Fra gli innumerevoli memoriali dedicati, nel mondo, alla Shoah (in ebraico “catastrofe, disastro”) del popolo ebraico, poco noto – ma estremamente suggestivo e rievocativo – è il  Cipők a Duna-parton (Scarpe sulla riva del Danubio) che si trova in Ungheria nel VII Distretto della capitale Budapest, sul lato orientale (Pest) della città, a 300 metri a sud del Palazzo del Governo, tra il Ponte sospeso delle Catene e il Ponte Margherita. Il memoriale consta di una fila, lunga circa 70 metri, di piccole sculture in bronzo o in ferro, ciascuna delle quali rappresenta, a grandezza naturale, una scarpa (cipők) usata e fissata sulle lastre di pietra che costituiscono il ciglio della banchina orientale del Danubio.

Le scarpe sono del tipo in uso negli anni Quaranta, da uomo, da donna o da bambino, di varia foggia (dal sandalo allo scarponcino) che formano un complesso di 60 paia (alcune sono però singole), disposte disordinatamente in doppia fila, distanziate fra di loro. Autori dell’opera sono il regista teatrale Can Togay e lo scultore Gyula Pauer, ungheresi. È stata inaugurata dal Governo magiaro, il 16 aprile 2005, Giornata ungherese della Memoria, 60° Anniversario della Shoah. Sulla banchina, dietro alla fila delle cipők, sono stati posti una placca in bronzo riportante la scritta “In ricordo delle vittime uccise nel Danubio dalle Croci Frecciate nel 1944/1945” e, distanziati, 3 cippi in ferro, alti ciascuno 60 centimetri, che sulla cima appiattita portano impressa una Stella di David. Le Croci Frecciate erano il braccio militare di un partito politico costituito nel 1935 dal maggiore dell’Esercito Ferenc Szálasi come Partito ungherese della volontà nazionale(Ungarismo) divenuto poi, nel 1939, Movimento delle Croci Frecciate a carattere nazionalista, populista e antisemita, di netta ispirazione al Partito nazionalsocialista tedesco.

Dopo l’occupazione dell’Ungheria durante la Seconda guerra mondiale da parte dei tedeschi (marzo 1944, operazione Margarethe), e la sostituzione del reggente ungherese ammiraglio Miklós Horthy con Ferenc Szálasi (nominato dai tedeschi Primo Ministro e Nemzetvezető , Capo della Nazione), ebbe inizio la deportazione degli ebrei ungheresi che, al momento, contavano, nel Paese, 825mila individui: di questi 437mila vennero inviati – tra il maggio e il luglio 1944 – con trasporti ferroviari, ai campi di concentramento in Austria e Polonia; altri 148mila li seguirono entro il dicembre successivo e circa 40mila vennero uccisi in patria. Dei 200mila che risiedevano a Budapest, 96mila vennero raccolti, in più riprese, nei cantieri Ujlaki di Obuda (III Distretto cittadino) e quindi inviati a piedi, scaglioni, in Austria ( ne scamparono, a fine guerra, 20mila); 104mila vennero ristretti in un ghetto istituito a fine novembre, nel quartiere ebraico (Erzsébetváros) del VII Distretto, completamente isolato dal resto della città da un alto muro con una recinzione di filo spinato. Di questi ultimi, 26mila riuscirono poi a scampare dallo isolamento grazie agli interventi sul Governo magiaro, del responsabile della Croce Rossa Internazionale a Budapest Valdemar Langlet, dell’addetto speciale alla locale Missione svedese Raoul Wallenberg, del finto console generale spagnolo (in realtà italiano) Giorgio Perlasca e dello svizzero Carl Lutz, dell’allora vescovo cattolico (poi cardinale) Jósef Mindszenty, dell’ufficiale di polizia ungherese Pál Szalai e dell’impiegato all’Ambasciata svedese Károly Szabó (alcuni dei quali furono poi annoverati dal Governo israeliano fra i “Giusti fra le Nazioni” ).

