Nel luglio 1938 aveva cominciato ad operare pubblicamente la Direzione Generale per la Demografia e la Razza, definita comunemente “Demorazza”, che era una ripartizione del Ministero dell’Interno competente per lo studio e l’applicazione delle leggi razziste.

Il 17 agosto il Sottosegretario all’Interno vietò agli ebrei di ricoprire cariche pubbliche in Enti dipendenti da tale Ministero. Il 22 agosto iniziarono i lavori per un censimento straordinario degli ebrei residenti in Italia al fine di una separazione amministrativa, partendo dal presupposto che gli ebrei fossero diversi dai connazionali. La Demorazza fu incaricata di tale operazione: vennero inviate a tutti gli ebrei presenti, italiani e stranieri, altrettante schede in cui venivano minuziosamente elencati i quesiti per una completa identificazione.

Il censimento si basava sui registri disponibili sino a quella data presso l’Archivio Centrale dello Stato e in altri archivi.

La registrazione centralizzata, mediante schede personali, fu accompagnata da richieste di informazioni formulate con stupefacente pedanteria dalle stazioni di polizia locali.

Si raccolsero informazioni in merito ai più minuziosi dettagli, che andavano dalla presenza (proibita) di servitù ariana nella dimora domestica alla frequentazione (proibita) di luoghi di villeggiatura o terme, alle liste di editori che avevano pubblicato libri scritti da autori ebrei, al possesso (proibito) di apparecchi radiofonici, macchine fotografiche, animali. Si raccolsero informazioni circa l’accesso ad immobili di proprietà ariana o circa l’inclusione (proibita) negli elenchi del telefono. Assai ridicolo il divieto di pubblicare necrologi sui giornali.

La Demorazza giunse a contare 58.412 ebrei residenti, nati da almeno un genitore ebreo, di cui 48.032 di cittadinanza italiana e il resto di stranieri presenti nel Paese da almeno 6 mesi. Un’ulteriore suddivisione qualificava in 46.656 gli ebrei effettivi (tali perché iscritti ad una Comunità ebraica o dichiaratisi appartenenti all’ebraismo) su una popolazione italiana complessiva di 42.398.489 soggetti. Quindi una percentuale di poco superiore all’1 per mille.

Fino al 1941 i dipendenti del Comune di Torino trascrissero a mano, aggiornandoli di continuo, i dati in tre grandi volumi dalla copertina in color amaranto. Sul frontespizio dei volumi era riportato il titolo generico “Rubrica Denunce appartenenza razza ebraica e discriminazioni”. Risultò un elenco di 4.500 profili biografici su 700 mila abitanti, pari allo 0,65% della popolazione torinese.

Tali volumi sono esposti al pubblico nella Mostra organizzata da Luciana Manzo, Maura Baima e Fulvio Peirone nella sede dell’Archivio Storico della Città di Torino in via Barbaroux 32. Il loro valore storico è importante perché la documentazione della Comunità ebraica torinese è andata in buona parte perduta a causa del bombardamento aereo effettuato dagli Alleati il 20 novembre 1942 (che danneggiò anche la sinagoga).

Questi tre volumi, consultati durante gli anni di guerra dai gerarchi fascisti per allontanare dalla vita civile ogni ebreo, risultarono utilissimi sino al 25 luglio 1943 per destinare i giovani ebrei a lavori stradali in sostituzione del servizio militare e, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 per consentire alla Polizia tedesca di catturare e deportare gli ebrei nei lager della morte.

Negli elenchi del censimento figurano alcuni dei cognomi più famosi della Torino dell’epoca quali lo scrittore Primo Levi, la scienziata Rita Levi Montalcini, il chirurgo fondatore del CTO Simone Teich Alasia, l’avv. Bruno Segre.

Un grafico disegnato a mano con i colori nero e rosa illustra la metodologia, per determinare il grado di purezza ebraica. Puri al 100% gli appartenenti a famiglie ebraiche residenti a Torino già nel 1845. Un documento del 24 febbraio 1939 riportava l’elenco delle aziende torinesi, che venivano escluse dai fornitori della Civica Amministrazione. Ad esempio la Società CEAT, fabbrica di cavi elettrici, appartenente a Virginio Tedeschi.

L’interessante Mostra intitolata “Torino sotto attacco. Dalle leggi razziali alla Liberazione” resterà aperta nel palazzo dell’Archivio Storico di Torino sino al 26 aprile 2019, con ingresso gratuito.

Intanto il 12 aprile il predetto Archivio Storico (via Barbaroux 35) dedicherà, con il titolo La notte degli Archivi – superare le barriere, un ampio programma che comprende, oltre la visita della Mostra, una serie di iniziative: dalle ore 18,30 alle 20 una conferenza (“Se noi taceremo, chi parlerà?”) con l’intervento di Chiara Acciarini, Corrado Borsa, Bruno Segre e Lucio Servadio, dalle 21 alle 21,30 la proiezione del film “I nuovi stabilimenti della Fiat Mirafiori” di Mario Gromo, dalle 21,30 alle 22 l’esecuzione di “musiche proibite” di Felix Mendelsohn, messe al bando dal nazismo perché l’illustre autore era ebreo.

Sempre a cura dei dipendenti dell’Archivio, Baima, Manzo e Peirone, è stato pubblicato il libro “Torino fra leggi razziali e Resistenza civile” che ospita contributi storici di Piero Angela, Fabio Levi, Rosanna Roccia, Bruno Segre, Giorgio Servadio, un’ampia cronaca della persecuzione antisemita a Torino e gli “elenchi della vergogna” cioè l’elenco nominativo degli ebrei di Torino (complete generalità, anche di ascendenti, abitazioni, ecc.), dei misti non ebrei, degli ebrei residenti occasionali. Tutto il mondo ebraico torinese figura negli elenchi del Comune, e fu l’anticamera della loro cattura e deportazione dopo l’8 settembre 1943. Un libro (fuori commercio) ricco dei documenti dell’epoca, dai manifesti alle fotografie. Un’opera degna di essere divulgata per la conoscenza di crudeli e insensate persecuzioni.

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