C’è un libro, uscito pochi mesi prima che la Russia aggredisse l’Ucraina, il cui titolo è “Donbass – La guerra fantasma”, scritto da Sara Reginella e pubblicato da Exorma. Racconta quella che, prima dell’aggressione russa all’Ucraina, era considerata una guerra “a bassa intensità”, da cui il significato di “fantasma” nel titolo. Scoppiata nel 2014, si sta svolgendo nel Donbass, territorio ucraino, al confine con la Russia e abitata da una popolazione per lo più russofila.

Solo ora, in questo mese abbondante di guerra russo-ucraina, ne sentiamo tanto parlare dopo un silenzio assordante. Nonostante le migliaia di morti e di fuggiaschi che aveva provocato e continua ovviamente a provocare. Nel frattempo è accaduto che le due repubbliche presenti nel Donbass, si erano autoproclamate indipendenti. Assumendo la prima il nome, di Repubblica Popolare di Donesk e di Repubblica Popolare di Lugansk la seconda. Si tratta di repubbliche che nessuno ha mai riconosciuto se non la Russia stessa attraverso le dichiarazioni di Putin alla vigilia dell’entrata delle truppe russe in Ucraina.

Un libro militante dal fronte di guerra

Sara Reginella nella vita lavora come psicologa a indirizzo clinico e giuridico e come psicoterapeuta. E’ anche appassionata reporter di guerra, si è recata più volte nel Donbass. Con la telecamera ha ripreso le varie fasi della guerra e i suoi protagonisti. Da questi viaggi è nato il libro che al netto di alcuni tratti retorici, è scritto molto bene. E’ intenso, vivo, ricco, calato nella realtà di quella terra, con l’unico difetto di essere apertamente di parte.

Non ci troviamo cioè davanti a un reportage giornalistico vero e proprio, oggettivo, di fatti separati dalle opinioni, così da offrire al lettore la possibilità di trarre lui delle conclusioni. E’ un libro militante. E non solo filorusso. Addirittura filosovietico, con nostalgie comuniste. Da fare strame dei milioni di morti ammazzati o internati nei gulag, di un popolo che per oltre sessant’anni è stato tenuto su con misure di mera sopravvivenza. In cambio di cosa? Della sottomissione totale della mente al volere delle oligarchie di partito.

E il bello, come se la Storia fosse passata invano, è che questi combattenti filorussi del Donbass, nella loro personale guerra, fanno propri gli slogan della Rivoluzione di ottobre. Come se fosse ancora possibile esaltarla, sapendo il seguito di morti, repressioni, violenze di ogni tipo, campi di internamento che ha prodotto.

Le tante utopie del commissario politico

Qui stiamo cercando di trasformare la società ed elevarla. Abbiamo la possibilità di crearne una in cui qualsiasi persona possa sviluppare il proprio potenziale, senza che il popolo e i lavoratori siano costretti a farsi sfruttare per gli interessi del capitale”. Sono le parole di Aleksej Markov detto Dobryj, che ha la qualifica d’antan di “commissario politico”. Dichiarazioni precise senza ignorare, credo, come anche Lenin, Stalin, Krusciov e Brežnev (ah, i carri armati su Praga) si facessero largo con gli stessi concetti. Salvo poi a realizzare qualcosa che assai poco concedeva alle persone di elevare il proprio potenziale. Anzi, piuttosto, tutto il contrario, e senza interessi da parte di sporchi capitalisti. Solo il raccapricciante potere di partito e del controllo asfissiante di questo sulla popolazione.

Non sfiora neppure il pensiero, e non solo al commissario politico Dobryj, ma anche all’autrice stessa del libro che ne condivide le idee, che in sessant’anni di regime, nel giro cioè di tre generazioni, il sistema comunista non abbia lasciato nella popolazione neppure una scoria degli slogan che proclamava.

Una società governata dagli oligarchi non dal libero mercato

Tant’è che, arrivato al suo crollo, la società comunista, non educata al libero mercato, alla concorrenza, alle regole liberali sulle quali l’occidente, pur con tutti i suoi difetti, ha costruito società enormemente più ricche e sviluppate di quella sovietica, si sono ritrovati di colpo un tipo di economia da rapina. Analoga a quella dei tempi del comunismo, in cui chi aveva più potere, cioè i maggiorenti di partito, i cosiddetti oligarchi, che comandavano allora, si sono accaparrati, senza regolari gare di acquisto fonti di produzione, imprese, riserve e proprietà varie intestandosele. E, soprattutto, seguendo la loro vecchia prassi di continuare ad affamare il popolo, i lavoratori.

Lo racconta bene anche Mark, un altro combattente, che, con l’ingenuità disarmante dell’idealista, rivela del tutto la sua incapacità di entrare nel merito della sostanza. “In realtà noi abbiamo vissuto qualcosa di ancora peggiore negli anni Novanta. Quando in tutti i paesi dell’ex URSS hanno fatto passare privatizzazioni selvagge per riforme. Le proprietà di Stato e le industrie del popolo (sic!) sono state vendute agli oligarchi (appunto!) e agli sciacalli del vostro Occidente democratico. L’economia del paese è collassata (si può immaginare quanto fiorente possa essere stata prima!). I prezzi si sono impennati, la spesa pubblica ridotta all’osso, mentre ci massacravano con le tasse”.

L’inganno del dopo URSS

Negli anni il popolo è stato spogliato di ogni velleità creativa e imprenditoriale. In un sistema produttivo fatto di piani quinquennali fallimentari, basati su paghe da fame e sistemi non incentivanti a livello personale, tenuti in vita dalla rapina di risorse nei vari paesi sottomessi dell’URSS ricchi di materie prima (tipo l’Ucraina). Al povero popolo aspirava, e aspira, a una vita simile a quella in occidente, hanno fatto credere che, con il crollo del regime, quello sopravvenuto fosse il capitalismo a cui guardavano. Era solo una farsa. Più precisamente un mostro esploso in un paese storicamente privo di qualsiasi tradizione e cultura liberale, passato dagli Zar a Stalin agli oligarchi.

Quei combattenti che guardano al comunismo come seranza

Il risultato è stato un capitalismo, sì, ma di relazione, ancora legato a filo doppio all’autarca di turno – leggi Putin – che nel giro di pochi anni si era sostituito ai vari capi del PCUS. Con l’unica variante di una parvenza democratica, elettiva, che aveva preso il posto del monopartitismo comunista. Per il resto un’economia ancora pesantemente manovrata dallo Stato e controlli sulla società ancora in stile sovietico. Ne sa qualcosa Anna Politkovskaja.

I combattenti del Donbass, magari nata dopo la caduta del comunismo, della cui penosa vita umana e sociale non ha memoria, e credendo, in buona fede, di vivere in un sistema economico di democrazia liberale, delusi, guardano al comunismo con speranza. Cioè, come dice sempre il commissario politico Dobryj, nella sua illusione, non a una speranza, bensì “una teoria scientifica, sociale, economica e politica che descrive il possibile e desiderabile sviluppo della società cui si dovrebbe tendere”.

Sessant’anni di esempio non gli sono bastati

Così, accade che nelle proteste di piazza Maidan, la piazza principale di Kiev, vedono non altro che l’affermazione dell’occidente liberale. La stessa Sara Reginella, giovane anch’essa, nata nel 1980, ignara sulla propria pelle di cosa sia stato il comunismo, ancor più perché nata e cresciuta nel benessere di una democrazia occidentale, fa anche sua quella visione. E scrive: “Le proteste connesse al movimento Euromaidan portarono a febbraio 2014 a un violento colpo di stato, perlopiù descritto dai media occidentali come una rivoluzione democratica contro il presunto dittatore ucraino (democraticamente eletto) Viktor Yanukovyč (filorusso, n.d.r.).

In risposta a ciò, ad aprile dello stesso anno, nelle regioni di Donesk e Lugansk, in Donbass, dove le posizioni del movimento Euromaidan non erano condivise e il nuovo governo era considerato illegittimo, avvenne qualcosa di inaspettato.

Una rivoluzione che ha portato indietro gli orologi

Furono occupati gli istituti pubblici e la popolazione fece un salto indietro nel tempo. Esplosero gli orologi e bruciarono i calendari. L’autoproclamazione delle Repubbliche popolari di Donesk e Lugansk sancì il tentativo di ritornare a un’essenza passata, quella del mondo precedente alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. L’Ucraina si spaccò ed ebbe inizio un conflitto che vide le milizie separatiste delle Repubbliche popolari del Donbass scontrarsi contro l’esercito ucraino del nuovo governo di Kiev.

Si era tornati ai tempi della guerra fredda, una ‘nuova’ guerra fredda in cui il ruolo dei ‘cattivi’ veniva assegnato agli abitanti del Donbass, accusati di terrorismo e colpevoli di essersi opposti a quei movimenti filoeuropeisti e filoamericani che, a loro avviso, avrebbero contribuito alla svendita delle proprie terre”.

Quanto sia stato portato indietro il calendario è nei miti e nelle idee che, sullo sfondo sfocato e confuso, di quel paradiso che giudicano essere stata l’Unione Sovietica, circolano tra i combattenti del Donbass. Combattenti privi di quella memoria storica che, più di ogni altra, servirebbe a non ripetere gli errori, e gli orrori, del passato. E invece…

Diego Zandel

Immagine tratta dal profilo twitter di Sara Reginella

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