Lo so che dà fastidio sentirselo dire.

Comprendo che non piaccia saperlo.

La verità, però, è meglio conoscerla oppure, perché non ci piace, tenerla sotto i tappeti?

David Quammen è stato preciso, completo e visionario già nel lontano nel 2012.

Nessuno ha voluto però ascoltarlo e siamo finiti dentro il Covid-19 impreparati, stupiti, confusi e impauriti.

Vogliamo ripetere anche nel nostro prossimo futuro le inaccettabili situazioni a cui stiamo assistendo in questi difficili giorni a causa della seconda ondata del virus?

Una vergognosa sceneggiata di un continuo scaricabarile collettivo per spostare su altri il cerino della responsabilità di questa nuova tragedia preannunciata, scritta e prevista eppure talmente sotto stimata da ributtarci, per la seconda volta in sei mesi, nella disperazione pericolosa di un secondo lockdown purtroppo necessario.

Allora state a sentire con attenzione.

Leggete, anche se la cosa vi dà fastidio e vi impaurisce, cosa ha scritto proprio in questi giorni il Financial Times sul tema della convivenza con i virus nel nostro prossimo futuro a breve.

Non si può, purtroppo, scappare dalla realtà.

La verità è questa: che ci piaccia o non ci piaccia.

E, badate bene, non è terrorismo mediatico ma un allarme mirato a valorizzare la conoscenza dello scenario per stimolare la preparazione dei rimedi sui quali dobbiamo a tutti i costi investire.

Una valorizzazione della tremenda esperienza che abbiamo fatto e che stiamo subendo ancora proprio finalizzata ad evitarci simili guai nel futuro.

La pandemia di Covid-19 non è stata una sorpresa – ha scritto Leslie Hook, il responsabile del settore ambiente della testata Financial Times – non che fosse prevista, quindi evitabile. Ma nel senso che da anni gli epidemiologi e gli scienziati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità avevano messo in conto l’arrivo di una malattia non ancora identificata, altamente contagiosa, diffusa su scala globale.

Nessuno poteva immaginare il nuovo Coronavirus così com’è ma una cosiddetta “Disease X”, una malattia generica con il potenziale per causare grossi problemi, era attesa e poteva essere quindi gestita in maniera diversa”.

Da questa analisi parte l’l’inchiesta del giornalista inglese che cerca di dare delle risposte alle angoscianti domande “Da dove arriverà la prossima pandemia” “Cosa possiamo fare per fermarla”.

Scrive Hook “I virus sono presenti sulla terra da milioni di anni, ma l’uomo ne conosce soltanto alcuni. Ci sono circa 1,6 milioni di virus nei mammiferi e negli uccelli, di cui circa 700.000 potrebbero avere il potenziale per infettare gli esseri umani. Ma di questi, solo 250 sono entrati in contatto con noi. Gli altri ancora no”.

Dunque la questione non è tanto se arriverà un’altra pandemia influenzale, ma quando arriverà.

Intervistato da Hook, Peter Piot, responsabile della London School of Hygene & Tropical Medicine, colui che scoprì per primo il virus Ebola nel 1976, conferma che il Covid-19 non sarà l’ultima epidemia mortale “Stiamo vivendo nell’era delle pandemie. Penso che ne vedremo sempre di più e il motivo fondamentale è che non siamo riusciti a vivere in armonia con la natura”.

Il giornalista inglese nella sua inchiesta racconta un aneddoto significativo che parte dalla Repubblica Centraficana.

La veterinaria e specialista in epidemiologia, Yanthe Nobel, è andata a studiare proprio in quella parte dell’Africa i virus dei pipistrelli e dei roditori.

Un giorno durante i suoi lavori, trovò sulla sua strada un cucciolo di elefante di un anno di età, morto. E anche se gli elefanti non facevano parte del progetto, la dottoressa Nobel decise di eseguire lo stesso una autopsia. Se la causa della morte dell’animale non rientra nel campo dell’ordinario e non viene riscontrato alcun agente patogeno conosciuto, allora i campioni devono essere inviati ad un laboratorio più grande ed attrezzato in Germania.

