La domanda è ovviamente provocatoria.

Però, un pensierino in tal senso, non solo a Bruxelles, qualcuno incomincia ad averlo in testa.

La decisione della Corte Costituzionale polacca ha scatenato una bufera durante … un uragano.

Infatti, bisogna osservare con attenzione la scansione degli ultimi eventi accaduti: nel giro di poche ore di distanza, 13 (su 27) Stati Membri dell’UE hanno formalmente richiesto di destinare una cospicua parte dei fondi europei a bilancio, alla costruzione di un muro contro l’immigrazione.

Hanno, di fatto, ritirato fuori un vecchio progetto trumpiano, applicato in parte sul confine messicano dall’ex presidente americano: la costruzione di un muro che preservi l’integrità etnica e culturale di una presunta “Europa cristiana” come ha scritto in questi giorni Andrea Bonanni.

Dopo di che, la Corte Costituzionale di Varsavia ha dichiarato incostituzionali alcuni articoli del Trattato europeo, tutti formalmente già votati e accettati dal Parlamento polacco.

Ma non è finita!

In questi stessi giorni, il governo polacco sta trattando l’ammontare delle quote del Recovery Fund di competenza della Polonia, non ancora approvato dal Parlamento di Varsavia.

Dunque, il Premier polacco Morawiecki sta giocando una partita molto delicata e rischiosa, cercando di ottimizzare la sua posizione negoziale con Bruxelles, per prendere più soldi.

Siamo probabilmente allo show down di una sfida tra i vertici dell’Unione Europea e il governo di Varsavia, sfida giunta ormai ad un punto cruciale.

Come se non bastasse, tutto questo delicatissimo puzzle politico ed economico succede, guarda caso, proprio quando l’Italia e i paesi del Mediterraneo si preparano a riaprire la discussione sul diritto di asilo e sulle regole del Trattato di Dublino e, inoltre, questo quadro fragilissimo per la sopravvivenza dell’Europa si sta svolgendo proprio all’indomani delle elezioni tedesche che hanno posto fine all’ultimo governo democristiano e soprattutto alla gestione diplomatica e politica di una grande leader europeista come è stata Angela Merkel.

Detto ciò, torno al titolo provocatorio di questo contributo.

Sono stato educato sulla base dei valori del Manifesto di Ventotene.

L’Europa unita è un dovere non solo un diritto dei popoli europei.

Europa unita, però, tra chi?

Auspicabilmente tra tutti, ma se non fosse possibile, per ragioni storiche, culturali, politiche o economiche, bisognerebbe prenderne atto e non incaponirsi su un format a 27 membri che rischia di far saltare il tavolo.

Quello che non si può permettere, in ogni caso, è che qualche Stato Membro “furbastro”, per accaparrarsi più fondi comuni, negozi sui valori oppure, peggio, una volta presi i fondi e ripartiti sul proprio territorio creando valore e ricchezza (speriamo non privatistica!) inizi poi a criticare Bruxelles, la sua burocrazia, la sua rigidità magari usando come grimaldello una Corte Costituzionale asservita  alla volontà politica del governo attuale.

Non si può più prendere cosa c’è di buono nel progetto europeo e lasciare sul tavolo soltanto le difficoltà e complessità di un progetto che sta faticosamente cercando di darsi una nuova governance efficace ed efficiente per poter competere con gli altri grandi player internazionali.

I governi di Varsavia e di Budapest ci pensino bene a quello che fanno anche perché i loro popoli, quelli che abbiamo visto protestare proprio in queste ore in televisione, pare che non la pensino esattamente come i leader populisti che li governano, a proposito dell’Europa.

Facciamo però un passo indietro per capire cosa stia davvero accadendo.

All’origine del confronto c’è l’annosa sfida del governo sovranista e populista polacco, oggi fatta propria dalla Corte Costituzionale polacca, alle decisioni della Corte di Giustizia europea su una serie di questioni politiche di grande importanza.

