Alla fine del 1847 il Comitato patriottico milanese per protestare contro l’imperatore e le autorità austriache locali che erano insensibili alle istanze delle Congregazioni centrali della Lombardia e del Veneto, le quali da tempo chiedevano riforme politico-amministrative, lanciò una campagna di boicottaggio delle finanze imperiali attraverso l’astensione dal gioco del lotto e dal consumo del tabacco che producevano, complessivamente, un’entrata erariale annua di circa 15 milioni di lire.

Particolarmente significativa fu la campagna di astensione dal consumo di tabacco, sia da fumo (750.000 chilogrammi annui) che da  naso (450.000 chilogrammi annui), che  comportava un’entrata erariale di 4,5 milioni di lire l’anno. Le cronache del tempo riferiscono che la partecipazione all’iniziativa fu molto ampia,  contro ogni aspettativa degli organizzatori: segno evidente che la popolazione era ormai pronta alla lotta contro gli occupanti austriaci. Il boicottaggio si allargò anche alle città vicine a Milano, tanto che le autorità asburgiche, allarmate, reagirono cercando di provocare dei disordini che potessero giustificare un intervento militare repressivo.

Così, il primo gennaio 1848, furono pagati dei provocatori che nelle strade invitavano insistentemente i passanti a  fumare, gettando loro in faccia  il fumo dei  sigari. Il giorno seguente, anche i poliziotti e i soldati austriaci iniziarono a provocare e a insultare i passanti e in alcuni casi riuscirono a provocare dei disordini, dato che non tutti i milanesi accettavano passivamente le provocazioni. Così, il 2 gennaio, dei passanti schiaffeggiarono il capitano Neuperg che li insultava.  Gli austriaci si fecero sempre più insolenti fino a giungere a malmenare i passanti che non  accettavano il loro invito a fumare. Anche il podestà di Milano, il conte Gabrio Casati, che andava in giro per la città invitando i cittadini a non reagire alle provocazioni, fu malmenato in via dei Mercanti da alcuni poliziotti che poi lo portarono nel carcere di Santa Margherita. La notizia dell’arresto del podestà si diffuse rapidamente ed alcuni assessori comunali si recarono dal capo della polizia, il barone De Torresani Lanzefeld, per protestare per il comportamento dei poliziotti e per chiedere la liberazione di Casati, che fu concessa. 

La repressione da parte degli Austriaci

Il 3 gennaio 1848 il capo della polizia fece affiggere un manifesto che riportava un’ordinanza in base alla quale erano considerati “turbatori dell’ordine pubblico”, e quindi perseguiti penalmente, coloro che invitavano ad astenersi dal fumo oppure inneggiavano al papa Pio IX, che  in quel periodo  aveva assunto un chiaro atteggiamento anti austriaco. Nel pomeriggio, ci furono i primi gravi incidenti provocati dagli austriaci: in particolare, nella Corsia dei Servi, un drappello di dragoni caricò con le sciabole sguainate i passanti, causando numerosi feriti. Al Corso, i soldati irruppero nei negozi, malmenando  i clienti e portando via la merce. 

Gli incidenti più gravi si verificarono al corso di Porta Orientale, dove persero la vita alcune persone, tra le quali il consigliere Manganini, un magistrato di 74 anni, fedelissimo all’Austria, ed il cuoco del conte di Ficquelmont,  inviato a  Milano dal capo del Governo Metternich per consigliare il viceré, l’arciduca Ranieri, fratello dell’imperatore Ferdinando I°. Inoltre, furono feriti dai soldati austriaci alcune decine di persone, compresi alcuni ragazzi minori di 15 anni.  Altri incidenti si verificarono  nelle zone di Porta Ticinese, di Porta Nuova e di Porta Comasina, con altri morti e feriti. Alla fine della giornata, i morti accertati furono cinque e i feriti una sessantina, ma sicuramente questi ultimi furono di più in quanto molte persone ferite leggermente si fecero curare in casa senza andare negli ospedali.

Nei tafferugli, invece, non rimase ferito alcun soldato o poliziotto austriaco, a dimostrazione del fatto che i milanesi non avevano reagito con la violenza alle violenze subite. Pertanto, la protesta aveva un carattere chiaramente pacifico e nonviolento. La gravità degli incidenti produsse una grande indignazione tra la popolazione, di cui si fecero interpreti il podestà Casati ed altre personalità, che andarono a protestare  dal conte di Ficquelmont, dal conte Spaur, governatore della Lombardia, e dal maresciallo Radetzky, comandante delle truppe austriache. Una delegazione, composta dal podestà Casati, dall’arcivescovo di Milano, monsignor Romilli, e dall’arciprete del Duomo, monsignor Opizzoni, andò a protestare dal viceré, l’arciduca Ranieri.

Le autorità promisero che la maggior parte dei soldati sarebbero rimasti nelle caserme  per  una settimana e che sarebbe stato vietato ai soldati e ai poliziotti usare le armi  contro la popolazione inerme. Il Municipio di Milano, però, doveva invitare la  popolazione a rispettare le leggi ed a mantenersi tranquilla. Al riguardo, il 4 gennaio, il podestà Casati  fece diffondere un proclama. Il 5 gennaio 1848, il viceré fece diffondere un manifesto nel quale, dichiarava il proprio rammarico per gli incidenti accaduti ed invitava i milanesi a rimanere tranquilli, confidando nel suo interessamento per risolvere i vari problemi. Nonostante le assicurazioni delle autorità continuarono, però, le provocazioni dei soldati austriaci.

