Recenti vicende di cronaca hanno sollevato interrogativi sui rischi di una deriva autoritaria nel paese. I fatti vanno collocati in un’Europa scossa dal vento populista spinto dalle crisi economiche finanziarie, dal depauperamento dei ceti più deboli e dalla perdita di credibilità delle Istituzioni nazionali e comunitarie.

I risultati delle elezioni europee hanno evidenziato che il vento populista ha soffiato prevalentemente nel nostro paese, facendo emergere una peculiare coincidenza fra l’affermazione elettorale populista, basata sul concetto di volontà delle masse, e i segnali di svolta autoritaria in Italia.

Sul tema gioverebbe a tutti una rilettura di un classico del dopoguerra come “Le origini del totalitarismo” di Hannah Arendt, per comprendere che il fondamento della deriva autoritaria risiede nella massificazione indifferenziata, determinata dal superamento della dialettica sociale fra le classi, e dalla scomparsa del ruolo di mediazione dei corpi intermedi, elementi che costituivano il filtro culturale idoneo ad affrontare i problemi della società moderna.

Tali processi sono deflagrati nella società globale della comunicazione digitale che nelle sue modalità tecnico-espressive impoverisce la coscienza critica sia per l’assenza di una vera dialettica delle idee, sia per la sua incapacità di penetrare nella complessità dello spiegamento del pensiero data dalle nuove tecnologie. Il quadro di fondo è peraltro aggravato dalla facilità di falsificazione e di manipolazione del pensiero.

Di fronte ai rischi di moderne forme di autoritarismo la resistenza del terzo millennio si deve spostare dal piano politico al terreno culturale. Solo il recupero del ruolo dell’istruzione e della cultura come strumento di critica – con un processo ermeneutico del profondo, come direbbe Habermas – potrebbe consentire di realizzare quel confronto pubblico di idee volto a disoccultare ciò che sta dietro la comunicazione distorta sulla quale si fonda l’élite portatrice delle tendenze totalitarie.

Massimo Chioda

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