Il 13 luglio del 1979 il Tenente Colonnello dei Carabinieri venne ucciso a Roma in un attentato sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Varisco, profugo dalmata, di Zara, era nel Servizio Traduzioni e Scorte e nel Servizio alla Magistratura da quasi vent’anni e, in quel momento, aveva già presentato le sue dimissioni dall’Arma.

L’attentato venne attribuito alle Brigate Rosse, ma, come scrive Anna Maria Turi, nel suo documentatissimo libro “L’agguato sul lungotevere”, pubblicato dalle Edizioni Segno “Le ricerche nei documenti agli atti delle inchieste della Giustizia hanno consentito di dare un’altra prospettiva all’omicidio”. Indizi? Di più, prove. Un componente della banda che aveva assassinato Varisco fu individuato, grazie a una soffiata, in Antonio Cepollaro, un camorrista. Più in generale, il suo omicidio, come quello della stessa scorta di Moro, al momento del rapimento in via Fani, rientra nella ingarbugliata situazione dell’epoca in cui, nell’ombra, le Brigate Rosse così come i servizi segreti deviati, agivano in collusione con la criminalità organizzata. Erano gli anni della inquietudine dei comandi dei servizi segreti, del SIFAR del tentato golpe del generale De Lorenzo diventato poi SID, con il generale Miceli e l’ammiraglio Maletti in competizione pericolosa al suo interno, con l’arresto del primo e la fuga in Sudafrica del secondo, del misterioso incidente mortale occorso a Mattei (“il supporto per la manomissione dell’aereo di Mattei precipitato a Bascapè sarebbe stato fornito dalla mafia siciliana”), dell’affacciarsi della P2, la cui fondazione viene attribuita a Eugenio Cefis, che di Mattei era stato il numero due per poi diventare il potentissimo presidente della Montedison, finché, in odore di arresto, dovette riparare a Lugano.

Ed erano anche gli anni di figure controverse che andavano da Andreotti a Pecorelli a Ugo Niutta, braccio destro di Cefis, con un passato di spia e di faccendiere per eccellenza, legato ai Servizi americani, presente in diversi intrighi nei quali era coinvolta anche buona parte della magistratura. Una connessione che dal dicembre 1963 e poi per tutto il 1964 il Partito Radicale aveva denunciato, dopo aver raccolto “elementi e documenti di estrema gravità nei confronti della politica dell’Ente di Stato” che, nonostante le manifestazioni, i picchettaggi e la distribuzione dei radicali, non incontrò la denuncia da parte della stampa di sinistra in virtù del fatto che l’Eni attraverso l’AGIP aveva distribuito circa 20 miliardi alle diverse testate di tutto l’arco costituzionale, da “Il Tempo” a “Il Paese”, da “La voce repubblicana” a “Civiltà cattolica” e al “Il Mondo”. Tutte cose che il Partito Radicale nel 1967 avrebbe raccolto in un libro bianco, “con le denunce rivolte alla magistratura romana definita come ‘un covo di crimini’ e pubblicate a più riprese sul quotidiano radicale ‘Liberazione’ con uno stralcio delle deposizioni di Eugenio Cefis”. Scrive ancora, in una nota, Anna Maria Turi: “Trent’anni dopo, i fatti denunciati dal PR troveranno conferma piena nelle dichiarazioni rese davanti ai giudici milanesi, nell’aprile ’93, da Eugenio Cefis, Presidente dell’Eni negli anni ‘60”.

Il Tenente Colonnello Varisco, “ufficiale di presidio ai Tribunali di Roma, stimato dalla magistratura per il suo attaccamento al dovere e il suo eccezionale talento nel sapersi raccordare in maniera empatica con ogni genere di soggetti, ma con un potere e una funzione dai confini in teoria ben precisi” come lo descrive Anna Maria Turi, per altro affascinata dalla bellezza dell’uomo con il quale pur s’incontrava ricevendo le sue confidenze, era a conoscenza di troppi segreti perché potesse ritirarsi tranquillamente a vita privata. Varisco, peraltro, aveva amicizie molto forti con Ugo Niutta e Carmine Pecorelli, con i quali spesso si incontrava convivialmente, seppur non si trovò mai implicato personalmente nelle trame oscure che avvelenavano il Paese. Le Brigate Rosse, in questa, come in altre occasioni, costituirono un’ottima copertura per chiudere la bocca a lui così come ad altri pericolosi testimoni di quel “ periodo dominato dalla ‘strategia della tensione’, dai tentativi di colpo di Stato, dal terrorismo di Destra e di Sinistra, dalle vecchie e nuove organizzazioni criminali, dalle massonerie segrete, dai servizi deviati, dallo spionaggio internazionale e da una classe politica e un sistema manageriale che ebbero in mano un potere che spesso fu esercitato arbitrariamente, in maniera capziosa e a volte illecita e fuori controllo”.

Emblematico, in questo senso l’omicidio, sempre da parte delle Brigate Rosse, del giudice Occorsio, dopo il quale la magistratura cominciò a indagare sulla P2. Ma non solo. Sorprendono anche i tanti suicidi avvenuti in quel tempo che in realtà erano omicidi mascherati. Nel corso della lettura del libro di Anna Maria Turi, ne abbiamo contati così tanti che, da soli, meriterebbero un libro a parte, certi che il risultato, se ben narrato, sarebbe più avvincente dei “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie.

Per il resto anche la vita stessa di Antonio Varisco è stata molto interessante, da quando fuggì dal Zara, bombardata dagli angloamericani e poi occupata dai titini, ai primi anni trascorsi nel Convito brindisino Niccolò Tommaseo che accoglieva i giovani profughi dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia passate alla Jugoslavia. Molte sue foto di quello e di altri periodi si trovano oggi presso l’Archivio e Museo Storico di Fiume a Roma, presso quello che fu l’allora Villaggio Giuliano-Dalmata oggi parte del Quartiere Giuliano-Dalmata che da quel Villaggio ha preso il nome. L’autrice affonda la sua indagine anche nella vita privata, intima, di Varisco, il suo non essersi più sposato dopo una delusione d’amore con una ragazza molto più giovane di lui di cui era profondamente innamorato, illudendosi di sposarla, ma non ricambiato in questo desiderio. La carriera di carabiniere che lo ha visto prima di stanza in Calabria, ne cuore profondo della ‘ndrangheta e poi a Tuscania, per approdare infine a Roma, in servizio presso il Tribunale, mentre il cuore volava tra donne, con nessuna delle quali si era mai legato per tutta la vita, conoscendo spesso momenti di solitudine, alleviati solo dagli incontri domenicali, a pranzo, con le amate sorelle.

Diego Zandel

Anna Maria Turi, L’agguato sul Lungotevere, Storia del colonnello Varisco, Edizioni Segno, pag. 426, €. 29,00

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