Su ‘I fatti di Bronte’ (espressione con la quale si indica la rivolta popolare di Bronte dell’agosto 1860 e la cruenta repressione attuata da Nino Bixio inviato da Garibaldi per reprimere la rivolta) sono stati scritti vari libri e decine di articoli. Inoltre, in Rete ci sono centinaia di pagine e molti documenti, soprattutto sul sito  www.bronteinsieme.it

Però solo in pochissimi libri ed articoli si accenna, peraltro in poche righe, alle numerose pressioni fatte, dalla fine di giugno all’inizio di agosto 1860, dal Console Generale inglese a Palermo John Godwin e dal Console inglese a Catania Jeans su Garibaldi e sul Governatore di Catania (da poco insediato dal Governo provvisorio garibaldino) per tutelare gli interessi della Ducea (Ducato) Nelson, di cui il Comune di Bronte faceva parte.

Anche nei libri scolastici di storia, riguardo alla Spedizione dei Mille si mette in risalto l’operato di Garibaldi in Sicilia, in particolare le riforme sociali decise come Dittatore (soprattutto l’abolizione della tassa sulla macinazione del grano e la spartizione delle terre dei latifondi tra i contadini poveri), e talvolta si accenna alla rivolta di Bronte ed alla dura repressione attuata da Bixio, ma senza spiegarne le cause e soprattutto senza dire nulla delle pressioni fatte dal Consoli inglesi su Garibaldi per tutelare la Ducea Nelson, la cui costituzione, con donazione del Re di Sicilia Ferdinando III di Borbone il 10 ottobre 1799, non fu annullata edalla quale, quindi, non si applicarono le riforme sociali  di Garibaldi, prima fra tutte la divisione delle sue terre tra i contadini poveri. 

Perché Garibaldi ha dovuto soddisfare le richieste inglesi, facendo intervenire rapidamente a Bronte il fidato Nino Bixio, e non un altro generale,  per riportare l’ordine nel paese e per tutelare gli interessi della Ducea Nelson? Semplicemente perché il Governo inglese aveva appoggiato la spedizione dei Mille. Infatti navi inglesi avevano protetto la partenza dei Mille da Quarto la notte del 5-6 maggio 1860 con i piroscafi PiemonteLombardo, messi a disposizione dalla Società Generale Navigazione Italiana di Raffaele Rubattino di Genova. Inoltre, nella rada di Marsala, a coprire lo sbarco dei Mille, l’11 maggio 1860 c’erano le  cannoniere inglesi Argus e Intrepid, inviate appositamente da Malta. Inoltre molti inglesi avevano finanziato la spedizione dei Mille con una pubblica sottoscrizione.

Infine, l’ammiraglio borbonico Guglielmo Acton, di origine inglese, arrivato nella rada di Marsala con la corvetta Stromboli per contrastare lo sbarco dei Mille, non aveva ordinato di aprire il fuoco sui volontari garibaldini che erano appena sbarcati.  Acton giustificò il suo comportamento con il fatto che aveva scambiato i garibaldini, vestiti  con le camicie rosse, con i Red Coast inglesi. La verità invece è che il Governo inglese gli aveva ‘consigliato‘ di non impedire lo sbarco dei garibaldini. In seguito catturò il piroscafo Piemonte e lo rimorchiò fino a Napoli. Acton continuò la carriera militare nel Regno d’Italia e nel 1871 divenne Senatore.

La Ducea Nelson, di cui faceva parte il Comune etneo di Bronte, di circa 11.000 abitanti, in gran parte contadini nullatenenti e braccianti agricoli, era stata costituita, su un territorio di circa 14.00 ettari,  con il Real Diploma 10 ottobre 1799 dal Re di Sicilia Ferdinando III di Borbone (che era anche Re di Napoli con il nome di Ferdinando IV e che dopo il Congresso di Vienna del 1815 divenne Ferdinando I Re delle Due Sicilie) a favore dell’ammiraglio inglese Orazio Nelson per ricompensarlo per aver abbattuto nel giugno 1799 la Repubblica partenopea e per aver riportato sul trono la dinastia borbonica. Al riguardo, uno dei capi della Repubblica partenopea, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, era stato catturato ed imprigionato sulla nave dell’ammiraglio inglese VIctory, dove subì un processo sommario che si concluse con la condanna all’ergastolo, che fu commutata da Nelson in condanna a morte, che fu eseguita il 30 giugno per impiccagione. Il corpo di Caracciolo rimase appeso per alcuni giorni, come monito per i napoletani, ad un pennone della nave e quindi gettato in mare con un peso alle gambe per farlo sparire, ma riemerse dopo alcuni giorni. 

La Ducea Nelson era stata costituita sul feudo dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, realizzato nel 1431 e chiamato anche Ospedale Maggiore, il quale era stato compensato per la perdita del feudo, in seguito alla costituzione della Ducea, con una rendita annua di 5.600 onze (equivalenti a 71.400 lire del tempo), poi confermata dal Regno d’Italia. 

In precedenza, fino al 1491, il feudo dell’Ospedale Maggiore di Palermo (di cui faceva parte Bronte, che allora non era Comune ma un ‘casale’, cioè un piccolo borgo di una ventina di case) era appartenuto all’Abbazia benedettina di Santa Maria di Maniace (costruita nel 1172 dalla Regina Margherita di Navarra, moglie del Re di Sicilia Guglielmo I, per ricordare la vittoria riportata sui Saraceni nel 1040 del generale bizantino Giorgio Maniace). Successivamente, il feudo, insieme con i beni dell’Abbazia di S. Filippo di Fragalà, era stato donato dal Cardinale Rodrigo Borgia (Commendatario dell’Abbazia dal 1471 e futuro Papa  Alessandro VI), al Papa Innocenzo VIII, il quale,  poco dopo, con Bolla pontificia del 12 aprile 1491, d’accordo con il Re di Sicilia Ferdinando II d’Aragona, l’aveva donato all’Ospedale Maggiore di Palermo.

