La situazione politica nel primo dopoguerra

Il 26 ottobre 1913 si svolgono le elezioni politiche, che sono le prime con il suffragio universale maschile voluto dal presidente del Consiglio Giovanni Giolitti con la legge del 25 maggio 1912. Le vincono i liberali giolittiani con il 48% dei voti grazie al Patto Gentiloni, che ha fatto convergere sul Partito Liberale voti dei cattolici che prima non votavano per decisione del pontefice dopo la perdita del potere temporale con la “liberazione di Roma” il 20 settembre 1870. 

Invece, nel Comune di San Giovanni Rotondo (Foggia) alle elezioni politiche vince il Partito Socialista che ottiene il 50% dei voti, grazie alla grande campagna di sensibilizzazione politica condotta dagli esponenti socialisti locali ed all’allargamento del suffragio elettorale maschile.

Alle elezioni amministrative del 1914 il Partito Socialista ottiene un plebiscito: è eletto sindaco il medico socialista Angelo Maria Merla, che succede al liberale Teodorico Lecce, un grande proprietario terriero, che vive prevalentemente a Napoli e quindi non si interessa di risolvere i gravi problemi sociali della popolazione, in grandissima parte analfabeta e molto povera, e del territorio, con una economia basata prevalentemente sulla coltivazione cerealicola e sulla pastorizia. Il potere non solo economico, ma anche politico, era fino ad allora saldamente nelle mani dei grandi proprietari terrieri. Nel 1914 è anche eletto nel paese come consigliere provinciale il socialista Latufara. 

Negli anni 1919 e 1920 c’è un grande fermento politico, in conseguenza della grave crisi economica conseguente alla smobilitazione dei militari impegnati nella Grande Guerra, alla riconversione dell’industria bellica ed all’inflazione.

Nelle fabbriche del triangolo industriale del Nord (Torino, Milano e Genova) si costituiscono i Consigli operai che chiedono migliori condizioni di lavoro ed aumenti salariali, occupando le fabbriche, che sono gestite dai Consigli operai, sul modello dei Soviet che hanno preso il potere in Russia con la rivoluzione bolscevica del 7 novembre 1917. 

Anche i contadini si mobilitano nelle Leghe e con il sostegno del Partito Socialista occupano, soprattutto al Sud, i latifondi incolti. 

Il 23 marzo 1919, a Milano, Benito Mussolini, espulso nel 1914 dal Partito Socialista in quanto diventato strenuo sostenitore della partecipazione del nostro Paese nella Prima Guerra mondiale, fonda il Fascio di combattimento, finanziato dagli industriali e dai proprietari terrieri. In molti comuni si costituiscono sezioni di ex combattenti e mutilati della Grande Guerra, che attuano manifestazioni, anche violente, soprattutto contro le sedi del Partito Socialista, delle Camere del lavoro e delle Leghe contadine.  

Questa situazione politica allarma molto non solo la classe imprenditoriale industriale ed agricola, ma anche la borghesia ed il ceto medio che si stanno affermando. Tutti temono lo scoppio di una rivoluzione sul modello di quella bolscevica che si è affermata in Russia. Guardano quindi con simpatia al nuovo movimento costituito dagli ex combattenti e dai fascisti, ai quali danno il sostegno economico e politico, e che quindi sempre più spesso assaltano e devastano le sedi delle associazioni di ispirazione socialista.   

L’8 maggio 1919 a San Giovanni Rotondo si svolge una manifestazione organizzata dagli ex combattenti, che porta alla caduta della Giunta comunale guidata dal socialista Angelo Maria Merla. Arriva quindi come commissario prefettizio Carmelo Romano, un vice commissario di P.S. più volte “richiamato” per la sua  condotta morale e sul quale pende un procedimento penale per violenza carnale, e che è un acceso antisocialista. Anche a San Marco in Lamis, nel luglio 1919, la giunta socialista cade in seguito ad una manifestazione degli ex combattenti. Lo stesso accade nel dicembre a Rignano Garganico ed Ischitella.   

