Qual è il confine tra narrativa commerciale e letteratura? Il quesito è vecchio, ma si propone sempre, anche oggi alla lettura di alcuni autori contemporanei. Prendiamo Camilla Baresani, autrice che ci allieta con le sue storie alcune d’amore, come l’ultima di cui parleremo, “Gelosia”, edito da La nave di Teseo, altre in tinta noir, come “Il sale rosa dell’Himalaya”, altre ancora di ambientazione sociale su intrecci che hanno sempre a che fare con piccoli intrighi e personaggi borghesi come i romanzi “Il plagio” o il bellissimo “Sbadatamente ho fatto l’amore”. E lo fa attraverso una scrittura immediata, di facile presa, che avvince, anche per la capacità dell’autrice di suscitare nel corso del racconto una sorta di suspense che spinge il lettore ad andare avanti fino alla soluzione finale. Avrebbe cioè tutti gli elementi per essere classificata una scrittrice commerciale, ma sarebbe un errore, un grosso equivoco che in passato colpì anche autori del calibro di, ad esempio, un Mario Soldati (si legga, a riguardo, il bellissimo saggio di Elisa Amadori “Il fantastico Soldati”, edito da Gammarò, che mira a rivalutare in chiave letteraria l’intera opera dello scrittore torinese partendo dal romanzo distopico “Lo Smeraldo”).

Ecco, Camilla Baresani appartiene a questa schiera di scrittori (aggiungerei Camilleri stesso, Piero Chiara, la Ferrante ed altri) che per le storie che raccontano, intriganti, avvincenti, quando non di genere, sono tali al punto di essere assimilati a quei romanzi che si definivano “per notti insonni e viaggi in treno”.  Romanzi, per altro, scritti in maniera così scorrevole (anche quando s’inventano una scrittura nuova al pari di quella di Camilleri), per i quali resta il dubbio, per la soddisfazione legata agli elementi romanzeschi che definiremmo di consumo, se quello che abbiamo letto appartiene o no alla letteratura.

Prendiamo, appunto, l’ultimo romanzo di Camilla Baresani “Gelosia”.

Racconta, in pratica, la storia di un triangolo amoroso sullo sfondo “turistico” di Capri, di cui è originario il protagonista, Antonio, figlio di una cameriera di un grande hotel dell’isola, dalla quale ha respirato, dai racconti della madre sui clienti dell’albergo, i vantaggi dell’essere ricco o benestante, mirando così a diventare come loro; quindi Bettina, titolare di un campeggio sulle rive del lago di Garda, che lui sposerà, trasferendosi al nord; e infine Sonia, la prima assistente di Antonio quando questi, giunto al nord d’Italia, si dà all’imprenditoria producendo raffinate amenities per gli alberghi, saponette, bagni schiuma, profumi ecc.  L’amante, in questo caso, si capisce, è Sonia, la quale divide il tempo con Antonio, oltre che in ufficio – che egli, pur ormai abitando a Gardone, ha aperto per ovvie ragioni commerciali a Milano, dove trascorre l’intera settimana, tornando a casa solo per il weekend – anche durante le trasferte di lavoro. Naturalmente, scoppiata tra i due la passione, nessun luogo impedisce loro di amarsi, a cominciare da un gabinetto dove si sono uniti la prima volta. Tutto avviene in maniera clandestina, anche in trasferta, nascondendo ai potenziali clienti, i vari albergatori e direttori che incontrano, la loro relazione, continuando a darsi del lei, anche in privato.

Bettina non sospetterà mai di nulla, anche perché Sonia, al contrario di lei, bella e avvenente, è bruttina, magrolina, apparentemente per niente affascinante, quasi grigia, mentre scopriremo che nell’intimo è capace di travolgenti performances.

Passeranno gli anni in questo menage, la cui distrazione da parte di Bettina sarà data da un’angustia maggiore: quella di non aver figli. Sì, resterà incinta, ma non riuscirà mai a portare a termine le gravidanze, per cui, a un certo momento, imboccherà il calvario burocratico dell’adozione, che avrà un paio di esiti diversi, ben raccontati dall’autrice. Situazioni che naturalmente incideranno sul rapporto tra i due coniugi, offrendo alla coscienza di Antonio gli alibi che, ipocritamente, gli servono per tenere a bada le pretese di Sonia, che, dopo un periodo di accettazione della propria condizione di essere la seconda nel cuore dell’amato, a un certo momento non lo tollererà più, prendendo a tormentare l’uomo affinché lasci la moglie per lei. Antonio, messo in un angolo, darà fondo a tutta la sua ignavia per non restare impantanato nella palude delle rivendicazioni dell’amante e, insieme, in quelle della propria coscienza di fronte alle delusioni prima e gioie poi della moglie diventata madre, verso la quale si sente in debito d’onore e d’amore (e certo Sonia non si aiuta maledicendo anche la bambina indiana adottata).

Direi che la sapienza narrativa di Camilla Baresani emerge proprio dal tocco magistrale che lei sa dare alle sfumature, innanzitutto psicologiche, dei personaggi, alle diverse sfaccettature che ogni singolo aspetto della storia che racconta di volta in volta assume, usando i tasti più appropriati nel descrivere emozioni, rabbie, delusioni, ipocrisie, viltà, finzioni, turbamenti, inganni. Il tutto su un tessuto narrativo il cui sottofondo prevalente è quello dell’ironia, della prosa graffiante, al limite – quando serve – del sarcasmo, ma anche del divertimento che, alla fine dà brillantezza al tutto, alla storia così come alla pagina. Tant’è che il libro si legge volentieri e volentieri ad esso si ritorna una volta abbandonato. Anche per la grande prerogativa che hanno tutti i romanzi di questa autrice bresciana che porta comunque dentro di sé, anche quando ambienta le sue storie a Milano, il gusto pettegolo della provincia, di accendere la curiosità del lettore che ormai, irretito, vuole sapere come andrà a finire con i “nostri”, perché ormai tali sono diventati, personaggi. E, come se non bastasse, alla fine, capace ancora di sorprenderci, con un guizzo d’invenzione che, naturalmente, ben ci guardiamo dal rivelarvi.

Diego Zandel

Camilla Baresani, Gelosia, La nave di Teseo, pag. 376, €. 18,00

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