Conclusione

Iniziati tra le speranze del 68, gli anni 70 terminano con l’assassinio di Aldo Moro, con la contestuale, e breve, esperienza del compromesso storico, con la nascita della prospettiva modernizzatrice del socialismo di Bettino Craxi.

La mia generazione diventa riformista, anche se alcuni continuano a pensare di “pigliarci la fabbrica e poi la Città, e far nostra la vita” (Della Mea).

Nel 1980 il Ministro Ossola, proponendo la legge che fa cessare il ripianamento automatico dei bilanci comunali, apre la strada al vero autogoverno delle Città, che, unito alla nascita delle Regioni a statuto ordinario, istituzionalizza l’assetto dei territori voluto dalla Costituzione.

La legislazione sul mercato del lavoro, partendo dalle riforme, incomplete, della formazione professionale e del collocamento, mette a fuoco i temi

  • della transizione dalla scuola al lavoro
  • dell’alternanza tra gli stessi

  • della formazione per competenze sul lavoro e per il lavoro.

I nuovi riformisti prendono questa strada, o quella, parallela, del cambiamento dell’organizzazione del lavoro, o quella, istituzionale, del governo delle nuove autonomie territoriali.

La televisione a colori illumina questo sistema di nuove e concrete speranze.

Non tutte hanno vinto, quasi nessuna quanto speravamo.

Ma il riformista, diceva Filippo Turati, “lavora perché ogni giorno una piccola frazione di mondo diventi migliore”

Amici e compagni “seniores” dell’avventura dell’Incontro, vi riconoscete in questa lettura dei nostri 20/30 anni?

E chi negli anni 70 è nato, prova invidia, o sufficienza, o rammarico, per le nostre esperienze?

Sarei molto grato a chi volesse rispondere.

La mia lettura di sintesi, dal punto di vista della mia storia personale, si riduce ad una sensazione di isolamento.

Io avevo, nel mio angolo visuale, incontrato delle eccellenze, e lavorato in piccoli gruppi che, nei Ministeri nelle fabbriche nel sindacato nei territori , ricostruivano e riformavano la formazione e il mercato del lavoro: nessuno, nella grande politica, nei Vertici sindacali, nella Scuola pubblica ci guardò mai  se non con perplessa benevolenza: non per nulla, la vera grande riforma della Scuola, e dell’Università , fallì miseramente negli anni 70 , e si è trascinata, con architetture insignificanti e instabili, fino ad oggi.

Tutti avevano altro da fare. Gli eredi del 68 scambiavano la rivoluzione con la violenza, o si imbucavano senza progetto nella politica: il più grande spreco di energie intellettuali cui ho, personalmente, assistito in 50 anni di vita attiva.

I comunisti perdevano le grandi fabbriche a favore degli estremisti sindacali, e inseguivano la legittimazione governativa senza progetti.

I socialisti, che un progetto lo avevano, lavoravano contro e non per l’egemonia del fronte riformista.

I sindacati, attaccati al cuore nei santuari industriali, lasciavano senza presidio l’agricoltura, il terziario, il mezzogiorno.

E i democristiani cercavano di occupare tutti i fronti col pluralismo, colpiti nel loro cuore pensante dalla furia omicida delle BR.

Insomma, in Europa i cristalli dell’innovazione formavano strutture solide, e da noi facevano cortei.

Negli anni 70 perdemmo il treno?

Oggi corriamo rischi diversi:

Gli anziani (noi) di arroccarci nella nostra (reale ma obsoleta) superiorità culturale;

I nati durante la nostra giovinezza, di allontanarsi dalla politica (con le loro ragioni) per tuffarsi a capofitto nel workalcoolism;

I giovani, di buttare via tutto, la rivoluzione dei nonni (che non capiscono) e il lavoro dei padri (che non trovano), per vivere in rete una realtà parallela. Eppure forse soltanto loro troveranno idee e algoritmi per fare le riforme che noi cercammo, con una visione davvero adeguata al mondo rimpicciolito e al sapere aumentato. Questo, almeno, è logico sperare.

Cesare Vaciago

Leggi qui la prima puntata de I miei anni 70 di Cesare Vaciago:

La formazione come agente di cambiamento

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