Il clima politico si infiamma ancora di più dopo il grande successo socialista alle elezioni politiche del 16 novembre 1919, le prime con il sistema proporzionale alla Camera dei Deputati  (il Senato è di nomina regia) introdotto con la legge 15 agosto 1919 n.401, che sono vinte dal Partito Socialista con il 32% dei voti, ottenendo 156 seggi (triplicando i 52 precedenti). Il Partito Popolare Italiano ottiene il 20 % dei voti e 100 seggi e la coalizione Liberali e Radicali il 16% con 96 seggi. 

A San Giovanni Rotondo i socialisti ottengono il 40% dei voti, il Partito Popolare il 30% ed il Partito Liberale crolla, ricevendo poche decine di voti. I socialisti eleggono nella Capitanata (Provincia di Foggia) tre deputati sui sei previsti: Maiolo, Mucci e Maitilasso.    

L’11 gennaio 1920 si svolge a San Giovanni Rotondo un grande comizio socialista, con l’intervento dell’onorevole Mucci, al termine del quale gli oltre 500 partecipanti formano un corteo spontaneo, non autorizzato, che attraversa il paese inveendo contro il commissario prefettizio Carmelo Romano, accusato di essere ferocemente antisocialista (parteciperà il 28 ottobre 1922 alla “marcia su Roma” dei fascisti, in seguito alla quale Mussolini diventa presidente del Consiglio). 

Un’altra imponente manifestazione socialista si svolge il 26 gennaio 1920 nel corso della quale si verificano duri scontri con gli ex combattenti, che sono molto attivi nel paese, avendo aperto una sezione in un locale al piano terra del Comune ed al cui interno ci sono anche elementi fascisti. Ci sono vari feriti e quindi il commissario prefettizio Romano è costretto a dimettersi. Per ristabilire l’ordine è inviato il sottoprefetto di San Severo con un reparto di carabinieri, che sono accolti da una fitta sassaiola. Sono arrestate nove persone. 

Il 5 febbraio arriva nel paese l’onorevole Maitilasso che accerta la responsabilità del commissario prefettizio Romano, che ha anche sparato con la pistola contro i socialisti.    

Le elezioni comunali del 3 ottobre 1920

Difficile è ancora il clima politico nel quale si svolgono, nei mesi di ottobre e novembre 1920, le prime elezioni amministrative dopo la fine della Grande Guerra, che riguardano tutti i Comuni e le Province del vecchio territorio nazionale, essendo tutti gli Enti locali andati in prorogatio a causa del prolungarsi del conflitto e dell’ulteriore rinvio dovuto alla approvazione della legge che non permette di votare nello stesso anno per le elezioni amministrative e per quelle politiche. 

Non sono invece interessate dalle elezioni amministrative le Regioni conquistate con la Grande Guerra (Trentino-Alto Adige, Friuli orientale e Venezia Giulia, Istria e Dalmazia), con il Trattato di pace di Parigi del 10 settembre 1919.

Il sistema elettorale maggioritario favorisce la competizione elettorale tra i Partiti maggiori: il Partito Liberale; il Partito Socialista; il Partito Popolare Italiano.

Nei Comuni dove più forte è il Partito socialista, che ha avuto un notevole successo alle elezioni politiche del 1919, si formano Blocchi Nazionali (una coalizione, creata appositamente per le amministrative e poi riproposta alle elezioni politiche del 1921, che comprende liberali, popolari, nazionalisti, ex combattenti e fascisti). 

La maggior parte dei 6647 Comuni sono conquistati dai Liberali, che vincono in 418 Comuni mentre i Socialisti ne conquistano 1915 ed i Popolari 1314. Però i Socialisti vincononelle grandi aree urbane più industrializzate e popolose.

Nell’ottobre 1920 il Comune di San Giovanni Rotondo è retto dal nuovo commissario prefettizio, il vice commissario di P. S. Alfredo Conte, insediatosi  a maggio in sostituzione di Ernesto Rispoli, succeduto a Romano, rimasto in carica per pochi mesi per motivi di salute.

