Nel 2021, per la prima volta, l’Italia è entrata nella top ten degli Stati che contano il maggior numero di miliardari, in dollari. Apparentemente si tratta di una buona notizia, di un indicatore della accresciuta ricchezza del Paese. Ma un’analisi più approfondita mostra che le cose non stanno esattamente così.
I 68 Paperoni nazionali (8 in più rispetto al 2020) hanno visto le proprie ricchezze crescere del 22,4%, più della media dei circa 3.300 miliardari mondiali, arricchitisi “solo” del 17,8%.

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri

Complessivamente in Italia, possiedono una ricchezza pari a 207 miliardi di dollari, quasi una volta e mezzo il Pil della Città metropolitana di Roma.
La tragedia è che la crescita del numero dei miliardari nostrani e della loro ricchezza, non traina il Paese. Al contrario, i super ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. L’entrata dell’Italia nella top ten è la punta dell’iceberg di questo fenomeno. Una tendenza già riscontrata da tempo.

Se non ci credi chiedi a “Gini”

Il “Gini”, l’indice che cresce con il crescere della disuguaglianza, è passato dallo 0,328 del 2007 allo 0,352 del 2018 (più del 7,3%). Dal 1995 al 2016, poi, la quota di ricchezza detenuta dallo 0,1% dei nostri compatrioti più abbienti è salita dal 5,5% al 9,3% e, quasi specularmente, il 50% più povero è sceso dall’11,7% al 3,5%. Il trend continua e accelera, con punte da Ancien Régime. I 40 italiani più ricchi possiedono, dopo la pandemia, l’equivalente della ricchezza del 30% della popolazione più povera, circa 18 milioni di adulti. Si può dire che questa tendenza, a livello non solo italiano, ma mondiale, coincida con la vittoria della Finanza sull’Economia reale.

Oligarchie affamate di denaro

Tra i miliardari, sia da noi, sia all’estero, dominano appunto i signori della Finanza, con una quota superiore al doppio di quella degli “industriali”. Considerando che il Pil italiano è cresciuto poco nell’ultimo quarto di secolo, emerge che la concentrazione della ricchezza da parte delle oligarchie del danaro, corrisponde a un aumento della povertà per la maggioranza degli altri cittadini. Nel 2020, con la pandemia, mentre cresceva il numero dei miliardari e in generale si rimpolpava la quota delle élite finanziarie, 1,4 milioni di italiani è sprofondato nella povertà assoluta, che colpisce complessivamente 5,6 milioni di compatrioti (il 9,4%).

La crescita dell’inflazione colpisce di più le famiglie povere

Un’altra notizia funerea è che nel 2021, nonostante il rimbalzo del Pil del 7,5% ai prezzi di mercato (6,6% in volumi), la quota della povertà assoluta è rimasta stabile. Il che significa che la fascia più debole soffre durante le crisi e non migliora durante la ripresa. Anche l’inflazione colpisce di più i ceti meno facoltosi. Nel secondo trimestre di quest’anno l’impatto dell’inflazione sulle famiglie più povere è stato del 9,8%, contro il 6,1% della media nazionale.
Se l’inflazione dovesse continuare a crescere dopo l’estate, come sostengono alcuni esponenti della grande distribuzione e dell’industria del largo consumo, per un numero crescente di milioni di italiani si spalancherebbero le porte dell’indigenza.

Per una mia scelta editoriale (che ha caratterizzato tutta la mia carriera di direttore), anche sulle prossime elezioni, come ho fatto per la guerra russo-ucraina, mi astengo dall’intervenire, lasciando la parola, con libertà assoluta, agli autori de L’Incontro. Non posso però esimermi dal notare come la questione del contrasto alla povertà “vera”, da “fame”, che, tra l’altro è l’oggetto esplicito del punto 10 dell’Agenda 2030, sia quasi ignorata dal dibattito politico. A parte la controversa e annosa questione del Reddito da cittadinanza, l’unica proposta specifica sul tema mi pare essere quella di Berlusconi sull’innalzamento delle pensioni minime a 1.000 euro al mese.

Ai tempi del Berlusca…

È un po’ una replica del 2001, quando Silvio portò le pensioni minime a 1 milione di lire. Non tutti i 6 milioni di pensionati la ricevettero: fu riservata agli over 70 privi di redditi aggiuntivi (e con altre caratteristiche). Per un costo complessivo di 2 miliardi l’anno. In definitiva però quasi 2 milioni di anziani (verosimilmente quelli più bisognosi), la ricevettero. Ora, visto che nemmeno Marie Antoinette (che, comunque, tra l’altro mai pronunciò la frase “se non hanno pane, che mangino brioche”) potrebbe sostenere che un ultra 70enne, privo di altri redditi, possa vivere dignitosamente con meno di mille euro al mese, la proposta di Berlusconi viene contestata, e a volte irrisa, non per il contenuto, ma per una presunta insostenibilità economica.

Facciamo due calcoli

Oggi le pensioni inferiori a 500 euro al mese sono 1,7 milioni, mantre quelle tra 500 a mille euro sono 4,1 milioni. Se tutte fossero portate a mille euro, il costo per lo Stato sarebbe di 11 miliardi annui, più altri 6 miliardi per gli assegni sociali. Se i parametri fossero, come verosimilmente saranno se Silvio la spuntasse, quelli del 2001, e si incrementassero le entrate per i 2 milioni di anziani più bisognosi, il costo per lo Stato sarebbe di 5-7 miliardi l’anno.

Tanti, pochi? Non sta a me dirlo

Posso però ricordare che l’incremento delle spese militari al 2% del Pil potrebbe costare (dipende da vari fattori, tra cui il timing), oltre 10 miliardi l’anno. Ma bisogna fare sacrifici per le prossime generazioni! Certo, ma a parte che non è chiaro perché i maggiori sacrifici li debbano fare i vecchietti che vivono con una pensioncina, permettetemi di chiudere con una battuta tratta da un film del 1990 di Luis Mandoki, “Calda emozione”.

Anche i Vip piangono…

La cameriera ultra 40enne Susan Sarandon (tra l’altro, più sexy di quando, a 29 anni recitava in “The Rocky horror picture show”) ha una storia con il giovane e yuppy James Spader. Questi, una sera, la porta a cena a casa di suoi amici, ricchi radical chic. Uno di loro, tiene una concione contro le politiche di spesa eccessiva del Governo, che avrebbero impoverito il Paese e resa difficile la vita degli americani del domani. Con una punta di malizia, chiede a Susan Sarandon quale fosse il suo punto di vista. E la donna risponde più o meno così: “Non ho capito bene il suo discorso e di queste cose non ne so niente. So però per certo che, qualunque cosa succeda, quelli come voi saranno sempre più ricchi e quelli come me più poveri”.

Milo Goj

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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