In particolare il Real Diploma 10 ottobre 1799, firmato dal Re di Sicilia Ferdinando III di Borbone e dal Consigliere di Stato e Segretario Tommaso Firrao, Principe di Liuzzi,  concedeva “in perpetuo all’illustre Orazio Nelson e ai suoi eredi, discendenti legittimi della sua persona, il  mero e misto imperio ed il diritto di vita e di morte sugli abitanti della terra e del comune di Bronte… eretto in Ducato, come feudo onorifico, all’illustre Orazio Nelson…in modo che egli  stesso, i suoi eredi …possano essere chiamati Duchi di Bronte” i quali erano tenuti a prestare il “servizio militare in favore del Re….e a pagare  le tasse in proporzione  al reddito ed ai proventi del Ducato”. Il diritto di mero e misto imperio era il diritto di amministrare la giustizia civile e penale, che comprendeva anche lo ius necis, cioè il diritto di condannare a morte.  Era quindi un residuo diritto feudale.

Il Principe Firrao aveva proposto al Re Ferdinando III di dare a Nelson o il feudo di Bisacquino, appartenente alla Chiesa di Monreale, o il feudo di Partinico, appartenente all’Abbazia di S. Maria d’Altofonte, o il feudo di Bronte, appartenente all’Ospedale Maggiore  di Palermo. Il Re scelse il feudo di Bronte e ne diede pubblica notizia il 13 agosto 1799, compleanno della Regina. 

Il Re Ferdinando considerò che la “terra di Bronte è la più adatta al caso“, ma non ritenendo sufficiente per la Ducea Nelson la rendita dell’Ospedale Maggiore di Palermo di 5.600 onze  si dovevano “annessare .. altre terre confinanti…dandosegli la forma e carattere feudale col titolo di Duca“.   

Il 25 ottobre 1799 Nelson presentò al Re Ferdinando III una supplica per essere esonerato dal pagamento alla Regia Corte dei Conti della ingente somma prevista per la investitura del titolo di Duca di Bronte e per prendere possesso della Ducea. Il Re lo accontentò.

Il 13 ottobre 1801 il Re confermò la concessione dei vari terreni e diritti a favore della Ducea.

Il 27 marzo 1803 il Re dispose che la Ducea fosse esonerata dal pagamento dei tributi che prima gravavano sull’Ospedale Maggiore di Palermo, precedente titolare del Feudo. Inoltre, il Duca di Bronte poteva nominare alcuni rappresentanti della Ducea (detti ‘giurati’) nel Comune di Bronte.  

Con la  costituzione della Ducea, i Brontesi continuarono a rimanere vassalli, come lo erano stati dell’Ospedale Maggiore di Palermo, e su di essi il Duca di Bronte aveva il “diritto di vita e di morte” ed esercitava anche ildiritto di mero e misto imperio, che era stato assegnato dal Re di Sicilia Ferdinando di Aragona al terzo figlio Giovanni, che lo aveva acquisito alla morte del padre nel 1337, insieme al titolo di Marchese di Randazzo, appositamente istituito. Il Comune di Bronte, per liberarsi dalla soggezione alla città di Randazzo, che esercitava il diritto di mero e misto imperio sui Brontesi, lo aveva acquisito nel 1638, dopo aver pagato alle casse regie la ingente somma di 22.000 scudi, acquisita in parte con un mutuo molto gravoso durato fino al 1774.

Inoltre il Comune di Bronte aveva iniziato un contenzioso giuridico con l’Ospedale Maggiore di Palermo per ritornare in possesso di alcuni terreni del feudo e per riacquisire il diritto di legnatico (di fare legna) e di pascolo a favore dei Brontesi nullatenenti, per i quali l’esercizio dei suddetti diritti era vitale per la sopravvivenza. Infatti, Bronte si trova ad una altitudine di circa 760 metri sul livello del mare, alle pendici dell’Etna, e quindi il diritto di legnatico era vitale per superare gli inverni alquanto rigidi, tanto più che sul vulcano in autunno ed in inverno c’è sempre la neve. La causa si era protratta per oltre due secoli, con ingenti spese legali, senza che il Comune di Bronte riuscisse ad ottenere nulla in quanto non aveva adeguati sostegni a livello politico e giudiziario. 

Naturalmente il Comune di Bronte continuò contro la Ducea la secolare controversia giudiziaria iniziata con l’Ospedale di Palermo, senza alcun risultato in quanto gli amministratori ducali avevano al loro servizio vari avvocati, a Catania, a Messina ed a Palermo ed inoltre godevano dell’appoggio del Governo inglese, che direttamente o tramite il Console a Catania o il Console Generale a Palermo faceva pressioni diplomatiche sulle autorità statali e locali, a tutela della Ducea. 

Nella Ducea l’ammiraglio Nelson non riuscì ad andare, dato che era sempre impegnato nella guerra contro la Francia fino alla sua morte avvenuta  il 21 ottobre 1805 nella battaglia navale di Trafalgar. Però era molto attaccato alla Ducea tanto da firmarsi Nelson Bronte.

Affidò quindi la gestione della Ducea ad amministratori, chiamati governatori, che vivevano nella sontuosa residenza (denominata Castello di Maniace) realizzata nel monastero dell’Abbazia di S. Maria di Maniace dal primo amministratore John Andrew Graeffer,  un architetto di giardini che aveva operato nella reggia borbonica di Caserta e che era stato raccomandato a Nelson da sir William  Hamilton,  l’ ambasciatore inglese presso la corte borbonica, la cui  moglie, lady Emma, era l’amante di Nelson, dalla quale ebbe la figlia Orazia. 