Per il timore di una nuova vittoria socialista si costituisce un blocco conservatore, chiamato dai Socialisti ‘blocco d’ordine’, formato dai Popolari (che hanno concesso il loro simbolo per le elezioni), Liberali, ex combattenti e fascisti (in quel periodo ancora pochi).

Prima delle elezioni ci sono numerosi episodi di intimidazione e di violenza nei confronti dei Socialisti da parte degli ex combattenti. 

Le elezioni comunali e provinciali si svolgono, senza incidenti, domenica 3 ottobre 1920. L’affluenza alle urne è del 60%. In serata è reso noto il risultato delle elezioni provinciali, vinte dal socialista Luigi Di Maggio, eletto con 1064 voti contro gli 819 ottenuti dal candidato del Partito Popolare. La sera i socialisti organizzano un corteo per festeggiare la vittoria.

La mattina del 4 ottobre è reso noto il risultato delle elezioni comunali, che sono vinte dai socialisti con 1078 voti contro gli 850 del blocco conservatore, sotto il simbolo del Partito Popolare. Nel pomeriggio si svolge una imponente manifestazione socialista, con oltre mille partecipanti, per festeggiare la elezione a sindaco del giovane avvocato Luigi Tamburrano, che parla insieme al neo consigliere provinciale Luigi Di maggio in un comizio in piazza degli Olmi.

I Partiti e movimenti riuniti nel blocco d’ordine non accettano la sconfitta. Ritengono che sono stati commessi brogli elettorali ed accusano di questo il segretario comunale. Decidono quindi di impedire l’insediamento della Giunta comunale diretta dal socialista Luigi Tamburrano.

I dirigenti socialisti concordano di insediare la Giunta il 14 ottobre e manifestano l’intenzione di esporre la bandiera rossa sul balcone principale del Palazzo del Comune, come è consuetudine fare da parte dei socialisti quando si insediano nei Comuni in cui hanno vinto le elezioni.

Il maresciallo dei Carabinieri Gigante, che è un antisocialista, temendo incidenti, come è accaduto il 26  gennaio, chiede rinforzi alla Tenenza di San Severo. Lo stesso chiede anche il segretario della sezione del Partito Popolare, il sacerdote don Giovanni Miscio (anche il segretario nazionale del Partito Popolare è un sacerdote, don Luigi Sturzo). 

Anche il prefetto di Foggia, Franzè, è contrario alla esposizione della bandiera rossa dal Comune e quindi invia al Commissario prefettizio Conte un telegramma invitandolo ad impedire “nei modi che ravviserà opportuni”, il tentativo di esporre la bandiera rossa da parte dei socialisti.  

Nei giorni precedenti l’insediamento del nuovo Consiglio comunale e della Giunta arrivano nel paese 40 carabinieri e 80 soldati del 14 reggimento di fanteria, agli ordini del Commissario di Pubblica Sicurezza Bevere, anche lui antisocialista, e che era stato inviato 10 giorni prima a riportare l’ordine a San Marco in Lamis, dove hanno vinto i socialisti.   

Arrivato nel paese, organizza il servizio d’ordine per il 14 ottobre, finalizzato essenzialmente ad impedire ai socialisti di esporre la bandiera rossa sul balcone del Comune, che egli considera “una offesa alla patria ed alla bandiera nazionale”. Dispone quindi che 15 carabinieri siano all’interno dell’edificio, agli ordini del tenente Marena, e che altrettanti, con alcuni soldati, agli ordini del tenente Buccolini, siano fuori del palazzo comunale e nella piazza dei Martiri (così chiamata in ricordo dei 24 filo garibaldini, trucidati dalla reazione borbonica il 21 ottobre 1860). Lascia invece il grosso dei soldati fuori del paese, vicino al convento di S. Onofrio, dove sono acquartierati. 

