La lettura di un interessante volume su “Pietro il Grande”, scritto da Lindsey Hughes, una della più affermate studiose della Storia Russa, docente alla University College di Londra, è il modo migliore per ripercorrere la vita e le opere di questo zar, ancor oggi il più importante e celebrato, a distanza di trecento anni.

Una vita sregolata

Nato nel 1672 e morto nel 1725, condusse una vita sregolata e forse causa della sua morte in età relativamente giovane, ma riuscì in pochi anni di regno ad introdurre una serie di riforme che rivoltarono letteralmente la vita politica, sociale, religiosa ed economica di questo grande Paese.

Creatore della flotta navale russa

Attratto dal mare fino a diventare il creatore di una flotta russa degna di questo nome, nei suoi numerosi viaggi in occidente fu attento osservatore degli usi e dei costumi di questi paesi e del loro tenore di vita, delle forme politiche, della tecnologia e della forza militare: tornato in patria si adoperò in ogni modo per svecchiare la Russia dell’epoca, lottando con forza contro lo strapotere dei religiosi e l’estrema povertà dei contadini, la gran massa della popolazione.

Ideatore di San Pietroburgo

La sua opera forse più visionaria e che è rimasta, con le sue vestigia storiche, a dimostrazione della sua grandezza, fu la costruzione dal nulla di una nuova città, lontana da Mosca e dalla corte piena di intrighi, ossia San Pietroburgo. Egli stesso visse per vario tempo in una casupola di legno vicino all’enorme cantiere di questa nuova città, nel quale lavorarono architetti italiani che la resero unica ed affascinante ancor oggi.

…ma fu anche feroce e assassino

La Hugues, con dovizia di particolari e documenti, ci descrive anche un altro Zar, feroce e forse addirittura assassino del figlio, che dimostra come la vecchia Russia, con un sovrano dal potere assoluto, covasse ancora sotto le ceneri di un personaggio certo straordinario ed illuminato. Numerose sue riforme non gli sopravvissero a lungo, mentre la Chiesa rimase da allora strettamente subordinata allo Stato e senza un patriarca sino al 1917, per poi subire ancora più dure repressioni con l’avvento dei bolscevichi e di Stalin.

Fece della grande Russia una potenza europea

Infine il risultato più importante della sua vita fu quello di aver fatto della Russia, praticamente dal nulla, una grande potenza, considerata e talora temuta da tutti i paesi limitrofi e dalle potenze di allora, Francia, Spagna ed Inghilterra. Ciò determinò, peraltro, secondo vari storici, la necessità di dedicare la maggior parte del bilancio pubblico alla difesa dai nemici stranieri e da quelli interni, a causa dell’espansione stessa dell’impero e della necessità di controllo di aree lontane, con rilevanti conseguenze negative: anche in tempo di pace erano necessari costi notevolissimi, sopportati dagli strati più poveri della popolazione, per mantenere un forte esercito ed una efficiente flotta, che furono “considerati come elementi dell’orgoglio nazionale, glorificati dalla propaganda ufficiale e mostrati in occasione di cerimonie”, tanto è vero che “tutti gli imperatori russi, da Pietro il Grande in poi ed anche le zarine, si presentarono in primo luogo come soldati”, a difesa della “sacra madre Russia”.

Russi cittadini del mondo…

Il primo grande storico russo, Nikolaj Karamzin, da un lato riconobbe che la Russia aveva avuto uno “svecchiamento” straordinario in pochissimi anni. Dall’altro, scrisse: ”A causa di Pietro diventammo cittadini del mondo ma cessammo, per certi versi, di essere cittadini russi”.

E’ rimasto l’unico Zar venerato dal suo popolo

Sta di fatto che ancor oggi, forse, Pietro il Grande è l’unico zar che sia ancora venerato ed amato dal suo popolo, tanto è vero che a Mosca, sulla piccola isola che costeggia il Cremlino, è stato di recente eretto un enorme monumento, in occasione dei trecento anni della flotta russa, che lo raffigura in piedi, dritto su un galeone, con la mano sul timone, quasi a segnare, ancora dopo tre secoli, la rotta della Russia: verso occidente o verso oriente? Ai posteri l’ardua sentenza.

Alessandro Re

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