Perché è considerato accettabile discriminare le persone in base all’età?

Nel settembre 2018 Ian Tapping un project manager che lavorava al Ministero della Difesa Inglese, ha chiesto un incontro al responsabile delle risorse umane. Aveva litigato con alcuni sui collaboratori e voleva denunciarli per per bullismo e per molestie. Durante l’incontro il manager delle risorse umane chiese a Tapping quando avrebbe avuto intenzione di andare in pensione. Tapping, che all’epoca aveva poco più di sessant’anni tacque e denunciò il manager per discriminazione dovuta all’età.

Nel Dicembre 2021 vinse la causa. Il Giudice ha emesso una sentenza nella quale dice che è illegale richiedere a qualcuno che intenzioni ha in merito all’andare in pensione, anche se è la persona che entra nell’argomento, cosa che non era accaduta nella specifica situazione.

Se 50 anni vi sembrano tanti…

Mai, ha poi proseguito il Giudice, sarebbe stata posta la stessa domanda ad una persona di 30 anni.
Non si tratta certamente di un caso di discriminazione isolato. Una ricerca condotta nel 2021 dal World Health Organization ha evidenziato che ogni secondo c’è qualcuno al mondo che subisce una discriminazione sulla base dell’età anagrafica.

Molte ricerche evidenziano che per le persone di oltre 50 anni è molto difficile ottenere anche una semplice intervista per un nuovo lavoro. Nnonostante si possa diventare Presidente degli Stati Uniti o si debbano avere almeno 50 anni per essere eletti Presidenti della Repubblica in Italia. Inoltre è molto più probabile essere licenziati.

La sentenza sopracitata è molto importante perché pone la discriminazione dovuta all’età allo stesso livello delle altre discriminazione ed è una prima volta anche per l’Inghilterra, Paese dove esiste dal 2006 una legge che vieta espressamente la discriminazione in base all’età.

Ma anche l’art. 3 della Costituzione Italiana stabilisce che “Tutti I cittadini hanno pari dignità sociale e sono equali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ma allora perché la discriminazione in base all’età è accettata ?

Per capire meglio il fenomeno può essere utile il punto di vista delle nuove generazioni. In UK è stato condotto uno studio tra persone di circa 25 anni per comprendere che percezione avessero delle persone anziane. Il risultato è stato sorprendente. Ritengono che le persone che oggi sono anziane siano privilegiate, perché hanno la pensione, vivono in grandi case (al contrario di loro). Ma non solo. Anche nelle aziende godono di grandi privilege (chiedono ironicamente quanti top manager ci sono con meno di 30 anni). E oltre a tutto questo evidenziano come siano stati quelli che hanno compromesso, forse in modo irreversibile, l’ambiente.

Ancora peggio è andata con un sondaggio effettuato con persone più giovani, in questo caso si trattava di 16enni, ai quali è stato chiesto di dire come vedevamo i lavoratori con 55 e più anni, precisando che era importante che esprimessero le loro opinioni senza preoccuparsi dell’effetto che queste avrebbero potuto avere. Una prima caratteristica evidenziata era che “fossero pessimi in tecnologia“, seguita da “scarsa memoria”, “si stancano facilmente”, “sono razzisti”, “sono sessisti”, “non riescono ad imparare nuove cose“.

Sentirsi esclusi senza esserlo

Infine qualche settimana fa è stato pubblicato un articolo su The Atlantic rivista americana, sulle ragioni per cui l’America non riesce più a generare grandi innovazioni nella cultura, nelle scienze o in economia.
Una delle ragioni, a parere del giornalista (35 anni) è che ai vertici delle aziende, delle università, dei centri ricerca vi siano persone troppo anziane. E, prosegue l’autore le persone anziane non sono molto brave a generare nuove idee. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo, alla rivista e non solo all’autore, se avesse usato la medesima espressione ma riferita ad esempio alle donne, l’autore avrebbe dovuto cambiare mestiere e la rivista avrebbe avuto non pochi problemi.

Ancor più paradossale appare la discriminazione se si considera che i lavoratori che hanno più di 50 anni rappresentano una parte rilevante della forza lavoro complessiva, nel 2012 in Usa rappresentavano circa il 25% e nel 2050 rappresenteranno il 33%. In Italia nel 2017 i lavoratori ultracinquantenni erano il 34%.

Anno 2050: il mondo in mano ai cinquantenni

Ma quanta responsabilità abbiamo noi “anziani” di questa situazione (lo confesso…sono anche io un over 55, forse avrei dovuto dirlo ad inizio dell’articolo….)? Siamo talvolta troppo negativi ed ancorati alle nostre abitudini, tendiamo a percepire tutto quanto è nuovo come una minaccia, come ci poniamo di fronte ai cambiamenti? E quali effetti ha l’atteggiamento che poniamo?

Uno studio di Yale ha evidenziato come un atteggiamento negativo rispetto alla vecchiaia possa ridurre le aspettative di vita di 7 anni. Per darvi un idea considerate che l’obesità riduce le aspettative di 3 anni e l’obesità grave di 10 anni. Certamente qualcosa dovremo cambiare se vogliamo combattere questa assurda discriminazione e non solo sul piano giuridico.

Se fossimo un prodotto di largo consumo direi che dovremmo cambiare certamente il responsabile marketing. E forse anche quello della produzione e chiederei di fare qualche meeting (anche in video) in più con le persone della ricercar e sviluppo. Infine suggerirei di dotarci di qualche esperto in comunicazione che farci capire perché sia ritenuto accettabile discriminare la fetta di popolazione che nel 2050 rappresenterà un italiano su tre.

Giovanni Maria Paviera

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