Alla morte di Nelson nel 1805, non avendo egli avuto figli dalla moglie Francis Nisbet, la Ducea passò al fratello, il reverendo William. Alla morte di costui, nel 1835,  la Ducea passò a sua figlia Charlotte  Mary che sposò Samuel Hood, Visconte di Bridport. Pertanto, i Duchi di Bronte divennero Nelson- Hood, che erano anche Visconti di Bridport. 

Il secondo amministratore della Ducea fu nel 1805 il marchese palermitano Antonio Forcella, che nel 1811 presentò l’inventario dei beni della Ducea che ammontavano  a circa 14.000 ettari (dei quali il 50%  era seminativo, concesso in ‘gabella’ a borghesi o nobili locali, che poi lo concedevano in ‘sub gabella’ a contadini locali) e con un reddito di circa 6.900 onze.  Emanò vari bandi per limitare i diritti di legnatico e di pascolo che erano esercitati da secoli dai contadini Brontesi nullatenenti. Inoltre iniziò il disboscamento per ricavare terreni seminativi e vigneti. 

Nel 1819 divenne governatore Philip Thovezil quale gestì la Ducea comportandosi di fatto come proprietario, tanto che il figlio William (Guglielmo) fu allontanato nel 1871 dai Duchi Nelson-Hood proprio perché gestiva la Ducea come una cosa propria. 

Gli amministratori Thovez commisero varie angherie nei confronti dei Brontesi, con la chiusura delle ‘trazzere’ (strade rurali per l’accesso ai campi e per il passaggio degli armenti), imponendo il pagamento di un pedaggio con guardiani armati (i ‘campieri’, che erano oltre 120) e con la chiusura sia dei boschi, usati dai contadini poveri per fare la legna (per il diritto di legnatico) o per raccogliere frutti, sia dei terreni adibiti a pascolo. I trasgressori, colti sul fatto, venivano frustati dai ‘campieri’ oppure denunciati alle Autorità comunali, che in genere erano a favore della Ducea, infliggendo contravvenzioni pecuniarie elevate ed anche condanne alla reclusione. Infatti, gli amministratori comunali gestivano la ‘cosa pubblica’ privilegiando gli interessi della Ducea a svantaggio della popolazione povera. Pertanto i Brontesi continuarono a vivere nella condizione di vassallaggio, subita da secoli, e di povertà. Al riguardo, secondo il censimento del 1832,  su 8,862 abitanti, solo circa 2.000 svolgevano una attività lavorativa. Nello specifico, 1212 erano braccianti, 249 pecorai, 75 calzolai, 46 falegnami, 43 muratori, 40 fabbri e 41 professionisti (19 avvocati, 10 medici, 9 notai e 3 farmacisti). Vi erano inoltre 123 “possidenti”, 65 preti e  32 monaci.   

Nel 1835, per riacquisire i diritti di legnatico e di pascolo, molti Brontesi inviarono una supplica al Ministro dell’Interno del Regno delle Due Sicilie, nella quale affermavano che da decenni erano stati “angariati dal baronale dispotismo…e privati  del diritto di  far legni  e carbone  nei boschi…diritto da remotissimi tempi esercitato” e chiedevano quindi “con tutto rispetto”  di riavere  tali diritti. Naturalmente, non ottennero alcun risultato.

La situazione sociale dei Brontesi si aggravò nel 1841 in seguito alla abolizione degli ‘usi civici’ da parte del governo borbonico, che doveva essere compensata con la restituzione ai Comuni di un quinto della proprietà dei feudi, che poi doveva essere ripartita tra i cittadini poveri. La Ducea si oppose a questo provvedimento, ma nel 1846 la Gran Corte dei Conti di Palermo la obbligò a restituire al Comune di Bronte ” metà delle terre boschive, un quarto delle terre aratorie e pascolabili  e un terzo di quelle vulcaniche“, che dovevano essere ‘quotizzate’ (ripartite) tra i Brontesi, ma i moti del 1848 ne bloccarono l’attuazione. Però il 23 aprile 1848 i contadini nullatenenti provvidero a dividersi le vigne ed alcuni terreni della Ducea. Naturalmente l’amministratore Thovez inviò un dura protesta al Presidente del Comitato generale di Catania lamentando la devastazione dei beni della Ducea. Pertanto fu inviata a Bronte “a garanzia e difesa della Ducea” una Compagnia della Guardia Nazionale, comandata dal fratello dell’amministratore della Ducea, che si aggiunse alle altre tre già presenti nel paese, che cacciò i contadini ‘occupanti’ dai vigneti e terreni della Ducea. Ritornato l’ordine, si provvide alla ‘quotizzazione’ dei terreni della Ducea, che però furono assegnati ai notabili locali (nobili e borghesi) e non ai contadini nullatenenti.

Nel 1951 il Sindaco Luigi Saitta (uno dei capi dei moti del 1848) fu destituito  dalla carica, dietro pressione degli amministratori della Ducea Nelson, per abuso di potere  in danno degli interessi della Ducea

Il 14 maggio 1860, pochi giorni dopo lo sbarco a Marsala, avvenuto l’11 maggio, Garibaldi emanò il Proclama di Salemi con il quale assunse la Dittatura in nome di Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna, ed invitò i siciliani ad impugnare le armi per abbattere la dinastia borbonica. Chi non impugnava un’arma era considerato un “codardo e traditore della Patria” 

Subito circa 500 ‘picciotti’ siciliani si arruolarono nel contingente garibaldino. Il giorno dopo a Calatafimi ci fu il primo scontro con le truppe borboniche, comandate dal generale Francesco Landi, che furono sconfitte. La vittoria aprì ai garibaldini la strada per Palermo dove arrivarono dodici giorni dopo. La città insorse ed il generale borbonico Lanza ordinò alle navi di bombardare la città per punire i palermitani che erano insorti. Il 30 maggio Palermo fu liberata e Garibaldi nominò un Governo provvisorio coordinato da Francesco Crispi nominato Primo Segretario di Stato. 