Busto di Giorgio Perlasca a Budapest

Non appena istituito, nel ghetto si scatenarono le Croci Frecciate che iniziarono l’eliminazione dei 78mila ebrei che vi erano rimasti: oltre 20mila furono fucilati a più riprese davanti alla Sinagoga di Rumbach. Altri – uomini, donne e bambini – vennero eliminati, nell’imminenza dell’arrivo a Budapest dell’Armata Rossa, in modo barbaro: legati in gruppi di tre con filo spinato ai polsi, portati con autocarri sulle rive del Danubio, venne loro ordinato di scalzarsi e quindi, uccisi con un colpo di pistola alla nuca e fatti cadere nel fiume. Alcuni, ancora in vita, morirono annegando, trascinati a fondo dai due compagni morti cui erano stati legati. In questo modo finirono, nel corso dei primi novanta giorni, circa mille ebrei di cui erano restate, sulle rive dei fiume, le scarpe, poi indossate o vendute dai loro assassini.

Queste vere e proprie mattanze ebbero termine nei primi giorni del febbraio 1945 allorché le truppe sovietiche del maresciallo Malinovskij entrarono a Budapest facendo prigionieri gli ultimi resistenti tedeschi e crucifrecciati (Ferenc Szálasi era fuggito in Austria a fine gennaio, rifugiandosi nella casa dello suocero a Mattsee, nel distretto di Salisburgo, ove fu catturato dagli americani nel maggio 1945, portato a Budapest, processato, condannato a morte e impiccato il 12 marzo 1946). Alcuni capi delle Croci Frecciate (Gábor Vajna, Jenő Szöllősi, Karol Beregfy, Jósef Gera), catturati, nel corso di uno dei processi a loro carico (furono poi tutti giustiziati) riferirono che il sistema di esecuzioni adottato a Budapest sulle rive del Danubio si era reso necessario poiché, sotto la pressione dell’avanzata dell’Armata Rossa, non avrebbero avuto il tempo di inumare o cremare i corpi dei giustiziati. La loro descrizione fu confermata nel processo che si tenne a Budapest, Distretto di Zugló, nel luglio 1967 contro le Croci Frecciate che avevano gettato nel Danubio sei suore che avevano salvato alcuni ebrei. Il muro del ghetto venne demolito pressoché completamente nel 2006 e due anni dopo, con le sue rovine, venne eretto un monumento con l’inserzione su di esso di alcune targhe commemorative.

Un altro Memoriale delle vittime dell’occupazione tedesca venne costruito nel 2014 nel V Distretto di Budapest, nella centrale Piazza Szabadság (Libertà) nel 70° anniversario dell’occupazione tedesca dell’Ungheria. Questo memoriale, voluto dal Primo Ministro ungherese Viktor Orban, è stato fortemente contestato dalle Associazioni Memoria pulita (Tisza Emlekezet) e Piattaforma umana ( Human Platform) poiché non ricorda in alcun modo il collaborazionismo del reggente Horthy con l’occupante nazista, contestazione che ne ha impedito sinora l’inaugurazione ufficiale. Di fronte al memoriale è stato posto un antimemoriale: il Monumento vivente (Eleven Emlékmű) formato da un lungo basso muro con filo spinato, alla cui base vengono poste pietre, oggetti, fotografie, valigie, documenti di ebrei uccisi.

