Ancora un’avventura del giudice minorile Salvatore Malavoglia nel terzo romanzo – di una trilogia non programmata – di Ennio Tomaselli. Ad un anno dalla sua presentazione al Salone del libro di Torino del 2022, il bilancio del romanzo può dirsi più che positivo, con molte presentazioni in prestigiose sedi (anche con il coinvolgimento di giovani delle scuole superiori) e la classificazione al XXI concorso nazionale letterario Vittorio Alfieri.

Alla ricerca dei ragazzi africani dispersi chissà dove

In questo terzo romanzo il maturo giudice Malavoglia vive una nuova avventura, forse più “avventurosa” di quelle precedenti. Esce dai palazzi di giustizia e si allontana dalle “scartofie” della burocrazia per vivere in prima persona e in maniera diretta la ricerca di cinque ragazzi – piccoli uomini per l’autore – dispersi nella penisola e provenienti dall’Etiopia. Un professore etiope (invenzione ben riuscita di artigianato letterario) aveva avuto l’idea di farli venire in Italia, ma le cose non sono andate per il verso giusto e ora questi ragazzi sono da rintracciare.
Salvatore Malavoglia, reduce da una brutta aggressione, forse per vendetta, subita nella sua abitazione e che ha ridotto in coma l’amata compagna Elettra, decide, nonostante la sua situazione personale, di unirsi al professore etiope nella ricerca dei ragazzi africani dispersi chissà dove nella nostra penisola.

Un romanzo con un tocco di noir

Anche questo romanzo è intriso, come i precedenti, di azione e di emozione, forse ad un livello di percezione più alto per il lettore in quanto viene toccato un tema d’attualità e complessità: la migrazione di giovani africani nel nostro Paese, con tutte le problematiche che ne conseguono e con tutte le domande che eventualmente chi legge potrebbe porsi. Il romanzo, al quale non manca un tocco di noir (per via della narrazione di aggressioni, morti e suicidi) di per sé non è un romanzo storico (classificabile più come legal thriller), ma la tecnica narrativa offre un piacevole ed originale intersecarsi di passato (sotto forma di lettere dal fronte, scritte dal padre del giudice Malavoglia) e di presente, essendo le vicende dei ragazzi africani dispersi ambientate ai nostri giorni.

Come si propone il passato in questo contesto del presente?

Nel romanzo, il padre di Salvatore Malavoglia, Pietro, partecipò (1935/37) all’aggressione armata dell’Etiopia da parte dell’Italia fascista e scrisse un diario. Il lettore può così prendere atto di uno spaccato di Storia italiana non così remota, di cui non si parla molto (forse per vergogna?) ma comunque importante per chi l’ha vissuta. Attraverso le lettere di Pietro Malavoglia scritte dal “fronte sud”, il figlio Salvatore si rende idealmente partecipe di questo pezzo di Storia coloniale vissuta dal padre, passando subito dopo nei capitoli dedicati alle vicende moderne dell’immigrazione di giovani dall’Africa.

Il giudice decide di “sporcarsi le mani”

Forse anche per questo, per un obbligo che i filosofici definirebbero “metafisico” di riparazione di una colpa, il giudice Malavoglia decide di “sporcarsi le mani” e di cercare i giovani dispersi nella nostra penisola. Ovviamente le lettere non sono autentiche ma sono estremamente credibili, in quanto per redigerle, sono state consultate molte fonti storiche. In particolare, nel capitolo, particolarmente toccante, titolato “caccia al cinghiale”, sono riportate notizie veritiere, che dal romanzo sfociano, purtroppo nella realtà: la struttura dedicata al comandante Graziani, viceré italiano dell’Etiopia e prima della Somalia, esiste davvero e risale all’anno 2012! Anche se la magistratura si è mossa per l’apologia del fascismo, le vicende negli anni sono state alterne e, in ogni caso il mausoleo esiste ancora.

Un passato (non glorioso) con ancora strascichii nel presente

I lettori dovrebbero riflettere su ciò, su di un passato (non glorioso) con ancora strascichii nel presente. Così come è veritiero il descritto massacro anche di donne e bambini – taluni ancora nel grembo materno – perpetrato dalle milizie fasciste italiane ad Adis Abeba nel febbraio del 1937, quale vendetta per l’attentato al viceré. In tale frangente Pietro Malavoglia, nel suo diario, scriverà di sentirsi responsabile per l’accaduto non solo per sé, ma anche per i suoi discendenti. Che dire della bella copertina disegnata da Giancarlo Greco con il mare animato da onde spumeggianti e con al fondo due figurine stilizzate, che prendono le sembianze di due figure umane? Viene evocato il mare, vettore di eventi, che divide ma nello stesso tempo unisce l’Africa all’Italia, permettendo a tanti giovani migranti di raggiungere faticosamente – e talvolta tragicamente – le nostre coste con un bagaglio di speranze e sogni di una vita migliore, il più delle volte non realizzati.

Il fronte sud della vita

In questo romanzo vi è uno spaccato dell’Italia, di ieri con il suo passato coloniale e di oggi, con i giovani migranti e di tutto ciò che ne consegue. L’obbligo di riparazione dell’Italia verso l’Etiopia nasce per le colpe non solo del Malavoglia senior – per essere stato nella milizia italiana che ha aggredito l’Etiopia – ma più in generale per tutti i comportamenti dell’era fascista. La giustizia stessa, quella autentica, nasce da un obbligo di restituzione e di tutela della vittima, che per il giudice Salvatore Malavoglia va oltre “il palazzo” oltre “la carta” e la burocrazia in genere. Perché il titolo “Fronte sud”? Per ricordare al lettore di riflettere sul fronte sud della vita, della storia e della memoria, ma soprattutto, come si legge nelle ultime righe del romanzo, di non dimenticare di guardare verso il Sud del mondo.

Liliana Perrone

 

Liliana Perrone

Consulente legale di Intesa Sanpaolo

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