Il 14 maggio furono sciolti i Consigli civici (i Consigli comunali) e fu indetta la elezione dei nuovi per la metà di giugno. Ai Consigli non potevano candidarsi gli esponenti della passata Amministrazione borbonica o che erano comunque considerati  filoborbonici  e favoreggiatori della restaurazione borbonica. 

Il 17 maggio Garibaldi abolì l’odiata tassa sulla macinazione (molitura) del grano e riformò la Guardia Nazionale . 

Il 17 maggio 1860 Garibaldi annullò la donazione del feudo di Bisacquino (uno dei tre proposti nel 1799 all’ammiraglio Nelson) nella zona di Palermo, fatta anni prima dal Re Ferdinando di Borbone a Salvatore Maniscalco, odiato dalla popolazione in quanto Capo della Polizia in Sicilia. Pertanto il feudo era tornato al precedente proprietario, la Chiesa di Monreale.  

Il 28 maggio  fu emanato il Decreto per punire i reati di omicidio, furto, saccheggio e devastazione, commessi sia dai militari che dai civili (soprattutto come vendette private), che dovevano essere giudicati dai Consigli di guerra e sanzionati con la pena di morte mediante fucilazione. Nessuno poteva farsi giustizia da sé. In particolare era vietato il linciaggio degli esponenti del regime borbonico. Al riguardo, colui che incitava il popolo contro i filoborbonici era arrestato come reo di ‘omicidio mancato’. Inoltre, se la persona era  percossa, ferita o uccisa, i responsabili erano condannati alla pena di morte mediante fucilazione.

Il 2 giugno a Palermo Garibaldi emanò il Decreto sull’abolizione dei latifondi e sulla spartizione delle loro terre e di quelle del demanio comunale e statale tra i contadini nullatenenti e tra coloro che avevano partecipato alla guerra per abbattere la dinastia borbonica. 

Il 13 giugno, dopo la conquista della Sicilia, Garibaldi diffuse un Messaggio ai combattenti siciliani con il quale li ringraziò della partecipazione alla guerra per la liberazione dell’isola dalla dinastia borbonica. Li invitò inoltre a tornare alle loro “capanne colla fronte alta, colla coscienza di aver adempiuto un’opera grande” ed a raccontare ai figli  i “pericoli trascorsi nelle battaglie per la santa causa dell’Italia”. 

Inoltre il 13 giugno fu abolito  il ‘baciamano’ dovuto ai ‘padroni’ ed il titolo di ‘eccellenza’, riservato ai ‘cappelli’, cioè ai nobili ed ai notabili (notai, avvocati, ingegneri, medici, farmacisti…) che potevano portare il cappello mentre i ‘villici’, cioè i contadini, dovevano portare la ‘coppola’. 

In seguito furono nominati i Governatori dei 23 Distretti in cui era stata divisa la Sicilia con la Costituzione del 1812.

Il 3 agosto fu adottato nell’isola lo Statuto Albertino emanato dal Re di Sardegna  Carlo Alberto il  4 marzo 1848, che era la Costituzione del Regno sabaudo.

I provvedimenti a carattere sociale decisi da Garibaldi, soprattutto quelli previsti nel Decreto del 2 giugno, alimentarono le speranze dei Brontesi nullatenenti, i quali confidavano nella abolizione della Ducea, che possedeva gran parte del  territorio comunale, peraltro quello più fertile, con la ripartizione delle sue terre. Invece, la Ducea non fu abolita. Peraltro l’amministratore Guglielmo Thovez aveva convinto il Governatore di Catania a far affiggere a Bronte dei manifesti che invitavano i cittadini a rispettare i beni della Ducea

Pertanto, grande fu la delusione dei Brontesi poveri che avevano confidato nella abolizione della Ducea ‘maledetta’ e nella spartizione delle sue terre. Inoltre non fu abolita l’odiata tassa sulla macinazione del grano. Si può quindi comprendere bene quanto fosse diffuso e profondo, nell’estate 1860, il malcontento popolare dei Brontesi, che vivevano da alcuni secoli una forte tensione sociale, che era già sfociata in sollevazioni popolari in occasione dei moti liberali del 1820 e del 1848.

Inoltre, alle elezioni comunali della metà di giugno aveva vinto il partito dei ‘ducali’, così chiamati perché facevano gli interessi della Ducea. Inoltre il Governatore di Catania aveva nominato, su pressioni del Console Generale inglese a Palermo Godwin, come Presidente del Municipio (Sindaco) Sebastiano De Luca, come Presidente del Consiglio Civico il barone Vincenzo Meli e come Giudice l’avv. Nunzio Cesare, tutti esponenti del partito dei ‘ducali’. Invece, il Comitato di liberazione di Bronte, costituitosi durate la campagna garibaldina, confidava nell’attribuzione di almeno una delle cariche all’avv. Nicolò Lombardo, esponente di spicco del Comitato e del partito dei ‘ comunali’ o dei ‘comunisti’, così detti perché facevano gli interessi del Comune, nonché uno dei capi del moti del 1848 insieme a Luigi Saitta ed ai fratelli Minissale.  

Questa sconfitta politica esasperò le aspettative degli aderenti al partito dei ‘comunali’ o ‘comunisti’. Pertanto, la situazione politica e sociale, per la mancata attuazione dei decreti emanati  da Garibaldi,  divenne esplosiva e portò il 2 agosto allo scoppio della rivolta popolare. L’avv. Nicolò Lombardo fu acclamato dal popolo Presidente del Municipio (Sindaco) ed il medicoLuigi Saitta  Presidente del Consiglio Civico.

Già alla fine di luglio c’erano state manifestazioni popolari con persone che percorrevano le vie di Bronte gridando ” Abbasso il Municipio! Abbasso i borbonici! Viva Garibaldi! Vogliamo la divisione delle terre!”.  In particolare Nunzio Ciralda Fraiunco, di 50 anni, infermo di mente, considerato lo ’scemo del paese’, girava per Bronte suonando una trombetta di latta e si fermava sotto le case  dei notabili, gridando “Cappelli guardatevi, l’ora del giudizio si avvicina“. 