A ricordo delle stragi naziste l’attore cinematografico Tony Curtis, di origine ungherese, è stato promotore e finanziatore, nel 1991, dell’Albero della vita dello scultore Imre Varga, situato nel giardino posteriore della grande Sinagoga di via Dohány e costituito da un salice piangente in acciaio sulle cui foglie sono incisi i nomi degli ebrei uccisi dalle Croci Frecciate. Alcune foglie non portano nomi, a ricordo degli uccisi ignoti. Il maggior centro della memoria è oggi a Budapest l’Holocaust Memorial Center nel quartiere Corvin, antica sinagoga ristrutturata nel 2004, nel quale sono riportate in extenso documentazioni sulle esecuzioni effettuate sul Danubio. Ma l’edificio che più drammaticamente ricorda quel tragico periodo è l’Háza Muzeum (o Terror Háza, Casa del terrore) situato nel viale più importante della capitale, già sede dei quartieri generali della Gestapo tedesca e poi, dal 1945, del Kgb sovietico. Si tratta di un palazzo angolare di tre piani che, sulla parte superiore, presenta una sporgenza metallica con forature che formano la parola “Terror” scritta a rovescio e al contrario in modo che vengono proiettate dal sole sulla facciata inferiore del palazzo a comporre la parola nel senso corretto, visibile da terra. In questo Museo, inaugurato nel 2002, si possono ancora vedere le celle dei prigionieri e le sale di tortura originali, il cortile delle fucilazioni (ove si trova anche un carro armato sovietico KV1) e una serie di fotografie degli ebrei uccisi da entrambe le potenze occupanti. Due nuove sinagoghe – una a Budapest e l’altra nella vicina cittadina di Szentendre sono state inaugurate nel 1998 in memoria dei 600mila ebrei ungheresi assassinati tra il 1940 e il 1960 dai nazisti tedeschi e dai comunisti russi.

Nel corso dei lavori effettuati nel 2011 per la costruzione di un nuovo ponte sul Danubio furono trovati sul fondo del fiume resti umani di complessive 20 persone che, portati a riva e poi esaminati nello Istituto di Medicina legale dell’Università Sammelweis di Budapest, vennero fatti risalire a persone decedute nel periodo bellico 1940/1945. In seguito a questi ritrovamenti il ministro degli Interni di Israele, Aryeh Deri prese contatto col suo omologo ungherese Sándor Pintér e dopo lunghe trattative ottenne dal Governo magiaro l’autorizzazione a iniziare nel fiume la ricerca di eventuali altri resti umani. I sommozzatori della Organizzazione di soccorso subacqueo israeliana Zaza ricuperarono, nel 2020, numerose altre ossa umane e le portarono all’Università di Budapest ove, nel 2015, uno studente ungherese di antropologia, a seguito di una serie di test sui dna dei resti, definì la loro assai probabile appartenenza a individui di ceppo ebraico. Per cui ascritti a quegli ebrei uccisi e gettati nel Danubio nel 1945 vennero successivamente sepolti nel reparto ebraico del Cimitero di via Gránátos nella capitale. 

Le vestigia delle terribili angherie sofferte dagli ebrei ungheresi in quel periodo sono state oggetto, recentemente, di azioni vandaliche ad opera di frange neonaziste magiare appartenenti alla Légió Hungária xenofoba, antisemita e negazionista, che assalirono e danneggiarono, nell’VIII Distretto di Budapest, la Sinagoga Kazinczy e il Centro culturale ebraico Aurora. Inoltre manifestazioni antiebraiche vengono periodicamente fomentate in tutto il Paese dal Movimento per l’Ungheria (Jobbik) estremista nazionalista. A fronte di tali rigurgiti neonazisti, le vittime del Danubio sono state ricordate nel 2019 dal compositore francese Sebastien Monneret con il suo Notturno n.8 per pianoforte intitolato “Scarpe alle rive del Danubio” e dallo psichiatra canadese Erwin K. Koranji con la riedizione del suo libro best seller del 2006 “Dreams and Tears. Chronicle of a Life”. Expedia Group Inc., società statunitense organizzatrice di viaggi, ha inserito, dal 2010, il Memorial Scarpe sulle rive del Danubio nei suoi itinerari, definendolo “uno dei 18 luoghi più emozionanti da visitare al mondo”.

Gustavo Ottolenghi 

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