelato in modo di far chiarezza, nonostante esistano testimonianze come quella dell’economista Giulio Sapelli, che incontrerà Cefis a Zurigo almeno 12 volte, in situazioni che ricordavano quelle tratte dalle spy-stories “tipo La spia che venne dal freddo, ha presente l’agente Smiley, no?” S’incontrano, infatti, in quello che era l’ufficio di Cefis a Zurigo “al piano terra c’era una vetrina, all’interno solo una signora che batteva a macchina. Suoniamo, ci apre ed entriamo.” Con il professor Sapelli , c’erano Francesco Forlenza, oggi direttore di Confindustria Energia, Claudio Corduas, veterano dell’Agip, scomparso nel 2006 e il “colonnello Fusco, come più volte Sapelli lo definirà, senza mai ricordarne il nome di battesimo…” La signora non parlava neppure bene l’italiano, per cui Sapelli in tedesco le propone di parlare in francese. Lo avverte che il dottore li aspetta, salgono delle scale e Cefis è lì. Dopo una presentazione di massima (“Professore, io la conosco, di lei mi ha parlato Leo Valiani” Cefis pone delle condizioni per gli incontri ”Stabiliremo degli appuntamenti, lei verrà qui e mi farà tutte le domande che desidera, però sarò io a definire di volta in volta le aree, diciamo così, in cui si svilupperanno le interviste”. Contatto tra loro, il colonnello Fusco… E’ una testimonianza che Sapelli fa a Morando e che rinviamo, pertanto alla lettura del libro, che da solo vale un romanzo di spionaggio, e del quale il professore non ha mai, prima, fatto trapelare notizie se non una volta sul “Corriere Economia” nel 2006, un articolo, peraltro, che Morando cita a Sapelli, e del quale quest’ultimo neppure si ricordava. Così vale la pena, eccome!, di leggere le altre testimonianze, una delle quali, relativa all’attentato all’aereo di Mattei è quella di Michel Thoulouze, figlio di Andrè, all’epoca attachè militaire presso l’ambasciata francese a Roma e agente segreto, che racconta del padre, come questi fosse convinto che la bomba piazzata sull’aereo di Mattei, dovesse in realtà essere messa sul proprio aereo di servizio, uguale a quello del presidente dell’ENI. Un errore fatale. Ma è vero? Certo è che anche André Thoulouze morirà in un incidente di volo, a bordo di uno degli elicotteri di maggior prestigio dell’aviazione francese, l’Ecureuil AS 350. Ma si tratta solo di uno dei tanti misteri dei quali il libro tenta di far chiarezza.  

Resta da chiederci, a riguardo, a quando una serie TV sulla vita di Eugenio Cefis, una vita che, tra l’altro, lascia enormi spazi di fantasia agli eventuali autori per farne un’autentica spy story alla Le Carrè?

Diego Zandel

Paolo Morando, Eugenio Cefis – Una storia italiana di potere e misteri, La terza, pag. 375, €. 20.00

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