L’eccidio con 14 vittime e 80 feriti

La mattina del 14 ottobre 1920, giorno dell’insediamento del Consiglio comunale e della Giunta, i Socialisti, per festeggiare la vittoria elettorale, organizzano un corteo, al quale partecipano circa 600 persone, compresi donne e ragazzi, che percorrono il paese per due volte sventolando bandiere rosse e cantando inni socialisti, accompagnati alla banda musicale del vicino Comune di San Marco in Lamis. Sembra una giornata di festa. È anche una bella mattina con il sole. Intanto, i sacerdoti del paese, compreso l’arciprete, don Giuseppe Prencipe, e don Giovanni Miscio, segretario della sezione del Partito Popolare, lasciano il paese per timore di incidenti e vanno a Foggia.

Invece, gli ex combattenti si sono organizzati per impedire l’insediamento della nuova Amministrazione comunale socialista ed attendono nella piazza dei Martiri in circa un centinaio l’arrivo del corteo, che arrivato nella piazza si ferma davanti  al portone del Comune, sbarrato dai carabinieri. Intanto, gli ex combattenti radunatisi nella Piazza e guidati dal loro segretario, inveiscono contro i Socialisti. C’è anche l’ex commissario prefettizio Carmelo Romano, che invita ad agire. Si crea una situazione di forte tensione, alimentata anche dal fatto che i Socialisti vogliono esporre la bandiera rossa dal balcone principale del Municipio.

Il Consigliere provinciale socialista Di Maggio e l’avvocato Luigi Tamburrano, che deve essere eletto Sindaco, entrano nell’edificio comunale per parlare con il Commissario prefettizio Conte ed insieme concordano, per evitare incidenti, di rinviare l’insediamento del Consiglio e della Giunta. Escono sul balcone e Di Maggio comunica ai manifestanti che l’insediamento è rinvitato e li invita ad andare verso la  sede socialista in piazza degli Olmi. Mentre i manifestanti si allontanano, gli ex combattenti, non soddisfatti di questa ‘vittoria’, continuano a sbeffeggiare i Socialisti, colpendoli nel loro orgoglio. A questo punto, una parte dei Socialisti decidono di fare quello che si sono proposti di fare: entrare nel Municipio ed issare la bandiera rossa dal balcone. Tornano indietro e si confrontano con le forze dell’ordine che bloccano l’ingresso del Municipio mentre gli ex combattenti continuano ad inveire contro di loro. 

Una quarantina di socialisti spingono per entrare nel Comune. Si odono degli spari. A questo punto  i Carabinieri appostati nella piazza e sui balconi del Comune iniziano a sparare sulla folla. In pochi minuti avviene un massacro. Nella piazza ci sono sei morti, tra i quali un carabiniere. Altre 8 persone muoiono in seguito per le gravi ferite riportate, quasi tutte nella schiena (segno evidente che erano stati colpiti mentre fuggivano) nelle proprie case e nell’ospedale di Foggia. L’ultima vittima, Donato Centra, muore dopo alcuni giorni. Il bilancio finale delle vittime è drammatico. I morti sono 14, comprese due donne (una delle quali incinta) ed un carabiniere. I feriti sono quasi 80: 60 tra i manifestanti (comprese 10 donne), 10 tra i carabinieri e 6 tra i soldati, colpiti da schegge o da armi da taglio. Non tutti i feriti sono manifestanti socialisti: ci sono anche curiosi e passanti.

I 14 morti sono: Cassano Giovanni, 63 anni, “contadino povero”; Centra Donato, 34 anni,“artigiano“ (calzolaio); Fiore Michele, 23 anni, “contadino povero”; Gorgoglione Paolo, 35 anni, “pastore- piccolo censo”; Grifa Francesco, 65 anni, “contadino benestante”; Masciale Michele, 50 anni, “contadino con piccolo censo”; Miglionico Anna Maria, 23 anni, “casalinga-piccolo censo” (che è incinta); Pennelli Michele, 40 anni, “contadino povero”; Ritrovato Michele, “contadino- piccolo censo”; Santoro Nunzio Antonio, 75 anni, “contadino-povero”; Santoro Giuseppe, 37 anni, “contadino- povero”; Siena Giovanni, 22 anni, “contadino povero”; Tortorelli Filomena, 23 anni, “contadina-povera”; Imbriani Vito, carabiniere (colpito da un colpo di fucile). È sorprendente l’indicazione dello status socio-economico apposto dalle autorità accanto al nome di ogni vittima. 