Inoltre, la sera del 29 luglio un nutrito gruppo di ragazzi, con le torce accese, portarono in giro per il paese una bara, cantando sotto le case dei notabili il Miserere ed il De profundis.

Fu indetta una grande manifestazione popolare per domenica 5 agosto, festa della Madonna della Catena; però, temendo l’arrivo dei soldati da Catania, perché era stato avvisato, sia dall’avv. Lombardo che dal Console inglese di Catania, il Governatore di quanto succedeva a Bronte, la manifestazione fu anticipata a giovedì 2 agosto. Il giorno precedente furono istituiti dei posti di blocco, con persone armate, alle porte di Bronte, per impedire di uscire dalla cittadina. Comunque, alcuni notabili e borghesi, temendo il peggio, riuscirono a lasciare Bronte.

La mattina del 2 agosto iniziò la rivolta popolare, al grido “ Viva l’Italia, morte ai sorci! (i sorci erano i borbonici camuffati da democratici-N.d.A.) Vogliamo la divisione delle terre!”.  Scesero in paese dalla montagna i carbonai (guidati da Calogero Cìraldo detto Gasparazzo che portò con sè figli e nipoti) ed arrivarono anche persone da altri paesi, molti dei quali erano ex galeotti usciti dalle carceri, aperte dai borbonici, richiamati dalla notizia di quanto stava accadendo a Bronte.     

La rabbia popolare, repressa da secoli, si scatenò nei confronti dei ‘cappelli’ (i nobili, i possidenti, i professionisti ), dei funzionari della Ducea e degli esponenti del partito dei ‘ducali’. In poche ore la situazione precipitò e le tre Compagnie della Guardia Nazionale presenti a Bronte non riuscirono a riportare l‘ordine. 

Nei tre giorni di violenza, fino al 4 agosto, furono uccise, con una brutale ‘furia omicida’ 15 persone, tra le quali il notaio Ignazio Cannata, di 70 anni, e suo figlio Antonino, di 34 anni, il contabile Rosario Leotta, di 45 anni e l’avv. Luigi Spedalieri, tutti al servizio della Ducea, ed i funzionari comunali Francesco Aidala, cassiere,  Vincenzo Lo Turco e Giovanni Spedalieri, impiegati del catasto dei terreni.

Furono incendiati il teatro e l’archivio comunale e furono saccheggiate ed incendiate 46 case di notabili. Molti, nella speranza di salvare le case, aprirono le cantine, consentendo ai rivoltosi di saccheggiarle. 

L’avv. Lombardo cercò invano di calmare gli animi. Ormai la ‘rivoluzione’, auspicata da lui e dai ‘comunali’, era sfuggita di mano e non si riusciva a riportare l’ordine nel paese. Anche una Compagnia della Guardia Nazionale, mandata da Catania (con 80 militi) ed arrivata a Bronte il 4 agosto, non fece nulla e andò via. Però la sera di quel giorno, la rivolta andò scemando e molti rivoltosi, soprattutto quelli che avevano compiuto i reati più gravi,  lasciarono il paese temendo l’arrivo dei soldati.

Infatti, domenica 5 agosto arrivò a Bronte una Compagnia di 300 soldati (con un cannone) al comando del Colonnello Giuseppe Poulet (ufficiale borbonico passato ai garibaldini), che entrò nel paese tranquillamente, dato che la  rivolta era finita,  ed invitò a consegnare le armi.

In quei periodo, molte furono le pressioni su Garibaldi sia del Console Generale inglese a Palermo, John Goodwin, che dell’amministratore della Ducea per tutelarne gli interessi, impedendo soprattutto l’esproprio delle sue terre, da ripartire tra i Brontesi poveri, in base al Decreto di Garibaldi del 2 giugno. 

In particolare, il 28 giugno Goodwin scrisse a Garibaldi di “avvertire  energicamente il Comitato di Bronte di rispettare e di far rispettare la proprietà della signora Nelson Bridport”.Inoltre lo pregò “di dare quelle disposizioni che crederà opportune per la sicurezza della proprietà” della Ducea di Lady Charlotte Nelson-Bridport. 

Il 30 giugno, da Palermo, Garibaldi rassicurò il Console inglese, facendogli scrivere da Gaetano Daita, Segretario di Stato per l’Interno del suo Governo ” che si son date oggi stesso energiche disposizioni  perché non avvenga il menomo inconveniente o abuso a pregiudizio della proprietà di Lady Nelson, Duchessa di Bronte”.

Appena scoppiata la rivolta, l’amministratore della Ducea Guglielmo Thovez informò i Consoli inglesi a Catanja, John Jeans, ed a Messina, Richard, i quali informarono il Console Generale a Palermo, John Goodwin, che, a sua volta, informò il Ministro degli Esteri Russel, a Londra. Di conseguenza, Russel, per conto del Governo inglese, chiese al Console Generale a Palermo ed al Console a Catania di fare pressioni su Garibaldi e sul Governatore di Catania per invitarli a sedare la rivolta di Bronte, per tutelare gli interessi patrimoniali dei Nelson-Hood. In particolare fu chiesta la condanna esemplare per l’avv. Nicolò Lombardo, considerato uno dei capi della rivolta popolare ed inoltre era  l’esponente più importante del cosiddetto partito dei ‘comunali’ o dei ‘comunisti’, che cercava di tutelare gli interessi del Comune contro le angherie degli amministratori della Ducea. 

