Questa rivista è nata e si è sempre ispirata ai principi e ai valori del socialismo liberale di Carlo Rosselli, il giornalista e storico antifascista ucciso da sicari dell’Ovra, nel 1937 in Francia, dove si era rifugiato da esule.

Rosselli fu uno dei teorici del socialismo riformista non marxista, ispirato al laburismo di matrice britannica.

Nel complesso e drammatico ‘900, stretto tra lo storico liberalismo ottocentesco e l’onda lunga del socialismo di stampo marxista, in parte confluito nella rivoluzione russa del 1917, Rosselli cercò una sintesi dei due modelli di configurazione di una comunità nazionale e sovranazionale.

Nel perimetro delle libertà e dei diritti tipici dell’ideologia liberale, Rosselli ricavò uno spazio di principi e valori di matrice socialista con l’intento di contaminare e condizionare il bruto cinismo delle regole del libero mercato e l’esasperato individualismo dei liberali. Principi e valori che, come detto, facevano parte della cassetta degli attrezzi dell’ideologia socialista riformista, non di quella massimalista.

L’ideologia liberale aveva tra i suoi riferimenti principali il libero mercato, il libero commercio, la libertà di parola, le frontiere aperte, uno Stato minimo, l’individualismo radicale, le libertà civili, la tolleranza religiosa, i diritti delle minoranze.

Questa ricetta per una coesistenza pacifica e rispettosa dei diritti altrui, veniva incorporata e attenuata dal socialista Rosselli che, nel suo libro “Socialismo Liberale” scriveva “Il metodo liberale è un complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare  la pacifica convivenza dei cittadini… a contenere le lotte… entro limiti tollerabili… a consentire la successione al potere dei vari partiti”.

In questo modo il socialismo liberale, nella visione di Rosselli, incorporava la democrazia liberale.

Garantiva l’esistenza di diversi partiti e offriva a ciascun cittadino la possibilità di avere successo.

Il suo fondamento, come ha scritto Nadia Urbinati nella sua introduzione all’edizione americana di “Socialismo Liberale”, era “la fedeltà a un quadro che presuppone una società antagonista e pluralista”.

Il binomio Giustizia (anche e soprattutto quella sociale) e Libertà diventava la cifra e il nome del movimento che avrebbe poi dato vita negli anni ’40 al Partito d’Azione.

La rivista L’Incontro, fondata da Bruno Segre nel 1949, trova la sua ragion d’essere e la sua origine proprio nel dopoguerra, in questo quadro politico e filosofico di riferimento.

Perché questa lunga e forse ridondante introduzione?

Perché il dibattito politico italiano, e non solo, si è animato in questi ultimi tempi proprio su questa tematica.

A dare il via al confronto è stato Massimo Cacciari che su Repubblica ha lamentato la latitanza di un ceto medio, liberal socialista, nella attuale dinamica della nostra politica nazionale.

Il ceto medio, l’attore perduto: il ruolo del socialismo liberale nella crisi della democrazia” è stato il titolo del contributo del filosofo, ex sindaco di Venezia.

Cosa significa, ancora oggi, la formula Socialismo Liberale?

Ha ancora un senso? si chiede Cacciari.

Storicamente, socialismo e democrazia liberale non formano affatto una coppia di pacifici conviventi. L’espressione rosselliana rappresenta, piuttosto, una provocazione culturale e politica, e occorre esserne ben consapevoli. Il movimento socialista nasce da istanze di radicale critica della democrazia liberale, in quanto considerata puramente formale, amministrazione e conservazione di intollerabili disuguaglianze di fatto… Nei suoi inizi, il movimento socialista valuta il “parlamentarismo” come una via per il superamento della “democrazia borghese”… La formula “Socialismo Liberale” vuol dire dunque – scrive Cacciari – non una mediazione tra socialismo e liberalismo, bensì, piuttosto, il superamento del loro originario significato”.

Secondo Cacciari entrambe le ideologie avrebbero dovuto fare un passo indietro: il socialismo diventare un po’ meno socialista e il liberalismo un po’ meno liberale.

Solo se capaci entrambi – continua Cacciari – di una interna metamorfosi, essi potranno dar vita ad un equilibrio politico effettivamente nuovo”.

Il socialismo dovrebbe fare autocritica su un punto centrale, quello che attribuisce allo Stato il ruolo assolutamente fondamentale di programmazione e governo della vita economica per combattere disuguaglianze di classe e le ingiustizie sociali.

Il pensiero liberale, di contro, dovrebbe fare autocritica sul principio che è il Mercato a segnare le regole del gioco. Che la sua razionalità e lo scambio economico possano ergersi a modello delle relazioni sociali tra gli individui di una certa comunità, limitando prima ed esautorando poi la necessità dell’intervento pubblico, dello Stato.

Il socialismo e il liberalismo si presentano – sottolinea Cacciari – proprio nel loro convergente dissidio, come il frutto più maturo di una grande tradizione culturale borghese, la quale trova le proprie radici in un certo illuminismo, in un’etica del lavoro, fondato sulla rinuncia a ogni manifestazione egoistica del proprio interesse e massimamente attento agli effetti generali di ogni azione o impresa”.

Insomma, il modello tanto evocato e rimpianto a cui si è ispirato Adriano Olivetti nella sua esperienza di imprenditore visionario.

È una cultura del lavoro, della responsabilità e dei sacrifici, dei diritti e dei doveri.

