Ho letto con grande interesse l’articolo del nostro direttore Milo Goj del 5 ottobre, dedicato all’arte di Sabrina Ravanelli. “L’arte interpreta il tempo della rinuncia”. Ci penso su. Il tema della rinuncia sta quindi divenendo il tempo della privazione. Rinuncia all’identità, privazione di beni.

La privazione della materialità

Recentemente ho proposto alcune riflessioni (“Il metaverso e la bambola gonfiabile”) sulla rinuncia e sulla privazione della materialità che si annida nel mondo virtuale. Guardo e riguardo l’Opera riprodotta nell’articolo, che fa parte di una serie che l’Artista ha realizzato e sta realizzando (per esempio quella, diversa, sopra riprodotta). Non ho idea se abbia un titolo, ma, come ho già scritto nel mese di maggio, l’assenza di titolo è uno stimolo, una sfida, una provocazione.
Anzi, a ben vedere, in realtà, un’opportunità.

Il buco della serratura

Che cosa è stato sottratto a quell’Opera di Sabrina Ravanelli? O meglio, qual è la sottrazione che contribuisce all’Opera? È forse un albero? È un albero che manca? La natura offesa dall’uomo? La natura che si sottrae, perché ne ha abbastanza? La natura che impone il suo cambiamento? No, forse è una serratura. Anzi, lo spazio dentro l’opera è un buco di serratura.
Chi guarda che cosa? Chi è dentro? Chi è fuori?

Guardare il mondo da una feritoia

Noi guardiamo il mondo sempre da una feritoia: così cantava Leo Ferré e anche Claudio Lolli è tornato sull’argomento in una sua splendida canzone stranamente poco nota, poco trasmessa, poco eseguita. Credo che questa fosse la provocazione anche di Lucio Fontana. Il taglio? La feritoia? E ora il buco della serratura? E che cos’altro potremo vedere, intuire, sognare, guardando le prossime opere? Nel caso nell’opera pubblicata il 5 ottobre si vede benissimo che cosa c’è al di là, dietro: la parete. Come acutamente nota Milo Goj la particolarità del Maestro Ravanelli è di aver sottratto all’Opera non solo una parte della tela, ma anche il contorno, la cornice. Il telaio.

L’Opera tiene

Ma l’Opera non si affloscia. L’Opera tiene. So che Sabrina Ravanelli lavora molto con lo scotch. Lo scotch è fatto per tenere insieme, per ricostruire, per unire ciò che è diviso, ciò che è rotto, ciò che è strappato. Ma a volte è inutile insistere.
A volte tenere insieme, ricostruire, unire ciò che è diviso, ciò che è rotto, ciò che è strappato, “scoccia”. A volte punti di rotture sono punti di partenza. Svolte. Nuove prospettive. L’assalto al Cielo.

Il Maestro Ravanelli si sta muovendo su una linea completamente diversa rispetto alla funzione ordinaria dello scotch e all’uso artistico dello scotch che contraddistingue alcune sue opere. Non ha apportato una feritoia, non ha aperto uno scorcio dentro l’Opera per vedere, far vedere o lasciar vedere chissà che cosa dal buco della serratura. La guardo e la riguardo quell’Opera. E vorrò vederla dal vero (con le altre). Non è il quadro sulla parete. È la parete che entra nel quadro. È l’universo circostante che entra nella creazione-creatura.

La realtà materiale che irrompe nello spirito dell’intuizione. In fondo siamo sempre lì. Come scriveva quell’ormai innominabile barbuto filosofo tedesco, fin dalle origini lo spirito fu infetto dalla materia.
God save the “Material Queen”!

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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