È ormai prossima l’entrata in vigore della – ennesima – Riforma del Processo Civile. Alcune norme sono già entrate in vigore dal 1 gennaio, ma la grande svolta arriverà dal 1 marzo. La materia processuale è complicata anche per gli addetti ai lavori.

Proviamo a spiegare il “succo” di quanto accade

Anche questa Riforma ha il dichiarato obiettivo di rendere più efficiente il Sistema Giustizia. Ci siamo impegnati in questo senso con l’Europa nel quadro del PNRR.
Le nuove norme investono il campo delle persone, della famiglia e dei minori; quello dell’esecuzione forzata; quello del processo del lavoro e del processo civile ordinario.
Mi libero subito dei primi tre argomenti. Per quanto riguarda la famiglia, le persone e i minori gli interpreti dovranno lavorare su un’ottantina di nuove norme. Mi occupo poco di questa materia.

Confido nei contributi di qualche altro Collega

Per quanto riguarda l’esecuzione forzata (cioè l’attuazione pratica dei provvedimenti) vengono introdotte numerose modifiche in prospettiva di razionalizzazione. Tuttavia una maldestra “manina” ha imposto qua e là nuovi adempimenti a carico del creditore: molto si discute, emergono gravi problemi operativi. Sabbia negli ingranaggi. Per quanto riguarda il processo del lavoro, ci siamo definitivamente sbarazzati del cd. rito Fornero (ed è buona cosa). Questo speciale procedimento fu introdotto nel 2012 per semplificare le cause sui licenziamenti con diritto di reintegrazione nel posto di lavoro. In realtà ci aveva messo nelle condizioni, in una serie di circostanze per nulla rare, di dover introdurre – grazie alla semplificazione… – tre cause anziché una.

Paradosso italiano che si ripete

Il Ministro Fornero aveva enfatizzato l’importanza di tradurre subito in lingua inglese quella Riforma del 2012 che aveva profondamente inciso sulla materia dei licenziamenti.
Gli investitori stranieri avrebbero, così, ripreso fiducia nel Sistema Italia (come se il nodo fosse la tutela dei licenziamenti illegittimi…). Come se… “il problema di Palemmo” fosse “il ciaffico”… Ricordo a memoria l’abrasivo commento di uno stimato Docente di Diritto del Lavoro su Radio 24: “Prima dovrebbero tradurla in italiano!”. Sorrido: aveva ragione. Una nuova norma stabilisce che i Magistrati debbano dare la precedenza alle cause di impugnazione di licenziamento con richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro. I Magistrati di buon senso l’hanno sempre fatto. La necessità dell’intervento del Legislatore dimostra quanto il buon senso sia merce rara. Nel processo ordinario di cognizione (che si applica alla maggioranza delle liti) la Riforma recupera qualche “arnese” del passato.

Cose già viste

…e accantonate perché prive di sostanziali vantaggi. Tra l’altro si è ispirata al cd. “rito societario” che tanto filo da torcere diede a tutti noi e che poi fu abrogato con nostro sollievo.
Quindi, per dirla in battuta: per un rito Fornero che esce dalla porta un rito societario rientra dalla finestra. Modificate le regole del processo, gli Avvocati civilisti dovranno “resettare” logica e termini degli adempimenti nel corso del giudizio. Si aprirà come sempre un periodo di incertezza sul “come si esercita il diritto”. Accertare chi ha ragione e chi ha torto sarà finalmente possibile dopo che si saranno sciolti i nuovi nodi formali. Avevo già speso qualche riflessione in argomento col mio contributo “Erbacce e Giustizia” nello scorso mese di settembre.