La notte del 14 ottobre è arrestato l’ex sindaco socialista Angelo Maria Merla ed il giorno seguente sono arrestati il consigliere provinciale Di Maggio ed il candidato sindaco Luigi Tamburrano ed altre 23 persone, tutti socialisti. La Polizia perquisisce mote case. Le indagini sono condotte dal  commissario di P. S.  Giuseppe Stracca, inviato nel paese dal sottoprefetto di San Severo, Mormino. 

Il 16 ottobre le vittime del paese sono tumulate in una fossa comune, senza alcuna assistenza religiosa dato che sono militanti socialisti.

La notizia dell’eccidio è pubblicata su tutti giornali, sia locali che nazionali. Il quotidiano socialista Avanti! pubblica il 16 ottobre un trafiletto in prima pagina, intitolato Un terribile eccidio a San Giovanni Rotondo. 14 morti e 80 feriti, annunciando che sarebbe presto seguito un ampio resoconto dopo aver assunto informazioni “sul posto”. In effetti,  tre giorni dopo, il 19 ottobre compare sul quotidiano socialista un lungo articolo intitolato Il massacro di San Giovanni Rotondo. La nostra inchiesta, ripresa il 22 ottobre dal settimanale socialista di Lucera Spartaco.

L’inchiesta dell’ispettore Trani

Il Ministero dell’Interno invia nel paese l’ispettore generale di Pubblica Sicurezza Vincenzo Trani, già questore di Roma e di Palermo, insignito del titolo di commendatore d’Italia, che arriva  il 19 ottobre e si mette subito al lavoro, facendo una inchiesta meticolosa ed obiettiva. Per questo non farà carriera durante il fascismo, e sarà collocato a riposo nel 1923, diversamente dal commissario Giuseppe Stracca, che diventa prima questore di Torino e poi comandante della “squadra presidenziale”, addetta alla sicurezza di Mussolini, come presidente del Consiglio. 

Trani chiede una dettagliata relazione al commissario prefettizio Conte e raccoglie la testimonianza di molte altre persone. Per primi ascolta i militari feriti; poi alcuni civili feriti. Al riguardo, fa in tempo ad ascoltare Donato Centra, che muore poco dopo. Quindi ascolta i funzionari, i Carabinieri ed anche numerosi militanti dei vari partiti. Inoltre gira in incognito per il paese, senza farsi riconoscere, chiedendo informazioni sull’accaduto a molti abitanti. Nel complesso raccoglie oltre 50 testimonianze, dalle quali emerge chiaramente la responsabilità degli ex combattenti. Infatti, vari socialisti dichiarano che i primi spari sono venuti da questi. Al riguardo due testimoni, Antonio Tamburrano e Filippa Merla, riferiscono di aver visto l’ex commissario prefettizio Carmelo Romano che spara con la pistola sui socialisti, insieme ad altre due persone. A questo punto, avendo udito gli spari, i carabinieri aprono il fuoco sui manifestanti, pensando che hanno sparato contro di loro.  

Altri testimoni riferiscono invece che  i carabinieri hanno iniziato a sparare quando una donna ha cercato di entrare a forza nel Comune. I carabinieri hanno sparato prima in altro e poi contro le persone. 

Il tenente Buccolini, che comanda i soldati messi a presidiare la piazza e le strade laterali del Municipio, riferisce di aver fermato un civile che si era impossessato di un fucile, sottratto ad un soldato, e che ha visto un altro civile sparare con un altro fucile sui carabinieri, uccidendo molto probabilmente Vito Imbriani. Questa circostanza è poi confermata da altri testimoni, ma non è stato possibile accertare l’identità di chi ha sparato. Trani accerta che non ci sono stati scontri diretti tra socialisti e ex combattenti. Però i primi avevano prelevato delle pietre da una casa in costruzione vicino al Comune e da un cantiere edile aperto per la manutenzione della piazza di Martiri e le tiravano contro i carabinieri ed i soldati.