Questo episodio dimostra, secondo Hook, che la tragedia che stiamo vivendo ha spinto tutti gli esperti a sviluppare ed articolare protocolli di ricerca sempre più specifici nel tentativo di individuare i virus potenzialmente devastanti.

Quel giorno la dottoressa Nobel andò oltre il protocollo della ricerca su pipistrelli e roditori e, grazie alla sua decisione e flessibilità, si è potuto scoprire che anche quel piccolo elefante era un portatore di virus dagli effetti devastanti.

Come già scrisse Quammen la probabilità di insorgenza di nuove malattie è certamente originata da alcuni fattori ben precisi: la deforestazione, il commercio di animali selvatici e in generale, comunque, ogni stravolgimento dell’eco-sistema.

Queste malattie non spuntano fuori per caso, ma provengono da luoghi dove c’è una grande biodiversità e dove gli esseri umani vivono a contatto stretto con le specie animali. Luoghi e spazi che diventano dei veri e propri “Hotspot” dove è più probabile che i virus si trasmettano.

La distruzione degli ambienti naturali – si legge nell’inchiesta del Financial Times – rende più probabile che nuovi virus emergano e raggiungano l’uomo. Abbattere foreste, creare piantagioni mono-colturali e gestire grandi allevamenti di bestiame, possono aumentare il contatto umano con malattie emergenti. Anche perché la distruzione di alcuni habitat fa sì che sopravvivano solo le specie più resistenti, quelle che hanno maggiori probabilità di essere portatrici di malattie.”

Il Coronavirus ha spinto molti centri di ricerca ad attivare progetti mirati ad individuare i nuovi virus prima che si diffondano: “I progettiha dichiarato Dennis Carroll, responsabile dell’autorevole centro di ricerca Global Virome Project, intervistato da Leslie Hook – consistono nell’individuare i virus prima che arrivino da noi e poi mettere insieme un data base completo da oltre 1 miliardo e mezzo di dollari per tracciare almeno il 75% degli oltre 1,6 milioni di virus esistenti, in un periodo di 10 anni”.

Qualunque sia il prossimo evento, e sappiamo che ce ne sarà un altro, è già lì fuori – scrive Hook nel suo reportage – non abbiamo identificato ancora tutti i mammiferi del pianeta, figuriamoci tutti i virus! E anche i virus che abbiamo identificato rimangono spesso misteriosi”.

Il Financial Times conclude la sua inchiesta con questa riflessione: “Emergono due approcci che potrebbero essere in grado di fare la differenza nel breve termine: uno è quello di monitorare più da vicino la salute delle popolazioni che vivono nelle aree Hotspot in modo tale che le nuove malattie possano essere individuate e contrastate più rapidamente. Un altro, è far sì che il discorso ambientalista sia sempre più collegato alle decisioni in materia di salute pubblica”.

Non credo – ha detto Christian Happi, capo del Centro di eccellenza per la genomica delle malattie infettive di Ede, in Nigeria, intervistato sempre da Hook – che la prossima pandemia sarà prevista da qualche algoritmo. Ciò che serve è creare un sistema di sorveglianza molto solido e potente che consenta alle persone di rilevare questi agenti patogeni in tempo reale e quindi rendere disponibile queste informazioni”.

Insomma, il Financial Times da un lato ci getta nell’incubo di una vita che dovrà convivere con milioni di virus. Ma dall’altro lato ci dà una speranza concreta per il futuro: non solo sono aumentati gli investimenti nella ricerca, ma esiste una maggior collaborazione tra gli scienziati internazionali di tutti i campi dall’ecologia all’epidemiologia e alla biologia molecolare.

Insomma, c’è una nuova consapevolezza sulla connessione sempre più forte tra la salute dell’uomo e quella del pianeta che abitiamo.

Il futuro che ci aspetta non sarà facile ma dobbiamo resistere e farlo rendendoci conto concretamente di quali siano le priorità sulle quali concentrare gli investimenti e le risorse scientifiche.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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