Stiamo parlando (i) dell’obbligo di accogliere sul proprio territorio quote di immigrati da redistribuire dopo lo sbarco in Paesi terzi (come l’Italia); (ii) ai pronunciamenti sulla “non indipendenza” del sistema giudiziario della Polonia asservito al potere politico (come ci sta dimostrando proprio l’organo supremo del sistema giudiziario, la Corte Costituzionale!); (iii) della libertà di informazione, spesso negata; (iv) dei diritti delle  minoranze, spesso ignorati.

Entro il 16 agosto scorso, Varsavia avrebbe dovuto accogliere  una decisione della Corte Europea in tema di sanzioni nei confronti dei giudici e Morawiecki aveva impugnato tale decisione della più alta Corte europea, negando il diritto di Bruxelles ad interferire nei sistemi giudiziari dei singoli paesi.

Sabato scorso la Corte polacca ha replicato proprio a quella decisione della Corte europea, negando, sostanzialmente la preminenza del diritto comunitario su quelli nazionali.

Cosa ha detto la Corte?

Che una parte dei Trattati europei è incostituzionale anche se il Paese che aderisce all’UE riconosce formalmente la supremazia dei Trattati europei sulle leggi nazionali.

Alla luce del verdetto della Corte polacca, si aprono tre possibili scenari: o si cambia la Costituzione polacca, o si cambiano i Trattati oppure … la Polonia esce dall’UE.

La sentenza non è ancora esecutiva, non essendo ancora stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Il Premier Morawiecki la usa manifestatamente come una “pistola fumante” sul tavolo delle trattative con Bruxelles per il Recovery Fund.

Il punto cruciale del conflitto giudiziario fra la Corte di Giustizia europea e la Corte Costituzionale polacca, risiede proprio nella volontà del governo presieduto da Morawiecki di controllare il sistema giudiziario.

La Corte europea ha chiesto al governo polacco di cancellare la Commissione disciplinare che sanziona ed espelle i giudici e il Consiglio che li nomina: entrambi questi organi sono controllati direttamente dall’esecutivo che provvedere alla loro nomina.

Proprio la Corte Costituzionale è guidata da una fedelissima di Morawiecki, Julia Przylebska, che ha stabilito che due articoli, l’1 e il 19 dei Trattati europei non sono compatibili con la Carta Costituzionale polacca.

L’Unione Europea – ha dichiarato alla stampa il leader del partito al governo Kaczynski – non ha voce in capitolo sulla giustizia polacca e non ha il diritto di interferire in certi aspetti della vita pubblica del paese”.

Immediata la replica della Presidente della Commissione europea Von Der Leyen “Useremo tutti i poteri che abbiamo per assicurare il primato dei nostri Trattati”.

Nei prossimi giorni si vedranno gli sviluppi di questo braccio di ferro.

Chi certamente sta cavalcando a suo favore il caso polacco è Viktor Orban che si schiera apertamente con la posizione assunta da Morawiecki “Contro le cattive pratiche UE”.

“Il primato del diritto dell’Unione Europea dovrebbe applicarsi soltanto nelle aree in cui l’UE ha competenza e il quadro giuridico è stabilito nei trattati istitutivi dell’Unione Europea”  si legge nella risoluzione del governo di Budapest che invita Bruxelles “A rispettare le identità nazionali degli stati membri che costituiscono parte integrante del loro ordinamento politico e costituzionale”.

Stiamo vivendo, dunque, giornate decisive per il futuro dell’Europa unita che abbiamo sognato in questi anni: “Per decenni, l’Europa è vissuta di mediazioni – ha scritto Andrea Bonanni – a volte estenuanti e di compromessi non sempre limpidi. Ma erano pur sempre i figli di una riconciliazione che aveva posto fine a secoli di guerre. Adesso si fa avanti l’Europa dei muri e degli aut aut. Il tempo delle mediazioni lascia il posto a quello delle scelte. Non saranno indolori”.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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