Accerta anche ci furono gravi carenze nella gestione dell’ordine pubblico da parte del Commissario di P. S. Bevere, perché non aveva utilizzato tutti gli uomini a sua disposizione, in quanto aveva lasciato la maggior parte dei soldati fuori dal paese. Per queste sue “mancanze” ricevette un formale “severo richiamo”. Da molti Bevere è considerato il principale responsabile della strage sia per non aver saputo gestire la situazione di tensione che si era creata, sia per il suo atteggiamento fazioso, avverso ai socialisti, come emerge chiaramente anche da quanto da lui dichiarato nella relazione inviata all’ispettore Trani ed al prefetto di Foggia.

Il 15 ottobre arriva nel paese l’onorevole socialista Miatilasso per fare una indagine ed è accolto da una folla inferocita che lo costringe a rifugiarsi nella caserma dei carabinieri, dove il comandante, maresciallo Gigante, che prima non ha fatto nulla per proteggerlo, anzi ha incitato la folla contro di lui, ordina a due militi di farlo uscire. Già nel settembre aveva chiesto, invano, di rimuovere il maresciallo.  

Maitilasso espone i fatti accadutigli nella relazione inviata al quotidiano socialista Avanti! e nella interpellanza presentata con i colleghi Maiolo e Mucci (eletti con lui nella Capitanata) ed illustrata il 5 dicembre alla Camera, alla presenza dell’On. Corradini, sottosegretario al Ministero  dell’Interno, che è costretto a riconoscere le responsabilità del Commissario di P. S. Bevere, che in seguito viene mandato a svolgere il servizio aGuastalla (Reggio Emilia). Nel 1925 viene trasferito a Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino), che è il paese natale del carabiniere ucciso Vito Imbriani, ma è subito trasferito per l’ostilità della popolazione, sobillata dalla famiglia del milite, della cui morte lo considera responsabile.

Trani chiede ed ottiene anche la rimozione del maresciallo dei carabinieri Gigante. Rimane nel paese fino all’insediamento dell’amministrazione socialista, guidata dal sindaco Luigi Tamburrano, il 30 ottobre. 

Per dimostrare la propria estraneità ai tragici fatti, il Partito Popolare incarica l’onorevole Ursi, di Bari, di fare una indagine. Però fa “ostruzionismo” vietando la partecipazione dei propri consiglieri alle prime due sedute del nuovo Consiglio comunale, facendo così mancare il numero legale per eleggere la Giunta.  Infatti, sia il sindaco Luigi Tamburrano che alcuni consiglieri socialisti sono in carcere (insieme con il consigliere provinciale Di Maggio) ed altri sono andati via dal paese per timore di essere arrestati. Solo il 30 ottobre, alla terza convocazione, si riesce finalmente ad eleggere la Giunta. Però l’opposizione continua a disertare le sedute del consiglio comunale fino al 5 dicembre 1920, quando decide di partecipare perché si  discute la delibera per assegnare duemila lire ad ogni famiglia delle vittime, che è approvata all’unanimità.   

Nei mesi seguenti aumentano le violenze fasciste, spesso con la complicità delle autorità statali che avrebbero dovuto reprimerle, ai danni delle sedi e degli esponenti socialisti, delle Camere del lavoro, delle leghe contadine, delle cooperative, dei circoli culturali e ricreativi, dei sindacati. In particolare, nel gennaio 1921 viene aggredito e malmenato da una “squadra” di camicie nere fasciste l’onorevole Luigi Mucci mentre si trova alla stazione di Foggia. Per contrastare le violenze fasciste, nella primavera 1921 si costituiscono in molte città gli Arditi del popolo.

