L’Italia a livello mondiale è collocata al 78° posto per quanto riguarda il gender gap e al 118° per la “partecipazione ed opportunità economiche”. Un dato tristemente noto e assai sconfortante.

Così come sono sconfortanti le sue cause, ravvisabili nella mancanza di cultura di genere che provoca bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, divario nei salari e segregazione orizzontale e verticale.

Una disparità che sembra in totale violazione del primo comma dell’art.37 della Costituzione. L’articolo vieta ogni discriminazione stabilendo che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”.

Tuttavia è proprio la Costituzione che consente la discriminazione ponendo sulle spalle delle donne quel peso che spesso impedisce loro di accedere al lavoro. L’articolo 37, al secondo comma, infatti recita : “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare” (della donna)”.

Le parole sono fondamentali

Le parole sono importanti. Nella Costituzione pongono le basi dei principi e valori ai quali si deve ispirare lo Stato. Di “adempimento” si parla in relazione a un obbligo e la funzione essenziale – che viene dunque prima di ogni altra – per una donna sarebbe quella familiare. Ne consegue che le donne hanno gli stessi diritto dell’uomo. Ma in un contesto lavorativo che consenta loro di svolgere il primario dovere di accudimento familiare.

Quest’ultimo termine non fa che aggravare quel peso che rende così difficile alle donne di esprimere il proprio potenziale lavorativo. Nella funzione familiare rientra la maternità ma anche la cura della casa, dei familiari non autosufficienti, degli anziani…

Approvando l’art. 37 i Padri e le Madri costituenti (dimentichiamo sempre che c’erano anche le donne a quel glorioso tavolo) vollero inserire precise garanzie per proteggere le categorie più deboli, le donne e i minori.

Con riguardo alle donne l’onorevole Aldo Moro osservò che “il riferimento alla essenzialità della missione familiare della donna è un avviamento necessario e un chiarimento per il futuro legislatore, perché esso, nel disciplinare l’attività della donna nell’ambito della vita sociale del lavoro, tenga presenti i compiti che ne caratterizzano in modo peculiare la vita”.

Strumenti di sviluppo e vera emancipazione

Si era nel 1947 e nel contesto sociale del tempo la norma era sicuramente rivoluzionaria. Ma dopo 73 anni l’idea che il genere femminile meriti protezione per consentirle di contemperare vita sociale e familiare ha perso ogni significato. Le donne non devono essere protette ma avere strumenti di sviluppo e vera emancipazione. E uguali opportunità.

Quando il governo Monti riformò l’accesso temporale alla pensione delle donne equiparandolo a quello degli uomini, partecipai ad un convegno con la ministra Fornero. La ministra non ebbe alcuna remora ad ammettere che tale allungamento avrebbe comportato un problema di welfare. Perché le donne che lasciano il lavoro spesso si dedicano alla cura dei nipoti e dei genitori anziani. “Ma– disse- se vogliamo avere gli stessi diritti dobbiamo avere anche gli stessi doveri”.

Al di là del fatto che quel 78° posto non ci pone all’avanguardia nel riconoscimento dei diritti – e che infatti era data per scontata (dalla ministra del lavoro con delega alle pari opportunità!) – il principio è corretto per tutti.

Le opportunità della Costituzione

Riconosciamo dunque agli uomini il diritto/dovere di condividere le responsabilità della cura domestica prevedendo “per cittadini e cittadine condizioni di lavoro che consentano l’adempimento della essenziale funzione familiare”.

In questo modo daremo piena applicazione al secondo comma dell’art.3 della Costituzione, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto libertà e uguaglianza. Renderemo omaggio alla più giovane delle madri Costituenti, Teresa Mattei, che volle fosse aggiunta quell’espressione “di fatto” che sola consente lo scarto dalla parità formale a quella sostanziale.

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