In particolare, il 2 agosto, il Console Generale inglese a Palermo Goodwin, informato dell’assassinio di Rosario Leotta, contabile della Ducea, inviò una lettera a Gaetano Daita, Segretario di Stato per l’Interno, informandolo dell’omicidio ed indicando come istigatori l’avv. Lombardo, Sindaco di Bronte, ed i fratelli Carmelo e Silvestro Minissale (tutti e tre avevano fatto parte del Comitato rivoluzionario del 1848), che pertanto dovevano essere arrestati e condannati. Incredibile! Ancora prima del processo, il Console inglese indicava le persone da arrestare e condannare!

Successivamente, l’8 agosto, Goodwin scrisse sempre al Segretario di Stato per l’Interno informandolo che era stata inviata a Bronte da Catania una Compagnia della Guardia Nazionale per reprimere la rivolta popolare scoppiata il 2 agosto e che essendo questa Compagnia andata via senza fare nulla, il Vice Console inglese a Catania Jeans aveva telegrafato a Garibaldi, che si trovava a Messina, in attesa di passare lo stretto e sbarcare in Calabria, chiedendogli di spedire ” una colonna militare> a Bronte per reprimere la rivolta. Infine Goodwin chiese  di “sopprimere l’insurrezione nella più sollecita ed effettiva maniera”.  Incredibile! Il Console inglese diceva a Garibaldi cosa doveva fare! 

Pertanto Garibaldi, pressato dal Console Generale inglese a Palermo e dal Console inglese a Catania (che peraltro faceva parte del Comitato rivoluzionario di Catania, secondo il rapporto redatto il 25 maggio 1860-una settimana prima della liberazione della città- dal generale borbonico Clari), allo scopo di non compromettere i rapporti con il Governo inglese, che aveva appoggiato la Spedizione dei Mille, inviò a Bronte il fidato Nino Bixio, e non un altro ufficiale, per riportare l’ordine nel paese e per difendere gli interessi della Ducea.

Bixio partì con un Battaglione la sera del 4 agosto da Giardini (vicino a Messina), dove era acquartierato con la sua Brigata, ed arrivò a Bronte la mattina di domenica 6 agosto verso le 10. Il Colonnello Poulet gli inviò incontro un suo ufficiale per avvertirlo che la rivolta era cessata e che nel paese era tornata la calma. Lo invitò di fatto ad un comportamento equilibrato nei confronti della popolazione, come aveva fatto lui il giorno precedente. Invece Bixio ordinò a Poulet di tornare a Catania e fece affiggere un proclama con il quale accusò la cittadina del grave reato di “lesa umanità“. Impose lo stato di assedio e la consegna delle armi di ogni tipo entro tre ore, a partire dalle 13. Sciolse il Consiglio Civico e nominò come Amministratori comunali gli esponenti in carica prima della rivolta, che si erano opposti alla divisione delle terre della Ducea, che non era stata abolita. Sciolse anche le tre Compagnie della Guardia Nazionale che stavano a Bronte e che non erano intervenute per ristabilire l’ordine. Impose sulla popolazione una ‘tassa di guerra’ molto pesante, di 10 onze l’ora, a partire da quando era partito da Giardini. Fece arrestare molti cittadini e chiese l’intervento della  Commissione Mista Eccezionale di Guerra (formata da sette persone tra militari e da civili), che si trovava a Adrano, per celebrare un processo rapido ed esemplare contro i capi della rivolta. Al riguardo, furono incriminate  7 persone: l’avv. Nicolò Lombardo, di 48 anni; il medico Luigi Saitta, di 57 anni; il borghese Carmelo Minissale di 55 anni; il fabbro Nunzio Samperi, di 27 anni; i villici (contadini) Nunzio Spitaleri Nunno, di 40 anni, Nunzio Longhitano  Longhi, di 40 anni, e  Nunzio Ciraldo Fraiunco, di 50 anni (infermo di mente e considerato lo ‘scemo del paese’). Tutti erano imputati dei seguenti gravi reati, passibili della pena di morte: guerra civile, devastazione, saccheggi, incendi, omicidi. Tre di essi, tra cui l’avv. Lombardo, erano anche accusati di detenzione di armi  vietate.

In particolare, l’avv. Lombardo, che aveva rifiutato di lasciare Bronte, come gli avevano consigliato di fare molte persone, pensando di non avere nulla da temere dato che si era prodigato molto per riportare la calma nel paese durante la rivolta popolare, come Presidente del Municipio (Sindaco) nominato dai manifestanti,  si era presentato spontaneamente a Bixio, che alloggiava nel Real Collegio Capizzi, per raccontargli i fatti. Bixio non lo fece parlare e gli urlò “Siete voi il Presidente della canaglia!”.  Lo fece subito arrestare e rinchiudere nella stanza di disciplina del Real Collegio Capizzi.

Nei giorni 7 e 8 agosto la Commissione Mista Eccezionale di Guerra istruì il processo in modo molto sbrigativo e superficiale. In particolare, il 7 agosto ascoltò 16 testimoni e 7 persone come ‘parti lese’, nessuna delle quali però indicò in modo preciso i 7 imputati come i capi della rivolta e come gli autori dei reati più gravi. Il giorno seguente, 8 agosto, fece il sopralluogo in 17 case  saccheggiate ed incendiate. 

Il processo non fornì alcuna garanzia per la difesa degli imputati. Infatti, l’avv. Nunzio Cesare, nominato il 9 agosto da Lombardo come difensore suo e  degli altri 6 imputati, nonostante fosse un esponente del partito dei ‘ducali’ e suo antagonista politico, perché confidava nella sua onestà intellettuale, ebbe solo una ora di tempo, fino alle ore 13, per organizzare la difesa e presentare le memorie difensive. Al riguardo, quattro memorie difensive, presentate tra le 14 e le 14,30 furono rigettate all’unanimità dalla Commissione Mista Eccezionale di Guerra “perché prodotte fuori termine”.. 