Il 15 aprile 1921 la violenza fascista fa cadere la Giunta guidata da Tamburrano. Quella mattina un trentina di fascisti della locale sezione, costituita da poco, accogliendo gli ex combattenti, diretta dall’avvocato Gennaro Giuliani, un mutilato della Grande Guerra, invadono il Comune e si fanno consegnare le chiavi dell’edificio, che poi affidano al maresciallo dei carabinieri Gigante. Quindi espongono sul balcone principale del palazzo i  ritratti dei Sovrani e molte bandiere nazionali. Il vicesindaco Cascavilla chiede aiuto alla Sottoprefettura di San Severo, ma non ottiene alcuna risposta. Pochi giorni dopo il Sottoprefetto Mormino dichiara la decadenza della Giunta socialista ed invia come Commissario prefettizio Cristalli. Lo stesso succede in altri Comuni della Provincia guidati da socialisti: Cerignola, San Marco in Lamis, San Severo.  

Nella notte tra il 18 ed il 19 aprile è incendiata la Camera del lavoro di San Giovanni Rotondo.   

Il 15 maggio 1921 si svolgono le elezioni politiche in un clima di intimidazioni e di violenze fasciste per cui molti elettori, soprattutto socialisti, non si recano a votare. I Socialisti ottengono il 25% dei voti e 123 seggi. I Popolari ottengono poco più del 20% dei voti e 108 seggi. Il Blocco Nazionale (nel quale sono confluiti i fascisti) ottiene poco meno del 20% e 105 seggi. A San Giovanni Rotondo l’affluenza è solo del 47%. Nonostante questo, però, il Partito Socialista ottiene ancora più voti di tutti: 673 voti contro i 536 del Partito Polare e i 300 del Blocco Nazionale.  

Il 12 marzo 1922, dopo un anno di commissariamento, si tengono a San Giovanni Rotondo le elezioni comunali. Temendo nuovi incidenti come nel 1921, il Ministero dell’Interno invia nel paese il vice questore di Roma De Caprio. L’opposizione ai Socialisti si presenta divisa in due liste: l’Unione nazionale, composta prevalentemente da liberali, popolari e da fascisti, ed quella dei Democratici liberali, dove sono confluiti gli altri conservatori.  

Le elezioni sono vinte dall’Unione nazionale con 143  voti in più dei Socialisti.

Viene eletto Sindaco il professor Alessandro Campanile, esponente popolare, al posto dell’esponente fascista, l’avvocato Gennaro Giuliani, che è il segretario della sezione fascista. Lo scontro tra i popolari ed in fascisti porta questi ultimi ad occupare nel novembre 1922, pochi giorni dopo la “marcia su Roma”, il Comune, ottenendo le dimissioni della Giunta Campanile. A capo del Comune viene insediato come “podestà” Morcaldi, che ci rimane per molti anni.

I  processi

Alcuni giorni dopo l’arresto vengono rimessi in libertà 24 dei 26 socialisti arrestati, che però rimangono “imputati a piede libero”, insieme ad altre 27 persone. Rimangono in carcere Michele Cugino e Salvatore Marino, accusati dell’uccisione del carabiniere Vito Imbriani. Successivamente Cugino è liberato in quanto le accuse contro di lui si rivelano infondate, mentre Salvatore Marino è accusato dal tenente Buccolini di aver sparato sul carabiniere, modificando la precedente testimonianza resa all’ispettore Trani, nella quale aveva dichiarato di non aver riconosciuto chi aveva a sparato al carabiniere.  

Le indagini fatte dai magistrati della Corte di Assise di Lucera portano al  proscioglimento di 22 dei 53 imputati, mentre gli altri 31 sono rinviati a giudizio. La sentenza è emessa il 15 maggio 1922 e solo Salvatore Marino è condannato a tre anni di reclusione  per aver partecipato in qualche modo all’omicidio del carabiniere Imbriani.

Il 16 maggio 1923  inizia il processo davanti alla Sezione della Corte di Appello di Trani, che dura tre giorni. Il 18 maggio è emessa la sentenza  e tutti sono di nuovo assolti, compreso Salvatore Marino, che è subito scarcerato.

Si conclude così, senza nessun colpevole,  la strage di San Giovanni Rotondo, che è stata una delle più brutali del “biennio rosso”.           

Giorgio Giannini

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *