A gennaio 2021 si è ricordata la fucilazione dei tredici ragazzi della Banda Tom, avvenuta a Casale Monferrato per intervento e volontà di fascisti e tedeschi, uniti in una unica azione violenta. 

Era il 15 gennaio 1945, già in prossimità della Liberazione di aprile. Eppure, il Monferrato visse ancora una pagina crudele e insensata. 

Pochi mesi prima, ancora fascisti e tedeschi uniti, il 12 settembre uccisero, in un’ora soltanto, a Valenza  27 giovani della Banda Lenti, catturati nelle colline; sempre fascisti e tedeschi, il 9 ottobre 1944 compirono l’eccidio di Villadeati, fucilando in piazza il parroco don Camurati e 10 capifamiglia.

Tre eventi collettivi emblematici, disumani.

Ci furono le vittime, troppe vittime; le formazioni partigiane, i convinti antifascisti storici e nuovi, ma vi fu anche un’intera popolazione contadina ed operaia che diede sostegno alla lotta; vi furono giovani e studenti, artigiani ed ex militari ed ex carabinieri che seppero scegliere; vi fu il vescovo Angrisani, numerosi parroci e cattolici che aiutarono il dissenso e il conflitto con i tedeschi occupanti, che mediarono per liberare prigionieri; vi furono ebrei che con coraggio testimoniarono il ruolo di vittime e parteciparono all’esperienza partigiana; si incrociarono culture e espressioni sociali molto differenti, da quelle comuniste e socialiste a quelle cattoliche e liberali, più laiche.

Da una parte c’era una Italia che soffriva per la lunga e ingiusta guerra, per il regime oppressivo e senza libertà alcuna, per il quotidiano ripetersi di soprusi e discriminazioni, per lo stillicidio di mille interventi di propaganda; dall’altra parte c’era l’Italia dell’arroganza, della goliardia nostalgica della RSI, della violenza ancora più becera e feroce sull’uomo, degli attacchi e scorribande fra le colline, delle case bruciate e degli animali prelevati, delle minacce e delle sevizie, dell’uso dei gas e dell’iprite in Africa per annientare i ribelli.

Non vi era alcun terreno comune di conflitto, ma solo una radicale differenza. C’erano coloro che lottavano per nuovi ideali e per una pacifica convivenza, contro coloro che volevano mantenere privilegi e silenziare ogni forma di libera espressione.

Vi erano due modelli di società completamente e drammaticamente alternativi: il primo, solidale e coinvolgente tutti, interprete della libertà, nuovo e in divenire; il secondo, fallito nell’economia e nella politica, nella cultura e riflesso solo verso un passato nostalgico e discriminatorio.

Se la Resistenza è parte fondante della nostra storia, se ha ispirato la Costituzione e fatto nascere la democrazia, non va solo ricordata e evocata. Va utilizzata per capire e migliorare il nostro presente. Non solo quindi deve essere un fenomeno e una parentesi correttamente storicizzati, ma può anche rivelarsi forte motivazione per il pensiero e le scelte di oggi. 

In questi mesi di emergenza sanitaria assistiamo, accanto al corretto atteggiamento di privilegiare il sapere scientifico di una parte di decisori pubblici, ad un subdolo e preoccupante impegno propagandistico di altri che vogliono catturare il consenso irrazionale e populista. Il tutto per battagliare contro, per creare sfiducia, per demolire ciò che con sacrifici di tutti si sta costruendo.

Pur di riempire una piazza, si fa violenza alla ragione; si allestiscono team di esperti di propaganda  mediatica, distribuendo capziose fakenews sempre e ovunque; ad arte si fanno sorgere bisogni e poi si deludono, si inventano streghe per poi combatterle, tutto viene visto in modo manicheo; alla gente si propongono belletti e luminarie urbane come effetti di buon governo. I problemi autentici sono ben altri, il cittadino vuole risposte vere e pertinenti, non illusioni.

Proprio nell’emergenza, alcuni settori vorrebbero far trionfare il negazionismo e il dominio dell’immagine sulla sostanza,  omologare tutti in un indistinto insieme di demotivazione e appiattimento al ribasso.

Attenzione, la propaganda incontrollata e pervasiva fu l’arma del fascismo di allora e può diventare l’arma di un fascismo soft di oggi; l’emergenza sanitaria e quella economica di oggi, non si vincono con le chiamate di piazza o l’ottundimento da social, ma con le decisioni puntuali e congrue di una classe dirigente.

L’informazione ha oggi un ruolo determinante; è chiamata a diffondere conoscenza e non solo emozioni o tuttologia. La libertà si ha quando anche i media aiutano a riflettere e non acconsentono solo ai poteri forti, economici e lobbistici, e condizionanti della pubblicità o degli assetti proprietari.

Il cittadino deve essere allertato per questo rischio.

La propaganda, poi, sta aggredendo anche la storia resistenziale. Accanto alle ricerche rigorose e documentate, si stanno allestendo rivendicazioni per assiomi e per tesi preconcette, si stanno erodendo le certezze fattuali e storiche con pseudo verità costruite su briciole e falsificazioni della storia.

Solo due esempi: contrapporre e bilanciare le violenze compiute dal fascismo e la RSI con le violenze compiute i partigiani di Tito con i massacri delle foibe, parlando di oscurantismo della sinistra; minimizzare le scelte drammatiche compiute dal regime nello scegliere la guerra, l’alleanza con Hitler, le persecuzioni razziali e il folle miraggio dell’espansione coloniale.

Tutta la storiografia, anche quella ispirata in modo progressista, ha sempre esplorato e ricostruito le  vicende delle foibe e degli eventi istriani e triestini, contestualizzando i fatti e fornendo la corretta collocazione nella storia italiana. Si pensi agli studi di Raoul Pupo, di Roberto Spazzali, di Eric Gobetti, di Gianni Oliva e molti altri.

Dopo l’istituzione del “Giorno del ricordo” nel 2004, molti docenti, storici e giornalisti hanno dedicato numerose ore di lezione nelle varie scuole, convegni e dibattiti per promuovere la conoscenza sui massacri delle foibe. Hanno condiviso molte iniziative per il recupero storico dei fatti che caratterizzarono il confine Nord-Est dell’Italia del dopoguerra. 

In Italia e anche in Piemonte, vi è ampia cultura sul tema; tutti condannano le violenze, da quelle epocali e imperdonabili a quelle più episodiche, ma altrettanto gravi.

Difronte ai tentativi di compensare tutto, mettendo sul piatto della bilancia fatti eterogenei e cercando di pareggiare in un silenzio complessivo, si deve rivendicare la giustezza invece della nostra storia collettiva che grazie alla Resistenza ci ha portati a vivere una fase di democrazia anche per chi non condivise il coraggio della lotta di Liberazione.Il modello fascista della propaganda e non della cultura, dei privilegi e non del merito, dell’arroganza e non della solidarietà, del populismo incolto e non della partecipazione attiva, è stato sconfitto dalla storia. 

Sergio Favretto

Sergio Favretto

Avvocato e Giudice onorario presso il Tribunale di Torino

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