Il nuovo processo civile non porterà alcun vantaggio apprezzabile

Nei convegni di studio della Riforma nei quali siamo tutti impegnati emerge l’opinione che questo nuovo processo civile non porterà alcun vantaggio apprezzabile. Qualche “normicina” mi ha particolarmente colpito. Il Giudice può disporre, infatti, che l’udienza si svolga “da remoto” mediante collegamenti audiovisivi, così come può addirittura sostituire l’udienza disponendo il deposito di note scritte. Nell’uno e nell’altro caso ciascuna Parte può opporsi e chiedere l’udienza in presenza. Il Giudice provvederà, “tenuto conto dell’utilità e dell’importanza della presenza delle Parti”. Può anche disporre che compaiano in udienza solo le Parti che ne hanno fatto richiesta, mentre le altre possono rimanere collegate da remoto.

Un ennesimo paradosso italiano

Insomma, non è più dato per scontato che la presenza dei difensori a quattr’occhi davanti al Giudice costituisca la modalità normale dello svolgimento delle udienze. Queste nuove norme si ispirano al “processo dell’emergenza” disegnato durante il periodo della pandemia.
Gli Avvocati vi si erano adeguati obtorto collo in quella particolarissima e gravissima situazione. “Zacchete”! Il provvisorio diventa definitivo. Un altro paradosso italiano.
Una meravigliosa nuova disposizione di attuazione nascosta là, là in fondo al Codice di Procedura Civile stabilisce che “il luogo dal quale il Giudice si collega è considerato aula di udienza a tutti gli effetti”. Qui occorre tradurre: che cosa significa? Significa che il Giudice può disporre la trattazione scritta o l’udienza da remoto senza recarsi in Tribunale. L’udienza-non-udienza può quindi essere tenuta con collegamento audiovisivo dalla vacanza, dai giardinetti…

Una bella comodità, vero?

Evidente che qualcosa non quadri. Non c’è bisogno di spiegare che una cosa sia svolgere un’udienza a quattr’occhi con il Giudice e gli Avvocati avversari e tutt’altra cosa sia svolgerla con il filtro del collegamento audiovisivo. La trattazione scritta addirittura sopprime l’elemento della contestualità dell’attività defensionale interlocutoria ed esalta un approccio esclusivamente burocratico. Gli Avvocati scrivono, il Giudice leggerà e deciderà senza alcuna possibilità di interlocuzione diretta, che, invece, nella pratica, è preziosissima.
Attenzione. Qui non va di mezzo solo l’efficacia dell’attività difensiva. Qui non si compromette solo l’insostituibilità dello stile che ciascun Avvocato esprime nell’esercizio della Professione (che, peraltro, sta alla base del rapporto di fiducia). Qui si determina la frantumazione, anzi l’evaporazione, della comunità dei giuristi costituita da Avvocati e Magistrati.

Giuristi pratici che si incontrano, discutono, ragionano, fanno valere diritti, cercano soluzioni, emettono provvedimenti in esito a una dialettica contestuale. La dispersione del contesto di attività comune, anzi “del Foro”, impedisce anche la costruzione della reputazione di chi è chiamato ad applicare il diritto, Avvocati e Magistrati. Fondamentali norme della Legge Professionale e del Codice Deontologico Forense palpitano di tutela dell’interesse dei consociati. Convergono proprio nella direzione di disegnare i contorni, i contenuti e la tutela della reputazione, nonché la funzione sociale dell’Avvocato. Vigilanza del rispetto dei diritti fondamentali; effettività dell’esercizio dei diritti; affidamento dei Clienti e dei terzi.

Una brutta riforma

In sostanza, la necessità che l’Avvocato abbia la fiducia non solo del proprio Cliente, ma si costruisca la fiducia della comunità in quanto Avvocato. È brutta questa Riforma.
Pessima. Non crea nulla di funzionale e distrugge cose fondamentali. Andiamo verso una Giustizia “da numero verde”. Prendiamo anche in giro l’Europa. Dovrà essere una battaglia dell’Avvocatura e dei cittadini che si rivolgono agli Avvocati chiedere sistematicamente che le udienze si svolgano in presenza. “Per il piacere di conoscere il Giudice”.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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