Il processo, inoltre, celebrato il 9 settembre secondo il Codice di Procedura Penale del Regno delle Due Sicilie, durò solo quattro ore, dalle 16 alle 20, ascoltando rapidamente solo i 23 testimoni a carico. Infatti, la Commissione, su richiesta dell’Avvocato fiscale (che rappresentava l’accusa come l’attuale Pubblico Ministero), che era un militare, decise all’unanimità di non ascoltare i testimoni a discolpa. Al riguardo l’avv. Lombardo ne aveva presentati ben 13, 7 dei quali erano sacerdoti. Eppure nel verbale del processo è scritto che i testimoni a discolpa furono sentiti. E’ un falso incredibile! Inoltre, l’avv. Nunzio Cesare non intervenne mai a difesa degli imputati che lo avevano nominato loro difensore!.

Alle ore 20 di giovedì 9 agosto la Commissione emise la sentenza di condanna a morte, mediante fucilazione, in nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia (però il Regno d’Italia ancora non esisteva perché nacque con l’approvazione della legge da parte del Parlamento il 17 marzo 1861), nei confronti di 5 imputati. Infatti, per  il medico Luigi Saitta e per Carmelo Minissale fu chiesto un supplemento di indagine alla Corte di Assise di Catania. Furono poi scagionati dalle accuse nel dicembre dello stesso anno. Molto probabilmente, la Commissione non volle punire altri due personaggi autorevoli di Bronte, dopo aver condannato l’avv. Lombardo, che divenne il principale ‘capro espiatorio’ della rivolta popolare.

Inoltre la Commissione condannò i parenti delle vittime al pagamento delle spese processuali. Ordinò anche che un manifesto con l’estratto della sentenza di condanna a morte fosse affisso in tutti i Comuni della Sicilia. Stabilì infine che la fucilazione  avvenisse con il “secondo grado di pubblico esempio” lasciando le vittime sul posto, come monito per la popolazione.

I componenti della Commissione Mista Eccezionale di Guerra, benché non erano stati scelti da Bixio, furono sicuramente condizionati da lui nell’emettere la durissima sentenza di condanna a morte, che doveva servire come monito, sia per riportare rapidamente l’ordine negli altri paesi dove erano scoppiate rivolte, sia per evitare nuove sollevazioni popolari in Sicilia mentre l’esercito garibaldino stava per lasciare l’isola per sbarcare in Calabria, per continuare la guerra contro i Borboni.  Al riguardo Bixio aveva fretta di lasciare Bronte per raggiungere le truppe garibaldine. 

Le pressioni fatte da Bixio sulla Commissione risultano anche da alcune lettere. In particolare, in quella inviata l’8 agosto al Maggiore Dezza, un ufficiale della sua Brigata, nella quale aveva scritto che rimaneva a Bronte fino alla fucilazione degli imputati, per poi ricongiungersi con lui a Randazzo. Era quindi sicuro della condanna a morte degli imputati ancora prima della fine del processo! 

Inoltre, la mattina del 9 agosto Bixio aveva scritto una lettera ai componenti della Commissione Mista Eccezionale di Guerra nella quale chiedeva un giudizio rapido ed una  condanna esemplare. Poi era partito per Regalbuto per reprimere la rivolta che era scoppiata nel paese, ma nel tardo pomeriggio tornò a Bronte per assistere alla fucilazione, prevista per la sera del 9 agosto, alle ore 22, che però fu rinviata alle ore 8 del giorno seguente.

La condanna a morte fu eseguita mediante fucilazione  la mattina del 10 agosto sulla scalinata della chiesa del convento di San Vito. 

Fraiunco, lo ‘scemo del paese’, rimase incolume perché nessun militare aveva voluto colpirlo in quanto infermo di mente. In ginocchio ringraziò la Madonna di averlo salvato ed implorò la grazia a Bixio che era a cavallo, ma egli ordinò all’ufficiale comandante il plotone di esecuzione  di  ucciderlo con un colpo di pistola in testa. Così fu fatto.

I corpi delle 5 vittime furono lasciati sul posto, come ammonimento, in modo che tutti potessero vedere la fine che avevano fatto i ‘capi della rivolta popolare’, come stabilito nella sentenza.

Prima di lasciare il Real Collegio Capizzi, dove era detenuto, per raggiungere il luogo dell’esecuzione, l’avv. Lombardo sposò ‘in articulo mortis’ (in pericolo di morte imminente) la sua domestica Maria Schillirò, di anni 44, che era vedova. Forse era la sua amante e con il matrimonio ha voluto assegnarle una eredità sufficiente per vivere decentemente.

Bixio informò il Governatore di Catania che “l’ordine e la tranquillità” erano tornati a Bronte. Lamentò però che “in taluni paesi le Autorità costituite mancano di energia … e di coraggio civile…nessuno fa il debito suo…Tutti disertano il loro posto gridando ajuto”. Pertanto, riteneva che non si dovesse più intervenire “a soccorrere i Comuni in disordine, se prima i rispettivi funzionari non provino di stare fermi al loro posto“, cioè a fare il loro dovere ed intervenire per riportare l’ordine. 

Il 12 agosto, Bixio fece affiggere un manifesto con il quale annunciava “Agli abitanti  della Provincia di Catania” che ” Gli assassini ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti” e che “la fucilazione seguì immediata i loro delitti “.

Comunque la Ducea non riportò danni dalla rivolta popolare.

Dopo la dura repressione della rivolta, tutto tornò come prima:  i ‘cappelli’ rimasero al loro posto ed i poveri furono sempre più poveri, come scrisse Verga nella sua novella Libertà del 1882.

L’avv. Nunzio Cesare propose (incredibilmente!) che  la Commissione Mista Eccezionale di Guerra giudicasse anche le decine di persone arrestate, che invece furono processate dalla Corte di Assise di Catania nell’estate 1863. Inoltre, il 15 settembre l’avv. Nunzio Cesare firmò una supplica al Governatore di Catania, sottoscritta da altre  52 persone,  nella quale si affermava (incredibilmente!) che la rivolta popolare era stata sobillata da “alcuni infami ribaldi che parteggiavano per la causa dei Borbone… che devono essere prontamente  e con severità puniti”.  Il Governatore di Catania non accolse la supplica, considerata una vera infamia.  

