L’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, da sempre contestata, avrebbe dovuto essere risolta nel 1984 allorché venne firmata da Craxi e dal cardinale Casaroli la revisione del Concordato.

In tale circostanza fu introdotto il principio che “la religione cattolica non era più la religione di Stato”. Quale conseguenza la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche, ove parecchie classi avevano in maggioranza studenti immigrati di religione musulmana e ove alcuni docenti si erano rifiutati di insegnare stante la presenza del crocifisso, unicamente asportato quando l’aula ospitava le cabine elettorali doverosamente estranee al simbolo cristiano e anche democristiano suscettibile di influire sulle scelte degli elettori.

In realtà la revisione del Concordato che Ernesto Rossi aveva definito “l’alleanza fra il manganello e l’aspersorio”, non fu affatto rispettata; le cose restarono immutate sia nel servizio radiotelevisivo (in cui si ignoravano i buddisti, gli induisti, i musulmani, gli agnostici, gli atei), sia nelle pareti delle scuole pubbliche (in cui si ignorava la pluralità delle confessioni religiose).

In seguito al ricorso di un docente punito con una sanzione disciplinare, la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite Civili ha pubblicato la sentenza n. 24414 del 9 settembre 2021 esprimendosi sulla legittimità dell’esposizione del crocifisso nei locali scolastici.

Nel comunicato diffuso della Cassazione si legge che la Corte si è occupata di “esaminare la compatibilità tra l’esposizione del crocifisso… e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente che desidera far lezione senza il simbolo religioso appeso alla parete”.

La Corte “ha affermato che la disposizione del Regolamento degli anni Venti del secolo scorso – che tuttora disciplina la materia mancando una legge del Parlamento – è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione. L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nelle classi e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi. Il docente dissenziente non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso, ma deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione”.

La sentenza infine ha respinto sia la sanzione disciplinare inflitta al professore dissenziente, sia la richiesta di questi al risarcimento dei danni.

I giornali hanno commentato la sentenza da vari punti di vista, cioè “con soddisfazione perché l’imposizione del crocifisso non è compatibile con lo Stato laico”, con un giudizio non favorevole del Vaticano perché non è stato scritto che il crocifisso resterà nelle aule, con un giudizio negativo degli ambienti laicisti perché costituisce tuttora una discriminazione, una provocazione, un atto di belligeranza teologica. Invocare la tradizione culturale del Paese come una identità precisa equivale a dire che non bisogna mai fare una cosa per la prima volta. Quindi, pur muovendo un passo avanti, la sentenza della Corte non è affatto rivoluzionaria, ma è piuttosto un atto di compromesso nel riconoscimento di un pluralismo etnico, religioso, storico.

Quanto dovremo attendere da una futura sentenza o da un provvedimento legislativo la rimozione definitiva del crocifisso?

Bruno Segre

Bruno Segre

Avvocato e giornalista. Fondatore nel 1949 de L'Incontro

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