La diffusione della protesta nonviolenta antiaustriaca

Il 6 gennaio 1848, l’arcivescovo Romilli, nella sua omelia in Duomo, invitò le autorità ad ascoltare le istanze dei cittadini. Andò anche a trovare i feriti ricoverati negli ospedali, portando loro la solidarietà del clero milanese. Promosse anche delle collette per dare un sostegno economico ad essi ed alle famiglie delle vittime. Il 9 gennaio, il viceré diffuse un nuovo proclama nel quale affermava che le richieste delle Congregazioni centrali sarebbero state accolte dall’imperatore. Lo stesso giorno, però giunse al viceré una lettera dell’imperatore, il quale affermava che aveva fatto il possibile per il Lombardo-Veneto per cui non era disponibile a fare ulteriori concessioni. Infine, faceva affidamento “sulla fedeltà e sul valore delle truppe” in caso di necessità. Si appellava cioè ai militari per il mantenimento dell’ordine. 

Nonostante la dura repressione, i milanesi non desistettero dalla protesta, ma ne cambiarono le modalità. Senza rinunciare al boicottaggio economico, tennero dei comportamenti nonviolenti che indicavano chiaramente la loro avversione verso gli Austriaci. In particolare, per molti giorni, in segno di lutto per coloro che erano stati uccisi, non si recarono a teatro e disertarono il corso di Porta Orientale, dove c’era stato il maggior numero di morti e di feriti, e che, per questo motivo, fu chiamato “corso scellerato”. Andavano invece a passeggiare al corso di Porta Romana, chiamato “corso Pio”, in chiaro riferimento al papa Pio IX, che era ammirato da tutti i liberali italiani per il suo atteggiamento critico verso l’Austria.

Inoltre, disertavano i caffè e gli altri locali pubblici frequentati dagli ufficiali e dai funzionari austriaci; molti portavano, in bella mostra sugli abiti, con ostentazione, un nastro tricolore; altri portavano “cappelli alla calabrese”, con le piume; molti ragazzi cantavano delle rime contro Radetzky; alcuni decorati strapparono pubblicamente le decorazioni e le insegne  ricevute (il conte Borromeo gettò le insegne del Toson d’Oro); molte guardie nobili si dimisero dall’incarico. 

A sostegno economico delle famiglie dei feriti e delle vittime fu costituito un Comitato formato da oltre 50 nobildonne, che raccolse fondi anche nel Veneto. Il Comitato patriottico  inviò alcune  personalità  cittadine (il conte Martini e il conte D’Adda) a Torino, dal re Carlo Alberto, per chiedere aiuto; il sovrano sabaudo promise che avrebbe  presto dichiarato guerra contro l’Austria e così fece nel 1849.    

La protesta nonviolenta contro gli austriaci si diffuse rapidamente nelle città vicine ed anche nel Veneto, per iniziativa soprattutto dei patrioti Daniele Manin e Nicolò Tommaseo, che furono arrestati il 18 gennaio 1848. Le autorità decisero quindi di  procedere alla repressione. Furono arrestati, senza  una formale incriminazione, numerosi  patrioti, poi deportati nelle carceri di altri Paesi dell’Impero, soprattutto a Lubiana, in Slovenia. Contro gli arresti e le deportazioni, il Municipio di Milano protestò davanti al governatore della Lombardia, il conte Spaur, lamentando anche la illegittimità dei provvedimenti dato che gli arrestati non avevano avuto una formale incriminazione.

Le manifestazioni popolari anti austriache ripresero all’inizio di febbraio 1848, quando si diffuse la notizia  della rivolta di  Palermo, nel Regno borbonico delle Due Sicilie, con la richiesta di riforme costituzionali. Per fronteggiare la situazione, le Autorità di polizia emanarono, il 15 febbraio, un provvedimento con il quale si vietava di portare qualsiasi distintivo di riconoscimento, a carattere  patriottico, come il “cappello alla calabrese, alla puritana, all’Ernani”. Il maresciallo Radetzky, per fronteggiare eventuali rivolte, rafforzò  il dispositivo militare, fortificando il Castello Sforzesco di Milano e  facendo affluire nuove truppe, alle quali fu attribuito il “soldo di guerra”.

Il 9 febbraio 1848, all’Università di Padova e di Pavia (le più importanti del Regno Lombardo-Veneto) ci furono degli scontri tra gli studenti ed i soldati austriaci e gli atenei furono chiusi. Per evitare rivolte dell’Impero asburgico, il 22 febbraio 1848 fu pubblicata una legge, con effetto retroattivo dal 14 novembre 1847, che comminava la pena di morte ai “perturbatori dell’ordine pubblico”. Nonostante questa legge, il 13  marzo 1848 scoppiò la rivolta nella stessa Capitale austriaca, Vienna, su iniziativa degli studenti universitari. L’imperatore Ferdinando I licenziò Metternich, e lo sostituì con il conte di Ficquelmont, abolì la censura sulla stampa, concesse la Guardia civica e promise la Costituzione.

La notizia dei fatti di Vienna giunse anche a Milano, dove il 18 marzo iniziò, spontaneamente, la rivolta popolare delle Cinque giornate (18-22 marzo), che portò alla cacciata degli austriaci dalla città, anche se solo per cinque mesi. Sicuramente vi influì l’unità di azione anti austriaca e lo spirito di solidarietà che si erano formati tra la popolazione durante la campagna di boicottaggio economico, in particolare la campagna di astensione dal consumo di tabacco.

Giorgio Giannini

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