Al plebiscito per l’unione della Sicilia al Regno di Sardegna, tenutosi tra il 21 ottobre ed il 4 novembre 1860, i Brontesi votarono per il SI alla unanimità. 

Il 23 novembre 1860 il Consiglio Civico di Bronte riferì che il Governatore di Catania aveva ritenuto che i fatti dell’agosto “furono l’effetto  di essersi negata al popolo la divisione delle terre di demanio comunale” e che pertanto i Brontesi arrestati meritavano “grazia ed amnistia“. 

Un centinaio di Brontesi, arrestati perché accusati di aver partecipato alla rivolta, furono processati dalla Corte di Assise di Catania ed il 12 agosto 1863, dopo un anno di dibattimento, condannò all’ergastolo ed ai lavori forzati 25 imputati (compresi  Nicolò, Sebastiano, Pasquale Ciraldo) e 12 a diversi anni di reclusione. Non sappiamo nulla invece del capo famiglia Calogero Ciraldo detto Gasparazzo.  

Al riguardo, sottolineiamo che il Consiglio Civico di Bronte, espressione dei ‘cappelli’ e dei ‘ducali’, chiese che il processo fosse celebrato nel paese dal Consiglio di Guerra, ma il Governatore di Catania si oppose ed il processo fu celebrato dalla Corte di Assise di Catania. Inoltre lo stesso Consiglio si oppose per non fare estendere agli imputati del processo i benefici dell’indulto, promulgato da Garibaldi il  29 ottobre 1860.   Incredibile!

Sulla rivolta popolare di Bronte Giovanni Verga ha scritto la novella Libertà, pubblicata il  18 marzo 1882 sulla rivista Domenica Letteraria e poi inserita nel 1883 nelle Novelle rusticane

I fatti di Bronte sono stati raccontati con dovizia di particolari dallo storico brontese prof. Benedetto Radice nel suo libro Memorie storiche di Bronte (in due volumi pubblicati nel 1928 e nel 1936 e poi ristampati nel 1984 dalla Banca Mutua Popolare di Bronte), sia raccogliendo testimonianze sui tragici fatti della rivolta popolare, sia facendo riferimento agli atti del processo sommario davanti alla Commissione Mista Eccezionale di Guerra nei giorni 7-9 agosto 1860 ed agli atti del processo celebrato nel 1862 e 1863 dalla Corte di Assise di Catania, raccolti in 19 volumi conservati nell’Archivio provinciale di Catania. 

Nel 1963 è stato pubblicato dall’Editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta il libro del prof. Benedetto Radice Nino Bixio a Bronte. 

Nel 1972 il regista Florestano Vancini ha girato il film Bronte cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, con protagonista principale l’attore  Ivo Garrani nei panni dell’avv. Nicolò Lombardo.

Nel 1985 è stato pubblicato dall’editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta, con prefazione di Leonardo Sciascia,  il libro Il processo di Bronte, che riporta gli atti del processo celebrato dalla Commissione Mista Eccezionale di Guerra. 

Il 10 ottobre 1985 il Comune di Bronte ha inaugurato sulla Piazza di San Vito un monumento in memoria delle 5 vittime, opera dello scultore brontese Domenico Girbino. 

Il 17-19 ottobre 1985 si è tenuto a Bronte, presso il Real Collegio Capizzi, il convegno Processo a Bixio, nel corso del quale i relatori hanno messo in evidenza il ruolo svolto da Bixio nella cruenta repressione della rivolta popolare del 2-4 agosto 1860. Si è celebrato anche un processo informale con una Corte formata da eminenti giuristi, che ha emesso la sua decisione dopo oltre un anno, nel marzo 1987,  assolvendo sia Bixio che i rivoltosi, considerando responsabili della dura sentenza di condanna a morte dei 5 imputati solo i componenti della Commissione Mista Eccezionale di Guerra! Gli atti del Processo sono stati pubblicati nel 1991 dall’Editore Giuseppe Maimone  di Catania.

Nel 1989 è stato ripubblicato dalle Edizioni C.u.e.c.m. di Catania il libro contenente l’appassionata arringa dell’avvocato Michele Tenerelli Contessa che difese 5 imputati davanti alla Corte di Assise di Catania nel 1862-63. Il libro, curato dal prof. Gino Longitano dell’Università di Catania, nella introduzione di 22 pagine  ricostruisce il contesto storico, politico e sociale a Bronte nell’agosto 1860 e le cause che hanno portato alla rivolta popolare.   

Anche lo storico Antonino Radice ha ricostruito i fatti di Bronte nel suo lavoro Risorgimento perduto, pubblicato nel 1993 dall’Editore De Martis di Catania.

Il 30 ottobre 2004 si è tenuta a Bronte una Giornata di studio su ‘i fatti di Bronte’  per il 150° anniversario della nascita del prof.  Benedetto Radice.

Nel 2010 il Comune di Bronte ha  fatto apporre sulla parete del Convento di San Vito una lapide con i nomi delle 16 persone uccise durante la rivolta (anche uno dei  rivoltosi fu ucciso da una pallottola vagante) e dei 5 condannati a morte. 

Sempre nel 2010 la strada che partiva dalla Piazza di San Vito e che era intitolata a Bixio fu rinominata Via Libertà. Al riguardo il Sindaco, molto coraggiosamente, dichiarò che ” Bixio non merita una via”. 

Bronte ha invece ‘dimenticato’ l’avv. Lombardo, fatto fucilare da Bixio “per soddisfazione della nazione britannica” (come ha scritto lo storico Benedetto Radice),  che aveva difeso fino alla morte gli interessi del Comune e dei Brontesi.

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