Secondo Cacciari questa prospettiva politica è drammaticamente opposta alle tendenze che si sono affermate nel corso dell’ultimo trentennio in Italia ma anche nel mondo: “Gli attuali parlamenti sono lo specchio clamoroso della sua scomparsa”.

Lo stimolo di Cacciari si conclude con questa riflessione: “Perché si possa ridare un senso al socialismo liberale, occorre dunque superare la stretta, passare per la cruna dell’ago – e cioè invertire la impetuosa corrente della proletarizzazione del ceto medio… La crisi che attraversiamo ha accelerato drammaticamente questa tendenza. I provvedimenti che si prenderanno in autunno suoneranno, temo, l’ultimo appello”.

Gli ha risposto, sulle colonne del quotidiano La Verità lo scrittore giornalista Marcello Veneziani, con una interessante esplorazione del fenomeno vista da destra, diversa quindi ma per certi versi complementare alla tesi di Cacciari.

Una versione non antagonista, come ci si potrebbe aspettare da lui, ma una articolata e diversa opinione: non sui principi, ma sulla loro concretizzazione.

Nella sostanza Veneziani sottolinea l’importanza storica del Socialismo Liberale. “Sarebbe facile ironizzare – scrive Veneziani – sulla formula politica riesumata. Socialismo e liberalismo appartengono al mondo ottocentesco, poi attraversano, con alterna fortuna, il ‘900”

Sono però categorie politiche di un mondo antico, difficilmente ripetibili.

Secondo Veneziani “Il Socialismo coniugato con la democrazia liberale si chiamò Social-Democrazia o Laburismo. Fu quello l’unico socialismo che si fece maggioranza di governo, soprattutto nel nord Europa”.

Veneziani introduce poi una interessante opzione strategica: “Al Socialismo Liberale dovrebbe oggi opporsi qualcosa che somigli ad una rivoluzione conservatrice, in grado cioè di sposare tradizione e socialità, aristocrazia e popolo, spiritualismo politico e realismo territoriale… Cultura delle decisioni, della leadership responsabile, del primato della politica sull’economia, della supremazia degli interessi generali su quelli oligarchici… una democrazia del genere, fondata sull’antagonismo tra un socialismo liberale e una destra democratica, sarebbe veramente matura, darebbe vita ad un bipolarismo non puramente demagogico ed opportunistico… faremmo un salto in avanti anche rispetto alla deriva miserabile dell’anti-politica, lo spettacolo indecente dell’ignoranza grillina aggravata dal trasformismo che li guida”.

Le conclusioni di Veneziani sono però molto pessimiste. Per dare le gambe a questa ipotesi di bipolarismo virtuoso, ci vorrebbe un personale politico adeguato, cosa che oggi secondo Veneziani non esiste.

Il dramma è che non ci può essere continuità di alcun genere tra idee e uomini, tra culture politiche e movimenti … ; non c’è visione, non c’è motivazione, non c’è selezione del personale politico. Il discorso si ferma alle idee”.

E allora: “Alla fine ciascuno ripiega sul minimo immediato e, a destra, qualcuno vi aggiunge l’umile pratica del realismo: vedere in faccia la realtà, tentare il male minore o arginare il male maggiore, curare le cose urgenti ed immediate, dar voce al sentire popolare”.

Ci aiuta a riordinare la materia e a provare a ritrovare i nostri personali e ovviamente discrezionali punti cardinali su questa tematica cruciale per il futuro delle nostre comunità, il filosofo americano Michael Walzer, 85 anni, professore emerito all’Institute for Advanced Study di Princeton.

Walzer ha scritto un saggio proprio su questi temi dal titolo “Dissent”.

L’aggettivo liberale significa che il socialismo può essere raggiunto solo con il consenso del popolo; per farlo dobbiamo lottare democraticamente. La lotta è già stata lunga e, lungo la strada, ci sono stati e ci saranno compromessi con gli avversari, di cui dobbiamo rispettare i diritti. Liberale significa anche che ci sarà spazio per i socialisti, per dissentire tra loro sulla strategia e la tattica della lotta e sui suoi obiettivi a breve e lungo termine. Quindi ci saranno molti socialismi e dovremo aspettarci di trovare partiti, sindacati e raggruppamenti ideologici di vario tipo in competizione per i candidati e per avere influenza all’interno di un quadro liberal-democratico. Come sosteneva Rosselli, la competizione sarà continua perché, alla fine, liberale significa che il socialismo non è un ideale statico ed astratto che potrà un giorno compiutamente realizzarsi”.

Come?

Trovando, a mio avviso, una virtuosa combinazione, non al ribasso, con un liberalismo che, a sua volta, abbia attenuato la sua fede illimitata nelle regole del Mercato.

Su queste colonne, il collega e amico, Nicolò Ferraris, ha contribuito a sviscerare ulteriormente la questione, fornendoci, dal suo angolo di visione, una lettura attualizzata dei principi rosselliani, di cui abbiamo una grande nostalgia e un tremendo bisogno di recupero.

Bruno Segre, non mi stancherò mai di scriverlo, ci ha insegnato a “Non arrenderci mai” e noi, proprio per questo insegnamento, continueremo a batterci dialetticamente per riportare ai primi posti dell’agenda politica nazionale un aggiornamento innovativo dei valori individuati nell’opera di Carlo Rosselli, il “Socialismo Liberale”.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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